Ieri lo spread tra Btp e Bund è salito oltre la quota simbolica di 100 per la prima volta nelle ultime settimane. Per quanto il livello dello “spread” sia ancora basso e vicino ai minimi, il movimento è stato certamente notato dagli investitori che si occupano del mercato italiano. Non è affatto detto che il movimento al rialzo, per ora del tutto preliminare, continui. Eppure il livello era già considerato strano ed è considerato ancora più strano da ieri.



Le ragioni, in estrema sintesi, sono due: la Bce ha dichiarato in tutti i modi che coprirà una fase economica ancora molto problematica per le conseguenze dei lockdown sull’economia di gran parte dei Paesi membri; la seconda è che il presidente del Consiglio italiano è Mario Draghi che sarebbe la massima sicurezza che l’Italia possa offrire al sistema dell’euro, alla Bce e alle capitali europee. 



La domanda, in un certo senso, non è nemmeno sulle ragioni del sorpasso di quota 100 ma perché, nonostante Draghi e la Bce, lo spread italiano continui a viaggiare a questi livelli da mesi. Ci si sarebbe aspettati una discesa a livelli molto più contenuti in una fase in cui una quantità enorme di obbligazioni statali e societarie viaggia a rendimenti negativi. Lo spread italiano segnala una situazione anomala tanto più dopo l’arrivo di Draghi. Il mercato potrebbe forse nutrire preoccupazioni sull’azione della Bce; è molto improbabile perché le condizioni economiche dell’_Unione europea sono molto diverse da quelle, per esempio, degli Stati Uniti che venerdì scorso hanno consegnato un dato sul mercato del lavoro positivo e migliore delle attese. Potrebbe esserci una preoccupazione sull’allineamento dell’Italia all’Europa, su una politica magari riottosa nei confronti dei vincoli europei, giusti o sbagliati che siano, ma questa ipotesi è smentita dalla figura del presidente del Consiglio che gode di una maggioranza ampia e trasversale.



L’unica spiegazione possibile è che il mercato si stia “preoccupando” di qualcosa che non c’è ancora ma che si può intravedere. La pandemia non ha conseguenze simmetriche in Europa perché le condizioni di partenza dei Paesi membri sono molto diverse. Ci sono Stati molto indebitati e altri no; Stati in cui la burocrazia e il sistema Paese funzionano e altri meno. Lo stesso lockdown non ha effetti uguali su tutti i Paesi membri perché alcuni sono economicamente più fragili e avrebbero bisogno più di altri di aprire subito perché gli Stati non hanno spazio per un ulteriore indebitamento. 

C’è poi un secondo livello. Da mesi si è diffusa la convinzione che il lockdown italiano abbia corrispettivi più o meno uguali nel resto d’Europa. La realtà è molto diversa e le restrizioni in Italia dall’avvio della seconda ondata sono complessivamente e di nuovo, esattamente come nella prima, le più dure e durature in Europa. Queste condizioni sono fotografate dai dati sul traffico, sull’attività delle imprese, sui consumi elettrici e così via.

Limitiamoci però al primo livello. Il fallimento del piano vaccinale in Europa e il ritardo ormai incolmabile sulle riaperture accumulato nei confronti degli Stati Uniti e del Regno Unito prolungano condizioni estremamente sfidanti per il tessuto economico e sociale che non hanno affatto le stesse conseguenze sui diversi Paesi membri dell’euro. In questo caso Draghi può pochissimo perché non esistono riforme dell’amministrazione pubblica, della giustizia o delle tasse che possano produrre effetti se una parte così importante del Paese continua a essere chiusa. Lo stesso si può dire della Bce che può certamente continuare a difendere Stati e banche, ma che non può riaprire i ristoranti o i negozi. Questo i mercati lo capiscono benissimo; esattamente come comprendono che le ferite che si continuano a produrre nell’economia diventano ogni giorno più profonde e difficili da rimarginare. La conseguenza è lo spread a 100; nonostante la Bce e nonostante Draghi. Proprio per questo è preoccupante. 

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