Nella canicola agostana sono diverse le notizie che interessano il settore bancario italiano, tra i ribassi, e i recuperi, di Borsa e la tassa sugli extraprofitti bancari che Giorgetti ha prontamente smentito nella conferenza stampa dopo l’ultimo Consiglio dei ministri. “Le banche, come le altre realtà che fanno utili e stanno bene, saranno chiamate a contribuire alla finanza pubblica come tutti i cittadini”, ha detto il ministro dell’Economia. Esattamente un anno fa, la proposta, poi ritirata dal Governo, di una tassa sugli extra-profitti e la telenovela che ne era seguita, aveva provocato, al solo annuncio, una brusca reazione dei mercati che avevano bruciato 9 miliardi in una sola seduta.
Ma vediamo come sta il settore. Ci viene in aiuto un interessante studio della Fondazione Fiba di First-Cisl, il sindacato dei bancari, che ha messo sotto la lente le semestrali delle prime cinque banche italiane: Intesa Sanpaolo, UniCredit, Banco Bpm, Mps e Bper che registrano un margine di interesse del 10,4% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Ancora numeri record.
Lo studio certifica il buon andamento dei nostri principali gruppi bancari nazionali, l’utile delle prime banche vola del 20% e sale a 12 miliardi nel semestre, un Roe del 15,5%, “mentre frenano i prestiti e il credito va sempre più giù: i prestiti destinati a imprese e famiglie da gennaio a giungo calano del 4,5%”, un dato che aumenta il nostro gap rispetto ai concorrenti Ue.
Tutte le “big five” del sistema bancario italiano presentano conti lusinghieri: nello specifico – come si legge nel report -, “l’incidenza del margine di interesse sul totale dell’attivo passa dall’1,6% all’1,8%, mentre le commissioni nette registrano una crescita del 6,5%, supportata anche da un incremento della raccolta indiretta nel primo semestre del 5,3%, favorita dal buon andamento dei mercati. La politica seguita fino a oggi dalla Bce ha fatto sì che la discesa dei tassi di mercato a breve termine sia avvenuta a ritmo molto lento, col risultato di gonfiare il margine di gestione del denaro. La nota dolente resta il credito. Gli impieghi registrano una contrazione del 3,2% (oltre 37 miliardi il calo in valore assoluto) rispetto allo stesso periodo del 2023. Una tendenza che vale comunque non solo per i primi cinque gruppi, ma per tutto il settore. Dai dati Bce sulle banche emerge che al 31 marzo 2024 l’Italia registra un calo del 3% rispetto allo stesso periodo del 2023, contro una media europea del +1,35%. Nel dettaglio, Francia (+1,65%), Spagna (+1,74%) e Germania (+2,29%) fanno nettamente meglio di noi. Il minor credito erogato dalle banche italiane si evince anche dal rapporto tra prestiti e depositi (Loan to deposit), più basso (90,52%) rispetto sia alla media Ue (102,78%) che a Francia (106,45%), Spagna (98,73%) e Germania (114,27%)”.
L’analisi della Fondazione Fiba rivela anche un cost/income basso e produttività in crescita. “Non si ferma il calo del cost/income, che rispetto al primo semestre 2023 segna un’ulteriore contrazione, scendendo al 39,9% dal 42,8% portando a quasi 13 punti il gap con i maggiori competitor europei (52,8%). Il costo del personale registra un lieve incremento (+1,6%) e pesa per il 24,8% sui proventi operativi, in riduzione dal 26,4% del primo semestre 2023. Crescono anche tutti gli indicatori di produttività per dipendente, in particolare il risultato di gestione pro capite (+16,9%) e il margine primario per dipendente (+ 2%)”.
Nonostante gli ottimi risultati le banche continuano a ridurre occupazione e presenza sul territorio: il numero dei dipendenti cala del 2,6%, mentre chiudono 261 sportelli (-2,2%) rispetto al 30 giugno 2023″.
In tempi di grandi risorse e di bilanci record non si può non tornare a parlare di risiko bancario con in vista una possibile grande fusione tra le banche italiane nei prossimi mesi. Tema e argomento ricorrente per gli analisti del settore, sempre pronti in ogni circostanza a dire la loro.
In Italia, un Paese molto più frammentato in termini di mercati bancari rispetto ad altre nazioni, di concreto come sappiamo, è successo relativamente poco negli ultimi anni. L’Europa continua a chiedere istituti di credito più grandi, forti e redditizi. I players dell’M&A saranno ancora una volta UniCredit, Banca Mps e altre banche di medie dimensioni che possono giocare un ruolo importante nel potenziale futuro consolidamento del settore in Italia. Da queste banche, in teoria, possono nascere diverse soluzioni, anche se nessuna di esse ha urgente bisogno tranne Mps, per gli impegni presi con l’Ue.
Banca Mps, salvata più volte dal collasso negli anni passati dallo Stato, necessita di una “riprivatizzazione”. Il Tesoro ha un accordo con l’Ue per uscire completamente dal capitale della banca e la direzione presa è quella concordata. Oggi il Mef detiene una quota del 26,73%, dopo la vendita dell’ultimo pacchetto del 12,5% a marzo di quest’anno.
Una delle candidate potrebbe essere ancora UniCredit, la seconda banca italiana con profitti stellari, che lo scorso anno ha prodotto un utile di 8,6 miliardi di euro. Ha, tra l’altro, tanto capitale in surplus che potrebbe essere utilizzato al riguardo, ma al momento pensa più che altro a remunerare gli azionisti con dividendi e riacquisti di azioni proprie. L’Ad Orcel ha dichiarato più volte nei mesi scorsi che, visti i prezzi, per ora non ci sono le condizioni per realizzare fusioni e acquisizioni in Italia, pur lasciando aperta la porta a questa possibilità, se le condizioni di mercato dovessero cambiare.
C’è infine “l’altro risiko” quello delle reti, le SGR a caccia del risparmio degli italiani arrivato a quota 5.200 miliardi circa. Un “tesoro” davvero cospicuo dove manca anche in questo settore un big italiano di dimensioni internazionali, tenendo conto che BlackRock, numero uno al mondo, ha asset in gestione per circa 8.500 miliardi, Vanguard per 7.200, Fidelity per 3.700. Tra i più grandi gestori di fondi di investimento al mondo, i primi venti asset manager, 14 sono americani, 3 francesi, 1 tedesco, 1 inglese, 1 svizzero: non c’è nessun italiano!
Intesa SanPaolo ha una importante struttura di wealth management, UniCredit dopo la vendita di Pioneer ad Amundi non più. Di Fineco, che capitalizza 10 miliardi, anch’essa uscita dall’orbita di UniCredit, ora a tutti gli effetti una public company e quindi pienamente contendibile, si è parlato a luglio per una possibile operazione con Zurich, smentita poi dalla stessa società svizzera. Altri possibili player italiani sono Azimut, Banca Generali, Banca Mediolanum, Mediobanca Premier, ma, in tutti questi casi, la struttura azionaria del capitale di fatto blinda gli attuali equilibri e assetti proprietari, non consentendo progetti di sistema e operazioni di più ampio respiro: un passaggio necessario per essere in grado di giocare e competere in un mercato globale che colleghi la ricchezza e il risparmio alla crescita.
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