È proprio vero: nella vita non si smette mai di imparare. Ad esempio, il sottoscritto – giunto alla veneranda età di 46 anni – ha appena scoperto che Bari si trova in Germania. Non lo sapevo, giuro. Eppure, avrei dovuto intuirlo da almeno un paio di settimane. Esattamente da quando l’esercito dei venditori di fumo a fini elettorali aveva deciso che il Mes fosse diventata la pietra filosofale, il Sacro Graal di ogni campagna di disinformazione e propaganda allarmistica per cercare disperatamente di tornare al governo. O, quantomeno, mandare a casa quello in carica, tramite la conquista gramsciana della casamatta delle elezioni regionali in Emilia-Romagna. L’opposizione, tutta, ha dato il peggio di sé. Anche con toni francamente patetici come quelli assunti, con il passare dei giorni e il fiutare tardivo l’aria, di Forza Italia, partito un tempo – almeno formalmente, molto formalmente – liberale e liberista, ma che ora parla come un blog di cultori della Mmt e di Bitcoin. Chissà se quando i sondaggi suoneranno l’allarme rosso del rischio stesso del raggiungimento di un ipotetico sbarramento del 3%, qualcuno avrà un sussulto di buon senso fra gli azzurri ancora raziocinanti. Ma anche parte della maggioranza è stata tentata dal colpo di coda del populismo anti-teutonico, basti mettere sotto la lente d’ingrandimento la sequela di distinguo al riguardo del Movimento 5 Stelle.
E ora, cosa si fa? E, soprattutto, quale balla si vende agli elettori/contribuenti/risparmiatori per dimostrare che il fallimento de facto della Popolare di Bari, fra prestiti allegri e contabilità creativa, non è colpa dell’Europa? O, forse, siamo alle prese con un complotto talmente ben orchestrato da vedere complice con ruolo attivo anche Bankitalia, visto che è stata proprio la nostra Banca centrale ad assumere il ruolo e le sembianze del mitico Big Ben di Portobello e dire stop, commissariando l’istituto pugliese e scaricando la patata bollente sul tavolo del Consiglio dei ministri. Il quale, ovviamente, essendo la trasposizione politica di una maionese impazzita, si è spaccato e non ha portato ad alcuna soluzione. Non immediata, almeno. Ma, esattamente come Clark Kent che entra nella cabina telefonica in veste di impiegato e ne esce travestito da Superman, il premier Giuseppe Conte spariglia le carte e rilancia: “Faremo una sorta di banca del Sud a partecipazione pubblica”. Almeno ora abbiamo una certezza. Ovvero, qualcuno metterà sicuramente le mani nei nostri conti correnti, ma non saranno il Mes e la perfida Europa, bensì il sovranissimo governo nazionale per salvare un istituto privato disfunzionale, visto che la partecipazione pubblica la paghiamo indirettamente tutti.
D’altronde, quando senti parlare di nuova Iri come risposta alla crisi Ilva, questo non può che essere il passo successivo e conseguente della caduta verso abissi venezuelani. Che si fa, adesso? Si chiede conto alla Merkel o a Macron per le disgrazie della Popolare di Bari? La quale, certamente, non offre grosse sponde propagandistiche a chi si riempie la bocca – non conoscendone né la natura, né il funzionamento – con la parola “derivati”, nuovo mantra ad esempio dell’onorevole Giorgia Meloni, partita lancia in resta contro Deutsche Bank e il suo book di trading nel dibattito pre-Consiglio Ue alla Camera. Ma dov’erano questi/e signori/e, quando Deutsche Bank davvero agiva come un hedge fund? Forse stavano ancora tracciando croci celtiche con la vernice su qualche muro di periferia o lavorando alacremente al progetto di indipendenza della Padania, salvo poi tramutarsi magicamente in esperti di banche e finanza, quando l’aria comincia a profumare di ritorno a palazzo Chigi. Ma si sa, la realtà è testarda. E malevola. Perché quando Ignazio Visco, governatore della stessa Bankitalia, ha compiuto una straordinaria capriola sul tema Mes in sede di audizione alla Camera e anche il capo dell’Abi, Antonio Patuelli, ha abbassato non poco il tiro sulla questione, un politico mediamente accorto avrebbe capito che il giochino della propaganda stava per finire. Loro no, invece. Troppo ghiotta l’occasione, troppo bello lo slogan: “Vogliono salvare le banche tedesche e francesi con i soldi degli italiani”.
Nemmeno il pubblicitario che ha creato il “cuore di panna” per il cornetto Algida sarebbe riuscito a dar vita a una formula così vincente, capace di trasformare una balla sesquipedale in un mantra buono per ogni dotta discussione al bar o in fila alla cassa dell’Esselunga. Ed ecco che, magicamente, la banca da salvare – letteralmente – nell’arco di pochi giorni è comparsa all’orizzonte: ed è italianissima. Priva di derivati, brutti e cattivi. Niente swaps. Niente leveraged loans. Ma piena zeppa di fidi a babbo morto e ai soliti noti, oltre che di spese allegre. Almeno, stando alle inchieste, implicitamente confermate dalla decisione di Bankitalia e dagli sviluppi di queste ore. Ma, magari, la Popolare di Bari ha anche con una buona scorta di Btp a bilancio, in ossequio al doom loop fra politica e mondo del credito che tanto sta a cuore ad Antonio Patuelli, all’Abi tutta e al Palazzo che teme come la morte il senso di responsabilità e il concetto di rischio associato al debito.
Verrebbe da dire che, in un Paese normale, gente che ha gettato al vento i semi del terrorismo finanziario più bieco per giorni (stampa inclusa, spesso e in alcuni casi al primo posto), unicamente per tornaconto elettorale, dovrebbe quantomeno chiedere pubblicamente scusa, recitare un mea culpa e prendersi un periodo di riposo. Ma il problema è differente. E più grave. In un Paese civile, certi argomenti distorti e palesemente travisati non avrebbero nemmeno cittadinanza nel dibattito pubblico, per il senso della decenza e dell’onore che il fare politica impone. Qui, invece, per giorni sono stati il centro del dibattito. La carne e il sangue, l’alfa e l’omega. Poi, quando il Consiglio europeo ha spento sul nascere ogni possibile polemica, ecco emergere prima il silenzio di chi si ritrova in mano un pugno di mosche e poi la disperata ricerca di una nuova crociata da combattere. Ma deve far riflettere quell’attimo di silenzio smarrito e spaesato, soprattutto. Forse, consigliato a chi di dovere anche da persone con antenne più dritte e sintonizzate delle loro, le quali avevano capito come la grana barese fosse all’orizzonte. E, forse, non da sola.
E qui, con tutta la fantasia e la malafede a disposizione, dare la colpa all’Europa, alla Germania o alla Francia, appare decisamente improbo. È tutta farina del nostro sacco, l’ennesimo scandalo di malagestione tutto e fieramente made in Italy. Come Mps. Come Etruria e soci. Come le banche venete. O anche quei casi sono frutto di un complotto europeista? Forse è stata Bruxelles a imporre a Mps di acquistare Antonveneta da Santander a una cifra spropositata? Non mi pare, anzi. Ed è colpa di qualche banchiere bavarese se in Veneto, Zonin e compagnia cantante avevano creato il sistema dei “prestiti baciati” e valutavano azioni non quotate come titoli di Apple? E il caos dentro le popolari, l’hanno forse creato dei banchieri della Provenza con il tacito e complice assenso dell’Eliseo? Come regge, come si concilia, ora, l’allarme sul Mes che metterà le mani nei nostri conti correnti per salvare le banche traballanti di Germania e Francia con la realtà di un istituto, tutto italiano, che necessita di 1 miliardo entro 48 ore per non finire letteralmente zampe all’aria per malagestione conclamata?
Per quanto io possa sforzarmi, non riesco proprio a collocare Bari vicino a Dusseldorf. E nemmeno in prossimità di Lione. Bari è in Italia, il Paese le cui ricchezze qualcuno vorrebbe venderci come a rischio depredazione per salvare il book dei derivati di Deutsche Bank. Il quale, fra parentesi, è stato messo in sicurezza da Fed e Goldman Sachs e alleggerito dei rami più fruttuosi da Bnp Paribas. Anche perché, al netto delle distorsioni e della follia del sistema finanziario, se davvero sarà Brexit, si apre la corsa al ruolo di hub finanziario di riferimento europeo. Ovviamente, in testa ci sono Parigi e Francoforte. Ma anche Amsterdam prova a giocare qualche carta. E Bruxelles, magari per i bocconi meno operativi e più “politici”, vista la presenza delle istituzioni Ue. E l’Italia? L’Italia si limita a fare ciò che sa fare meglio e che l’ha ridotta come è oggi, degnamente rappresentata dalla stragrande maggioranza della sua classe politica e dell’informazione: accusare gli altri delle proprie sventure, evitando accuratamente un bel mea culpa. Che non significa affatto ignorare i difetti altrui, in ossequio a una patetica e provincialista esterofilia da complesso di inferiorità. Bensì, chiudere i conti con un passato di auto-assoluzione culturale che esonda quasi nel genetico. E di un comodo e pedissequo conformarsi alla logica del “così fan tutti”.