Le strade di UniCredit e Commerz si sono incrociate spesso nell’ultimo quarto di secolo. Era il 1999 quando il gruppo neonato di Alessandro Profumo lanciò l’Opa sulla concittadina Comit, sapendo che – in caso di successo – avrebbe trovato la banca tedesca fra gli azionisti (graditi) provenienti dalla Commerciale. Quell’interruttore non scattò, ma il feeling rimase: Commerz (la più piccola fra le tre big private tedesche) aveva bisogno di un partner e UniCredit aveva tutte le misure utili.



I colloqui per una fusione piena andarono avanti per tutto il 2001, ma le Borse di allora non gradirono: la banca milanese aveva fama di “miglior partito” in Europa e Commerz – già allora un po’ carica di derivati – non sembrava la fidanzata migliore (curiosità: le trattative furono mutualmente interrotte il 10 settembre: ventiquattr’ore prima dell’attacco alle Torri Gemelle, letale anche sui mercati).

Le antenne di UniCredit rimasero puntate però sulla Germania: nel 2005 fu annunciata la fusione con Hvb, la big bavarese bisognosa di ristrutturazione. È da allora che UniCredit ha un’importante “anima tedesca”: rimasta anche dopo l’aggregazione italiana di Capitalia. Un radicamento – testimoniato dalla presenza di Josef Rampl alla presidenza per alcuni anni – che non è venuto meno neppure dopo la crisi finanziaria del 2008: che ha colpito la Germania più duramente dell’Italia, tanto che proprio Commerz  fu oggetto di un salvataggio con un pesante intervento pubblico.

Quella quota (18%) è rimasta in portafoglio allo Stato fino a ieri: quando metà del pacchetto è stato collocato dal Governo di Berlino. UniCredit se n’è aggiudicato metà, aggiungendo altre azioni fino a una partecipazione del 9%, investendo circa 1,4 miliardi di euro. Ma il cerchio non si è chiuso prima che –  poco prima dello choc-Covid – UniCredit finisse di nuovo sui media finanziari per un’esplorazione su Commerz condotta dal Ceo Jean Pierre Mustier, in alternativa a un’aggregazione con la francese Société Générale.

A trasformare in realtà venticinque anni di abboccamenti, piani e rumor di mercato è stato però Andrea Orcel. Il banchiere d’affari londinese che nel 1998 aveva tenuto a battesimo UniCredit (fusione fra Credito Italiano e Casse di risparmio di Torino, Verona e Treviso) è tornato tre anni fa alla guida del polo e ne ha rilanciato gestione (fino ai quasi 9 miliardi di utili previsti a fine 2024) e titolo (valore quintuplicato in tre anni fino a sfiorare 40 euro, anche ieri in crescita oltre 36). Dopo aver discusso con il Governo italiano un possibile intervento in Mps, per tre anni Orcel si è concentrato sulla riorganizzazione interna, senza mai chiudere la porta a opzioni di aggregazione. Nel frattempo ha condotto una politica aggressiva di buyback, con due esiti finali: il forte rialzo del titolo e l’accumulo di un pacchetto di azioni proprie, potenziale merce di scambio in caso di M&A.

È anche su queste premesse che ieri mattina è arrivato il comunicato UniCredit: forse per coincidenza rilasciato la stessa mattina in cui Ursula von der Leyen (tedesca) avrebbe dovuto ufficializzare la composizione della nuova Commissione Ue. Due giorni dopo – comunque – che Draghi ha tolto i veli al suo Rapporto sulla competitività Ue. Nei dossier aperti ieri in Germania da UniCredit c’è anche questo.

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