Finisce nella bufera il colosso dell’ortofrutta di Lecco, Spreafico, parzialmente commissariato nella giornata di ieri dopo aver scoperto il caporalato. “Capitava di lavorare anche 260 ore al mese, ma prendevo 1300 euro – ha raccontato un dipendente, come si legge sul Corriere della Sera – i riposi non venivano pagati, le ferie dal 2007 al 2017 non mi sono mai state pagate. A Dolzago ci trattano come animali perché si approfittano di noi stranieri che abbiamo bisogno di lavorare e non capiamo bene l’italiano”. Un gigante da ben 356 milioni di euro all’anno di fatturato la Spreafico e Fratelli Spa, ma nonostante questi introiti ingenti, le azioni, almeno stando a quanto emerso in queste ultime ore sulle pagine del Corriere della Sera, erano tutt’altro che regolari.



La Sezione misure di prevenzione del Tribunale ha così accolto la richiesta del pm Paolo Storari di nominare un amministratore giudiziario che per un anno avrà il compito di verificare e bonificare i rapporti fra il gruppo e le società di logistica. “Misura che non si colloca sul piano penale – sottolinea il quotidiano di via Solferino – e non ha funzione repressiva, ma preventiva e volta a contrastare la contaminazione di imprese sane, che punta a restituire al mercato una volta depurate degli elementi inquinanti”. Secondo quanto sostenuto dai giudici di prevenzione Roia-Tallarida-Pontani si sono annidate «la sistematica corresponsione di retribuzioni sproporzionate rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato; la reiterata violazione della normativa relativa agli orari di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all’aspettativa obbligatoria, alle ferie; un metodo di gestione dei lavoratori caratterizzato da reiterati episodi di minaccia di licenziamento da parte dell’amministratore di fatto delle cooperative a danno dei lavoratori».



SPREAFICO “COMMISSARIATA”: IL SISTEMA DELLE COOPERATIVE

Agli stessi veniva poi applicato il contratto di primo livello di pulizia/multiservizi, «il più svantaggioso economicamente, per nulla corrispondente alle mansioni di fatto svolte» e «costretti a subire turni di lavoro massacranti, che non venivano attestati in busta paga, senza che venisse loro corrisposto quanto dovuto in ragione delle ore di lavoro straordinario svolto». Stando ai magistrati, l’intero sistema si reggeva su una serie di cooperative che venivano costituite, quindi gestite e poi liquidate dopo poco tempo, «al solo scopo di fungere da meri «serbatoi» di forza lavoro e consentire ad una serie di consorzi (appaltatori) di fornire manodopera a basso costo, in quanto in concorrenza sleale e in evasione d’imposta, a svariati committenti».



Fra questi vi sarebbe appunto anche la Spreafico che sarebbe stata «pienamente consapevole della situazione di sfruttamento delle condizioni personali dei lavoratori, formalmente impiegati attraverso il sistema contrattuale dell’appalto di manodopera con società cooperative, ma di fatto direttamente coordinati nella sede societaria operativa di Dolzago anche da personale dipendente, così capitalizzando il guadagno di un intervento lavorativo sotto soglia retributiva nell’ambito del mercato e quindi della sopportazione di costi minori». L’azienda lecchese, ieri destinataria di un sequestro preventivo d’urgenza di 3.5 milioni di euro, rimanda al mittente ogni accusa attraverso una nota: «Spreafico spa si ritiene parte offesa in quanto estranea ai comportamenti della cooperativa in questione», e si dice «coinvolta solo in qualità di società committente, avendo da sempre costruito rapporti di grande equità con le società coinvolte nelle attività operative in tutti i suoi stabilimenti».