Finito l’unilateralismo statunitense, nasce il bipolarismo sino-americano? E’ l’impressione che si trae dopo la lettura della missiva che il riconfermato per la terza volta segretario del Partito comunista cinese Xi Jinping ha inviato al Comitato nazionale per le relazioni Usa-Cina: “La Cina è disposta a lavorare con gli Stati Uniti per trovare il modo di andare d’accordo a beneficio di entrambi”. E ancora: “Come grandi potenze, la Cina e gli Stati Uniti dovrebbero rafforzare la comunicazione e la cooperazione per contribuire a fornire stabilità al mondo che oggi non è né pacifico né tranquillo.



Una migliore comunicazione tra le due nazioni rafforzerebbe la pace e lo sviluppo globale”. Parole che sembrano annunciare la divisione del mondo fra le due super potenze, eliminando di fatto dallo scacchiere la Russia? Non è d’accordo Massimo Introvignesociologo e fondatore del Cesnur,che in questa intervista ci dice che “i segnali che provengono da Pechino, dopo la riconferma nel Comitato centrale di personaggi fortemente anti americani, sembrano dirci il contrario”.



In vista del possibile incontro di persona tra Biden e Xi Jinping il prossimo mese al vertice del G20 in Indonesia, il leader cinese porge un ramoscello d’ulivo agli Stati Uniti?

Diciamo che in una lettera a una commissione che esiste da molti anni e che ha il compito di migliorare i rapporti tra Stati Uniti e Cina difficilmente Xi avrebbe potuto dire il contrario o parlar male dell’America. Ci sono invece dei segnali più o meno contraddittori.

Perché?
Se guardiamo infatti alla composizione del Politburo del Partito comunista cinese uscita fuori dal recente congresso, vediamo che sono stati confermati e inseriti tutta una serie di personaggi che hanno un atteggiamento piuttosto aggressivo nei confronti degli Usa, il che lascia intendere che da un punto di vista strutturale non cambierà granché o nulla.



Non crede che Xi Jinping avrebbe potuto anche non scrivere questa lettera o limitarsi solo a frasi diplomatiche?

Sicuramente ci sono delle ragioni anche economiche per tenere in piedi un dialogo con Washington e per sottolineare anche una certa differenza con la Russia. Ma uno dei dati che sembrano andare in direzione contraria, ed è forse più importante di una lettera, è la riconferma dei sei membri del comitato ristretto tra cui Wang Huning.

Chi sarebbe?

E’ un vecchio signore, considerato il teorico del confronto duro con gli Usa, che già negli anni 90 scrisse un libro intitolato “Contro l’America” che è ancora oggi un caposaldo della propaganda cinese. Il fatto che di questo dinosauro non se ne riesca a fare a meno sembra andare in direzione diversa rispetto alla lettera.

Che cosa dobbiamo trarre da tutti questi segnali?

Che si vuole tenere una porta aperta, soprattutto per evitare ulteriori sanzioni economiche, come sottolinea anche la reiterata cautela nel dire che la Cina non fornisce materiale a industrie russe in osservanza alle sanzioni in atto. Dall’altra parte, invece, il discorso propagandistico e di confronto sul piano diplomatico nei rapporti con i paesi del Terzo mondo e le Nazioni Unite continuerà a seguire il registro di un confronto acceso.

Quindi pensare che Cina e Stati Uniti si possano in qualche modo accordare lasciando fuori la Russia non ha senso?

Credo che la Cina abbia bisogno di tenersi delle porte aperte, anche se si sta rendendo conto che ne trova di più in alcuni paesi europei, come la Germania.

Si riferisce alla vicenda del porto di Amburgo?

Non solo a quella, che si è conclusa con il divieto per Scholz di proseguire nell’accordo. Ai cinesi interessano notizie come il fatto che la Basf, una delle più grandi compagnie chimiche al mondo, abbia intenzione di chiudere tutti i suoi stabilimenti tedeschi con grande gioia dei lavoratori che votano socialdemocratico e trasferirli in Cina, o che ancora Scholz voglia autorizzare la vendita di Elmos, azienda produttrice di microchip, alla concorrente cinese Silex.

Come mai questa svolta a favore di Pechino del cancelliere tedesco?

La Germania si sta attirando forti critiche dalla Commissione europea e dai suoi partner storici, sembra infatti aver imboccato una strada verso Pechino che non è quello che ha in testa Biden. Rispetto alla sua idea di indipendenza economica dalla Cina, sembra che Scholz dia un segnale del tutto opposto, dicendo: se mi devo sganciare dalla Russia, allora mi allaccio alla Cina.

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