L’Italia ha superato indenne il primo giudizio delle agenzie di rating. Standard & Poor’s ha però evidenziato quanto sia importante per il nostro Paese la realizzazione del Pnrr. Un rilievo che, secondo Gustavo Piga, Professore di Economia politica all’Università di Roma Tor Vergata, «conferma che i mercati non sono contrari agli investimenti pubblici, anzi li vedono come una risorsa. Ma affinché possano essere tali occorre che vi sia un forte qualità della Pubblica amministrazione. I mercati chiedono, quindi, che vi siano più risorse messe appropriatamente a servizio dello sviluppo, criticando implicitamente con ciò il fatto che l’Europa non concede maggiori margini fiscali per gli investimenti, ma nello stesso tempo tengono l’Italia nel mirino perché non sa spendere bene. Pertanto, se iniziassimo a usare bene le risorse, la pressione dei mercati si sposterebbe dal nostro Paese e si concentrerebbe sull’Europa e la sua stupida austerità».



Perché il Pnrr è così importante per i mercati?

Dopo la decisione dell’Ue di varare il Recovery fund, il nostro spread era sensibilmente sceso: i mercati premiavano la decisione dell’Europa di essere espansiva in Italia dando la possibilità di aumentare gli investimenti pubblici. Quando, però, hanno cominciato a constatare la permanenza della nostra incapacità cronica di spendere per mancanza di competenze e personale queste risorse, lo spread è tornato a salire. E anche adesso, dopo il varo della Legge di bilancio, è rimasto intorno ai 200 punti base.



Nonostante certe preoccupazioni, in effetti il varo della manovra non ha portato a un aumento dello spread…

Sì, non l’ha fatto schizzare a 300 punti base, ma non lo ha nemmeno riportato a livelli successivi al varo del Recovery fund. Questo è indice del fatto che non riusciamo a convincere la gran parte degli investitori sulla possibilità di ridurre il rapporto debito/Pil tramite un aumento del tasso di crescita. Del resto, con il Pnrr già operativo dovremmo ottenere incrementi del Pil molto più alti rispetto a quelli miserrimi previsti nella Nadef. Se lo spread rimane così alto significa che non siamo in grado di persuadere i mercati che stiamo attuando le politiche di crescita appropriate per mettere i conti in sicurezza.



C’è chi ritiene che il problema della Legge di bilancio sia l’aumento del deficit/Pil rispetto a quanto preventivato nel Def.

È vero che rispetto ad aprile il deficit/Pil è più alto, ma prosegue il suo percorso di diminuzione rispetto agli anni precedenti, il che significa che formalmente questa manovra è restrittiva in un momento in cui ovunque, fuori dall’Europa, si cerca di assistere le economie con politiche espansive. Non possiamo incolpare l’Italia di questo: è ancora una volta l’Europa a non capire la gravità della situazione. Negli Usa il deficit rimane abbondantemente sopra il 5% del Pil proprio perché si percepisce che ci sono una serie di sfide, non soltanto belliche, ma legate al cambiamento climatico, che richiedono anche risorse per chi resterà penalizzato onde evitare sommovimenti sociali estremamente pericolosi per le democrazie. Inoltre, c’è attenzione alle classi più disagiate per evitare che i populismi rialzino la testa, cosa che l’Europa non permette di fare.

Lei parla di manovra restrittiva, eppure contiene la conferma del taglio del cuneo fiscale, oltre che l’accorpamento delle prime due aliquote Irpef.

La pressione fiscale rimane, tuttavia, complessivamente quasi costante, perché l’impatto di quella tassa iniqua chiamata inflazione riduce il valore reale effettivo delle pur giuste misure da lei citate. Per la stessa ragione, anche gli stanziamenti per l’aumento degli stipendi nella sanità non sono in grado di compensare la perdita di potere d’acquisto dovuta all’inflazione. Va anche detto che a fronte della parità di pressione fiscale complessiva poc’anzi ricordata, la riduzione del deficit viene perseguita tramite un taglio delle spese, fatto, come in passato, a casaccio, come possiamo leggere sui giornali: inasprimento dell’accesso alle pensioni, rientro dei cervelli dall’estero meno agevole, dirottamento dei fondi per l’Assegno unico, ecc.

Sembra difficile, però, che la manovra venga bocciata da Bruxelles.

Anzi, è facile immaginare una promozione per due fattori. Il primo è di natura politica: si avvicinano le europee e visto che il nostro presidente del Consiglio sta mostrando una linea coerente con l’afflato geopolitico del continente è meglio non disturbare troppo il Governo italiano. Il secondo è di carattere burocratico: finché i numeri sul deficit restano quelli indicati da Roma, non importa se saranno smentiti come in passato, tutto va bene.

Dunque, c’è un atteggiamento europeo che non ci aiuta.

L’Europa dovrebbe essere molto più attiva e pretendere l’unica madre di tutte le riforme, la vera spending review. In questo momento non sta dicendo nulla al Mef sui tagli a casaccio, perché le interessa solo il risultato finale di un deficit in traiettoria discendente. Una traiettoria che non permette però la riduzione del rapporto debito/Pil che resta invece costante per la mancanza di crescita.

Torniamo ai mercati. Come si può, a questo punto, far scendere lo spread?

Tramite la combinazione di due fattori: più risorse per lo sviluppo e lotta agli sprechi. Le prime non arrivano perché l’Europa ci chiede maggior austerità, la seconda va perseguita tramite la madre di tutte le riforme, la vera spending review, che consiste nello scegliere i settori strategici dove spendere prendendo le risorse necessarie dal taglio degli sprechi. Tutto questo manca perché non è stato fatto un programma in merito che non può essere improvvisato in poche settimane, ma va costruito lavorandoci a testa bassa per un intero anno. Spiace che questo avvenga con un Governo che ha da poco iniziato il suo secondo anno di attività, quindi ancora in una fase di luna di miele con l’elettorato in cui avrebbe potuto mostrare molto più coraggio. Il risultato è che ci troviamo in un circolo vizioso che lascia il nostro Paese in stagnazione.

Come si può rompere questo circolo vizioso?

Ci vuole leadership. In Europa come in Italia. Occorre quell’accordo tra Roma e Berlino di cui abbiamo parlato in una precedente intervista da imporre poi a Bruxelles, visto anche che tra non molto ci saranno le elezioni europee.

(Lorenzo Torrisi)

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