Italia: con la crisi economica o di governo è opportuno comprare titoli di Stato. Questa considerazione aveva l’intento di voler essere provocatoria, ma – con i dati alla mano – l’intento di “provocatori” viene soppiantato dalla realtà dei fatti, anzi dei numeri, che ovviamente arrivano sempre dal mercato.
Nel corso delle ultime settimane, degli ultimi mesi, fino a estendere l’arco temporale agli ultimi anni, nell’ascoltare il “parlato” e nel leggere lo “scritto” dei vari osservatori, il termine “crisi” è sempre stato presente. I motivi a sostegno “della crisi” non possono più essere considerati “molti”, ma ormai appaiono “infiniti”. Prescindendo dalla tipologia di governo (centrodestra, centro, centrosinistra, tecnico, ecc.) la “crisi” è sempre in capo a ogni capo dell’esecutivo. Chiunque riceva l’incarico a governare, nel momento in cui agita la campanella istituzionale durante il consueto rito di passaggio, il tintinnio che si genera dà il via alla “gestione della crisi”. Ma quanto ha impattato il perdurare dello stato di crisi? In quanti hanno creduto alla crisi e soprattutto come ne hanno tratto profitto?
La ragione vorrebbe suggerire all’investitore che – qualora ci fosse aleatorietà nel futuro – il ricorrere all’investimento nel debito sovrano del Paese oggetto di incognite è pressoché sconsigliabile se non addirittura bandito. Questo appare ragionevole dal punto di vista razionale, ma, come molte volte abbiamo indicato attraverso i nostri approfondimenti, il mercato finanziario è composta da operatori specializzati, istituti di credito, organizzazioni internazionali, ecc.
Guardando al nostro Paese, le ore che stiamo vivendo sono decisive per le sorti del prossimo esecutivo. Paradossalmente (se di paradosso si vuole parlare), il rendimento del nostro titolo di Stato decennale ha fatto registrare il minimo storico sul proprio rendimento (inferiore all’1%). È bene sottolineare la correlazione inversa tra rendimento e prezzo ovvero al crescere di quest’ultimo corrisponde una diminuzione sul fronte della ritorno riconosciuto. Pertanto, in corrispondenza del nuovo minimo fatto registrare, si è potuto osservare un nuovo massimo di periodo sull’andamento dello stesso Btp (v. Btp Future).
Estendendo l’analisi a un periodo molto più ampio e caratterizzato dalla crisi storica del debito sovrano (novembre 2011), si può vedere come l’andamento del Btp Future sia cresciuto (+68,25%) in maniera maggiore rispetto all’andamento di Piazza Affari (+50,67%). Parallelamente, nello stesso arco temporale, si riportano rendimenti che da oltre 7 punti percentuali del novembre 2011 si sono ridotti all’odierno valore inferiore all’unità.
Tornado ai giorni nostri, se si raffronta la medesima comparazione al periodo del precedente Governo in carica (giugno 2018-agosto 2019), la dinamica dei prezzi risulta essere non solo la medesima ma ancor più a favore dello stesso Btp. Il future registra un incremento pari al 18,85% rispetto all’indice azionario italiano (rif. Ftse Mib), che accusa una flessione di quattro punti.
Recentemente abbiamo parlato di “paradosso” e sulla base di queste ulteriori risultanze possiamo solo che riaffermare il nostro precedente monito riconducibile alla “storia operativa” dei mercati. Oltre a questo, e al fine di poter meglio rispondere a questi “irrazionali comportamenti” vogliamo, come già accaduto, riportare alla vostra attenzione una citazione tratta dal celebre film Wall Street. Mai come oggi appare attuale la considerazione che il cinico Gordon Gekko illustrava al proprio braccio destro Bud Fox: «E noi facciamo le regole. Le notizie, le guerre, la pace, le carestie, le sommosse, il prezzo di uno spillo. Tiriamo fuori conigli dal cilindro mentre gli altri seduti si domandano come accidenti abbiamo fatto. Non sarai tanto ingenuo da credere che noi viviamo in una democrazia, vero Buddy? È il libero mercato».
E il mercato ha sempre ragione.