Arriva il mese di maggio, tempo di nomine pubbliche e la politica si agita. Su tanti giornaloni, in questi giorni, si fa a gara nel dare lo scoop su chi verrà promosso, chi sarà bocciato, oppure ancora su chi verrà confermato. Una delle partite sicuramente più appetitose riguarda la nomina di Cassa Depositi e Prestiti: l’assemblea si riunirà in prima convocazione il prossimo 13 maggio e c’è chi giura che per quella data i giochi saranno fatti. Giochi e trame che sembrano non coinvolgere l’attuale presidente, Giovanni Gorno Tempini, insediatosi nel 2019 e confermato anche durante il Governo Draghi. La sua nomina pare sicura perché spetta alle Fondazioni ex bancarie, azioniste di Cdp al 13%, che lo hanno di fatto già blindato. La vera partita che si va a giocare è quella che riguarda lo scranno dell’amministratore delegato, ora ricoperto da Dario Scannapieco. Un servitore dello Stato, nominato da Mario Draghi. Con le dimissioni del premier in carica e l’arrivo della Meloni pareva che quella di Scannapieco potesse rimanere solo una breve parentesi in Cdp. Il centrodestra, da quando si è insediato, ha fatto subito i propri calcoli per non sprecare un’occasione così ghiotta: mettere le mani su Cassa per gestire la partita del Pnrr e i tanti dossier strategici per lo sviluppo del Paese.
È dall’estate scorsa che i rumors si rincorrono, insieme alle tante tensioni. Non in Cdp dove si lavora a testa bassa, ma nelle stanze della politica. Tuttavia la realtà è un po’ diversa dai disegni faziosi della solita “Repubblica”. Si vociferava di un braccio di ferro, l’ennesimo montato da certi giornali, tra Meloni e Salvini, col vicepremier che avrebbe giocato il ruolo di guastafeste: alzare i toni su una partita che lo vedeva di fatto ai margini, per fare la voce grossa su partite più appetibili (tipo FS) per lui e la Lega.
In realtà questo scontro nel salotto del Governo non è mai avvenuto. Anzi, Meloni e Salvini avevano trovato la quadra sulla candidatura di Edoardo Rava, managing director di Goldman Sachs. Un ruolo a parte, invece, da terzi incomodi lo hanno giocato, nella partita Cdp, Giorgetti e i colonnelli di Fratelli d’Italia. Fazioni che per un momento si sono trovate sulla stessa sponda nel designare il nome di Antonino Turicchi, presidente di Ita, tra agosto e ottobre dello scorso anno. Turicchi, uomo stimatissimo dal titolare del Mef, ha buoni uffici all’interno di Fratelli d’Italia tra gli uomini forti che lo hanno introdotto anche nei salotti della Meloni da cui è molto apprezzato. Oggi è una figura troppo importante nell’annosa e delicata questione Ita per poter essere inserito in altri discorsi di nomine. Altri candidati su questi due fronti, soprattutto all’interno del partito di maggioranza, fioccano tutti i giorni. I più attivi sono La Russa, la ministra Santanchè e Adolfo Urso.
In questo scenario agitato, Meloni ha deciso di rinunciare al candidato Rava, aprendo di fatto in modo convinto alla riconferma di Dario Scannapieco, decisione avallata anche dall’alleato Salvini. Scannapieco, oltre ad essere un grande manager, si è rivelato un vero uomo delle istituzioni. Imperturbabile davanti ai rumors dell’ultimo anno sulla sua poltrona, ha scelto la strada del silenzio e del lavoro, facendosi apprezzare in primis proprio dalla premier che ha cominciato a stringere con lui una vera “alleanza” operativa sui dossier principali, lavorando fianco a fianco.
Il segreto dietro questo epilogo, per alcuni osservatori inaspettato, è stata la regia discreta di un uomo chiave nella vicenda Cdp, quel Fabio Barchiesi, capo dello staff di Scannapieco, che si è fatto letteralmente carico dell’operatività dell’azienda riuscendo oltretutto a tessere rapporti solidi con il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari e con gli uomini del Mef. Questo canale di dialogo e di confronto continuo ha creato le condizioni di vera conoscenza e di lavoro tra Meloni e l’ad di Cdp, lontano dai riflettori. E il risultato è la probabile conferma di Scannapieco che potrebbe concretizzarsi entro metà maggio.
La prudenza è sempre d’obbligo in questi casi, quando c’è di mezzo la politica. Ma le premesse per la riuscita dell’operazione ci sono tutte e sono ben solide. Anche Draghi ringrazia, e forse può aver “aiutato” pure quella convergenza europea di interessi e alleanze che l’ex premier negli ultimi mesi ha trovato con la Meloni. Il resto è cinema, come quei titoloni di Repubblica e Corriere che fanno a gara per gridare “io l’avevo detto per primo”. Dimenticandosi i fiumi d’inchiostro gettati su rumors (smentiti), pugnalate (presunte) e pseudo-crisi di Governo.
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