Continuiamo a guardare al panorama delle banche italiane che innovano e modificano se stesse. Lo sviluppo tecnologico, il digitale, l’AI sono fattori che cambiano un modello bancario sempre più in evoluzione. Le banche tradizionali devono sostenere costi sempre più rilevanti e quella delle aggregazioni è una strada in parte obbligata, proprio per le economie di scala. È tornato il momento di nuove fusioni nel sistema creditizio nazionale e in campo europeo? O i tempi non sono ancora maturi?
Le aggregazioni latitano anche se gli analisti ritengono che esistano le condizioni per favorire nuove operazioni che vedono coinvolto il sistema creditizio, o meglio in alcuni settori come nel risparmio gestito, piuttosto che in altri. Molti istituti puntano ora sul wealth management, il credito al consumo, banca assicurazione…
Nel vecchio Continente la mossa di Bbva (Banco Bilbao Vizcaya), che ha lanciato una opa ostile sul Banco Sabadell, ha riacceso i giochi, anche se il Governo spagnolo si è detto contrario all’operazione per la distruzione di posti di lavoro e la creazione di un oligopolio. Sono ferme le operazioni transfrontaliere, anche se non vi sono preclusioni da parte di alcuni Governi nazionali come quello francese e da parte dei Governatori centrali. Queste operazioni, si sente spesso affermare, rafforzano la solidità dell’Unione europea, ma poi si vede come manchi ancora un completo quadro regolatore, come lo schema unico di garanzia dei depositi. È ancora lontana la creazione di un mercato unico, si spiega in questo modo un approccio prudente della Bce. Se non si sciolgono i nodi normativi rimane impossibile crescere in Europa, nonostante tutto il capitale in eccesso accumulato dalle maggiori banche come in Intesa e Unicredit.
Sotto i riflettori in Italia sono sempre i soliti noti e le “partite” riguardano principalmente, come già in passato, gli stessi nomi, da Mps a Unicredit a Bper, banche che hanno avuto grandi risultati e performance in Borsa.
C’ è chi ha corso di più è Mps (+117%), la sorpresa positiva maggiore fra le quotate, seguita da UniCredit (+97%), spinta dagli utili e dalle operazioni di buyback. Al terzo posto c’è Bper (+95%), davanti a Intesa Sanpaolo che è cresciuta solo, si fa per dire, del 59%.
A questi risultati hanno contribuito in modo consistente i tassi di interesse molto alti e il taglio dello 0,25% dello scorso 6 giugno da parte della Bce (tasso di rifinanziamento principale: 4,25%, dal 4,50%, sulle operazioni di rifinanziamento marginale: 4,50%, dal 4,75% sui depositi: 3,75%, dal 4,00%) non inficerà più di tanto: ha infatti raffreddato le speranze di una manovra più forte nei prossimi mesi e alzato al tempo stesso le previsioni sull’inflazione per il 2024 e 2025.
E a far correre i titoli in Borsa ci hanno pensato le varie operazione di buyback. Negli ultimi esercizi, per esempio, Intesa e Unicredit hanno restituito ai propri soci, tra riacquisto di azioni e dividendi, la considerevole cifra di 35 miliardi di euro. Un meccanismo tecnicamente e algebricamente banale: meno azioni sul mercato ne fanno crescere la quotazione e il prezzo, con l’azionista che incassa una cedola più alta.
Ma se si restituisce capitale ai soci si ha la preponderanza della finanza sull’industria, vuol dire che le banche non si aspettano una crescita significativa del contesto economico in un Paese, l’Italia, che cresce dello 0,9% annuo e l’intera Europa che viaggia su ritmi analoghi, secondo le previsioni di primavera della Commissione europea.
Ci soffermiamo ora su Mos che inizia un’estate importante: dal 2 luglio scadrà il lockup per il Mef di vendere altri titoli di cui lo Stato detiene ora il 26,7%. Quale sarà la strada seguita dal Tesoro? Mps banca da sposare? Per il Ministro Giorgetti l’aggregazione bancaria è ancora la strada, la via maestra da seguire, anche se come è già successo sono possibili altre vie come il collocamento sul mercato di un’altra quota. Lo Stato nel giro di 4 mesi ha ceduto il 37,5% del capitale di Mps con un incasso di 1,57 miliardi di euro. Ricordiamo la vendita a tappe di Mps: a novembre 2023 il Mef ha ceduto il 25% e a marzo 2024 un altro 12,50%. Non è escluso questa volta che la vendita accelerata di un’altra quota sia rivolta e abbia un perimetro di riferimento di investitori più ristretto, per creare un nucleo di azionariato stabile e di lungo periodo. Una manovra che andrebbe nella direzione apprezzata dall’Ue e porterebbe lo Stato sotto il 20%, oltre a rispettare gli impegni del 2017 di uscire dal capitale (l’ultima proroga concessa è per il 2024).
Il risanamento di Mps è un grande successo che fa bene alle casse pubbliche dopo l’esborso in questi anni di oltre 20 miliardi. Bruxelles si è dimostrata molto paziente con il Governo italiano, anche perché la crisi di Mps era veramente complicata da risolvere. Così è stata più volte spostata la scadenza della privatizzazione, senza la quale si sarebbe incorsi nella violazione del divieto di aiuti di Stato. C’è da dire che identica flessibilità e attenzione è stata riservata anche nei confronti del sistema bancario tedesco.
E se la privatizzazione della banca più antica del mondo si mette in discesa, le opzioni sul tavolo rimangono più d’una, il mercato attende di comprendere se l’idea di un terzo polo italiano andrà in soffitta o resterà in campo.
Nel settore intanto vi sono sempre meno addetti, i dipendenti bancari sono in calo vistoso soprattutto nell’arco dell’ultimo decennio (-12%), mentre per gli sportelli siamo a -34%, al punto che assistiamo a quello che viene definito il fenomeno dilagante della desertificazione. Ne avevamo già parlato nell’articolo del 15 marzo dello scorso anno.
Non sono più solo i sindacati di categoria (in particolare la First Cisl) che da anni ha sollevato questo problema con tanto di dati e cifre, ora anche le massime istituzioni come Bankitalia affrontano il tema nella sua cruda realtà.
Il Governatore Fabio Panetta, nelle “Considerazioni finali”, ha ricordato come: “Il ricorso alla tecnologia si sta riflettendo in una riduzione del numero di sportelli bancari che può comportare disagi per alcune fasce di cittadini”…
Per evitare fenomeni di esclusione dai servizi finanziari e difficoltà di accesso al contante si è avviato un tavolo di confronto con i ministeri competenti e i principali operatori nell’ambito della Cash Strategy 2030 varata dall’Eurosistema. L’impatto dell’innovazione tecnologica e le scelte gestionali devono essere gestite con più attenzione ai suoi riflessi economici e sociali, questo vale ancor più per il sistema bancario, che deve garantire allo stesso tempo l’efficienza del sistema e le esigenze di famiglie e imprese.
Il richiamo alla desertificazione bancaria non è casuale. Servono soluzioni in grado di ridurre l’impatto negativo che la chiusura degli sportelli produce sulle fasce più deboli della popolazione. Sono oltre 4 milioni le persone che risiedono in comuni privi di filiali bancarie e in cui solo il 26% della popolazione tra i 65 e i 74 anni utilizza l’internet banking.
Una tendenza delle banche a ridurre la propria presenza sui territori che si somma ai preoccupanti dati registrati sino al 2023. Lo scorso anno hanno chiuso 826 sportelli, dopo i 677 del 2022, tendenza proseguita anche nei primi mesi del 2024, i centri senza banca al 31 marzo sono 3.289 (il 41,5 % del totale).
È un quadro allarmante quello che emerge. Non sono solo le persone a subire le conseguenze dell’abbandono dei territori da parte delle banche. Anche per molte piccole imprese la chiusura delle filiali rappresenta un problema rilevante. Un dato che spesso significa: meno credito, con ciò che ne consegue per lo sviluppo del Paese e la tenuta del suo tessuto sociale.
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