È stato recentemente diffuso un interessante studio, questa volta da parte del sindacato dei bancari della Cisl e ripreso anche da vari organi di stampa, sullo stato di salute delle nostre banche nel primo semestre 2020. Un tema estremamente delicato e attuale, in tempi di pandemia, un report frutto di un’attenta analisi, con molte cifre e dati. Accanto all’evidente criticità nel gestire questi mesi risulta comunque complesso per tutti riuscire a interpretare bene e invertire la sequenza fra crisi sanitaria, impatto sull’economia e sulla finanza, mantenere l’equilibrio sociale.



Dai dati risulta che le ferite ci sono, ma il sistema bancario dimostra di avere anticorpi contro la crisi causata dal Covid-19. L’analisi è sulle semestrali (confronto dei dati aggregati del 1° semestre 2020 rispetto allo stesso periodo del 2019) dei primi gruppi bancari: Intesa Sanpaolo, UniCredit, Banco Bpm, Mps, Ubi e rivela una sostanziale tenuta dei ricavi operativi (-4,2% rispetto a giugno 2019). Ancor più contenuta è la riduzione del margine primario per dipendente (-2,5%), nonostante il lockdown abbia molto limitato l’operatività. Nel periodo considerato l’occupazione è calata di circa cinquemila addetti, con una conseguente contrazione dei costi operativi del 2,1% e la chiusura di oltre cinquecento filiali.



Il risultato netto aggregato ha chiuso in negativo, ma vanno evidenziati il fortissimo aumento (+72%) e l’incidenza delle rettifiche su crediti alla clientela (5,3 miliardi). Si tratta in modo particolare di 2,7 miliardi di accantonamenti per far fronte al futuro impatto della pandemia sull’attività economica. Senza questi dati il risultato sarebbe stato positivo. La solidità patrimoniale dell’insieme aggregato, con il CET1 Ratio phased-in, passa dal 13,6% del dicembre 2019 al 14,4%. Considerato anche l’allentamento delle misure regolamentari deciso a marzo, si può stimare un’eccedenza patrimoniale sui requisiti minimi ben più ampia rispetto ai dati di fine anno.



Un dato spesso poco valorizzato da altre fonti è quello di un aumento della produttività del lavoro, prova del contributo tangibile dei lavoratori anche nella fase dell’emergenza: il prodotto bancario per dipendente sale infatti dello 0,7%, nonostante un andamento negativo della raccolta indiretta influenzata dalle dinamiche dei mercati finanziari. Sul fronte dell’offerta di credito, i dati sembrano evidenziare come le banche non abbiano colto appieno l’opportunità offerta dalle garanzie statali introdotte dal governo con il DL Liquidità: i prestiti alla clientela ordinaria crescono meno di un punto percentuale (+10 miliardi circa nel periodo considerato). Questo per grandi linee.

La pandemia sembra quindi al momento non aver scosso il sistema che ha dimostrato resilienza. Le decisioni prese dalla Bce e dal Governo danno alle banche un compito e un ruolo decisivo per il rilancio dell’economia: più credito alle imprese e alle famiglie. L’ampia dote di capitale disponibile e la liquidità garantita dalla Bce costituiscono la premessa, insieme alle garanzie statali sui crediti, per una ripartenza.

Servono politiche anti-cicliche del credito, in grado di riattivare gli investimenti per non perdere una parte rilevante del nostro tessuto produttivo e dell’occupazione, sostenendo il tessuto delle Pmi, da anni costrette a fronteggiare una restrizione del credito. La pandemia ci deve spingere (come ricordato in precedenti articoli) a riflettere sul ruolo delle banche e sulla loro funzione sociale, al settore bancario è chiesto un contributo straordinario come per altri attori pubblici e privati della società.

Il piano di rilancio economico complessivo reso necessario dal Covid-19 avrà successo se non si lascerà condizionare dagli spread finanziari e se saprà chiudere gli spread sociali. Banche e finanza hanno il compito di far crescere valore economico e coesione sociale, al servizio di tutti gli stakeholders, al servizio delle comunità e dell’economia reale.