Caro direttore, come noto il sistema bancario nazionale si è andato progressivamente concentrando, con la riduzione, attraverso fusioni e incorporazioni, del numero complessivo degli istituti. Basti pensare che dal 2011 al 2019 il numero delle banche si è ridotto da 800 a meno di 500. Sembra ci si muova verso banche cosiddette “sistemiche” e a vocazione internazionale (ultimo caso l’acquisizione di Ubi da parte di Intesa San Paolo) che presto o tardi lasceranno scoperti i territori minori e gli entroterra della provincia italiana così ricca di storia, cultura e tradizioni artigianali e industriali. Basta un dato per rendersi conto del processo di consolidamento in corso: le banche italiane vigilate dalla Bce, ossia quelle che hanno attivi superiori ai 30 miliardi di euro, è quasi il 60% del totale contro l’1% della Germania che è la prima economia europea.



Diversi studi internazionali effettuati da docenti di diverse aree geografiche (Stati Uniti, Gran Bretagna, Australia) mostrano che dove operano le banche cooperative e mutualistiche lo sviluppo locale è più equilibrato e diffuso perché la loro presenza apre opportunità per tutti riducendo le disuguaglianze di reddito. Gli stessi studi dimostrano che questa tipologia di banche stimola la creazione di imprese in zone dove è più difficile aprirne di nuove, fermando allo stesso tempo l’esodo della popolazione verso territori a maggior tasso di occupazione.



Le Bcc sono una risorsa strategica per lo sviluppo diffuso dell’Italia (come ha riconosciuto, nella sua relazione, il Comitato Parlamentare per la sicurezza della Repubblica) nelle sue zone più interne e periferiche per cui una minor dinamica e appesantimento o addirittura un loro snaturamento di banche territoriali comprometterà lo sviluppo futuro di intere zone del nostro territorio nazionale.

In questo contesto si innesta il tema delle banche “Significant” e “Less significant” volute dal regolatore europeo perché le Bcc entrando a far parte dei Gruppi nazionali, pur mantenendo un loro grado di autonomia, diventano a tutti gli effetti banche sistemiche e quindi sottoposte al Meccanismo di Vigilanza Unico (MVU) che fa capo alla Bce: esse vengono considerate dal punto di vista dei controlli, degli oneri normativi e dei vincoli patrimoniali alla stessa stregua di colossi bancari nazionali ed europei.



I due Gruppi che si sono costituiti, Iccrea Banca e Cassa Centrale Banca, a cui hanno aderito le singole Bcc (adesione tra l’altro obbligatoria per continuare ad avere la licenza bancaria), sviluppando un attivo superiore ai 30 miliardi rientrano nel perimetro della Bce. Questa “dimensione”, se vale per le due capogruppo, non può dirsi per le singole Bcc che ne fanno parte. Esse infatti mantengono una loro autonomia funzionale, hanno un capitale interamente italiano derivante dai territori, la loro funzione sociale a carattere di mutualità è riconosciuta e valorizzata dalla Costituzione (art. 45), non presentano rischi sistemici e hanno una funzione anti-ciclica nei periodi di crisi, sono collocate, normalmente, in un territorio delimitato; da qui discende un ripensamento della loro regolamentazione con ad esempio un sistema di doppia vigilanza: il regolatore europeo dovrebbe mantenerla sui Gruppi e le Bcc di maggior dimensione, la cui eventuale difficoltà metterebbe o potrebbe mettere in crisi l’intero Gruppo, mentre il regolatore italiano sulle Bcc più piccole (less significant), applicando in questo caso il principio di proporzionalità che prevede norma prudenziali più semplici e coerenti con il modello di business territoriale.

Il controllo sistemico avverrebbe sempre in capo alla Bce con scambi di informazioni tra i due regolatori. Questa nuova eventuale regolamentazione manterrebbe la biodiversità anche all’interno degli stessi Gruppi perché ci sono Bcc che si sono accorpate e hanno assunto dimensioni rilevanti e intra-territoriali e altre che hanno mantenuto la loro territorialità e dimensione locale, sostenendo solo i territori di insediamento con la loro liquidità perché non possono investire altrove, come ha detto l’ex Presidente del Consiglio Conte all’Assemblea nazionale di Confcooperative il 6 ottobre 2020.

Il nostro interesse è difendere questo modello di fare banca che ha più di 100 anni e che è riuscito a sollevare dalla povertà interi territori che altrimenti non avrebbero avuto speranza: è quello che ancor oggi le Bcc di minor dimensione possono e vogliono fare.

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