“Censure e repressioni da parte del regime comunista cinese”. “Sottovalutazione del pericolo da parte dell’Organizzazione mondiale della sanità”. “Vergognosa sudditanza del governo Conte agli interessi economici e geopolitici di Pechino”. In pratica, una catena di errori che aiutano a capire “L’infinito errore”, il titolo che Fabrizio Gatti, giornalista de L’Espresso, ha voluto dare al suo libro-reportage per svelare “la storia segreta di una pandemia che si doveva evitare” (La Nave di Teseo), in libreria da pochi giorni.
Un percorso a ritroso, di oltre 600 pagine, come seguendo un filo d’Arianna, per cercare di spiegare il contesto in cui tutto è avvenuto. “Un contesto completamente diverso – sottolinea Gatti – dalla cosiddetta versione ufficiale, che insisteva sul tasto del virus sconosciuto e di una malattia contro cui non si poteva nulla. Fin dalla fine di gennaio 2020 mi ero reso conto che la risposta data dal governo italiano in merito a quanto stava accadendo in Cina ci stava portando dritti verso un baratro, perché tutti sottovalutavano il pericolo”. Così Gatti decide di investigare.
L’arco temporale della sua inchiesta copre il periodo che intercorre tra la prima epidemia di Sars, nel 2003, e il 21 febbraio di quest’anno, subito dopo l’esito dell’ultima ispezione-farsa dell’Oms a Wuhan. Ne esce un racconto in cui Gatti compulsa tutti gli studi condotti che spiegano che cos’è oggi questo Covid-19, analizzando e studiando oltre 10mila documenti: articoli scientifici, materiali riservati, accessi a diverse banche dati su tutti i virus del mondo.
Alla fine di questo tuo viaggio alle origini del Covid-19, setacciando tutto quanto è stato scritto sui coronavirus dal 2003 in poi, e alla ricerca delle cause e degli errori che hanno portato all’insorgere e al diffondersi di un’epidemia poi diventata pandemia, si può parlare di esperimento sfuggito di mano?
Non proprio. Nel mio lavoro di ricerca non ho trovato dimostrazione sulla fabbricazione artificiale del virus.
Che cosa hai scoperto allora?
Mi sono reso conto che in nessun caso, nelle ricerche condotte dai cinesi, viene tenuto in considerazione il rischio biologico di contaminazione, sia nella fase di raccolta dei campioni di escrementi di pipistrelli che contengono il coronavirus, sia nella loro lavorazione in laboratorio per trasformarli in preparati utili a isolare i virus, a registrarli e a indurli al salto di specie in altri animali.
Ma come operavano questi ricercatori cinesi?
Secondo le molte testimonianze che ho raccolto, questi cacciatori di virus dormivano all’interno delle grotte per più giorni, cucinando e mangiando lì, a contatto con la polvere contaminata dagli escrementi dei pipistrelli. Quindi l’ipotesi più probabile è che i ricercatori cinesi siano rimasti contaminati o durante la fase di raccolta dei campioni o nella successiva lavorazione nei laboratori, attraverso un’infezione asintomatica o paucisintomatica a cui non hanno dato particolare attenzione.
Cosa avveniva in questi laboratori?
Il direttore del famoso laboratorio di livello Bsl 4 di Wuhan, a ottobre 2019, ha pubblicato un articolo scientifico in cui denuncia la gravissima precarietà dei laboratori cinesi con rischio di contaminazione, mancanza di fondi, impreparazione del personale. Poco tempo dopo, a epidemia già iniziata, i giornali cinesi parlano addirittura di un’indagine che ha scoperto la vendita di cavie da laboratorio al mercato nero e la dispersione in normali lavandini dei rifiuti biologici degli esperimenti. Basta questo per capire come mai questa approssimazione si sia poi concretizzata in una epidemia.
Nel tuo libro sollevi il velo sul fatto che il Sars-Cov-2 avrebbe due parenti stretti, due virus originati da esperimenti condotti da laboratori militari cinesi. Di che cosa si tratta?
Il 5 gennaio 2020 il Centro per la salute pubblica di Shanghai trascrive il sequenziamento del nuovo coronavirus e comunica immediatamente al ministero della Sanità cinese questa importantissima scoperta, utile per studiare la sequenza genetica e la possibilità di trovare vaccini e terapie necessarie per combatterlo. Il 7 gennaio lo studio viene spedito a Nature per la pubblicazione, che purtroppo avverrà solo a inizio febbraio.
Che cosa rivela quello studio?
Indica i parenti più prossimi, discendenti dallo stesso progenitore, del coronavirus dei pipistrelli, che si chiamano ZC45 e ZXC21. Non viene specificato chi abbia condotto gli esperimenti e questa registrazione, ma, accedendo alle banche dati, ho scoperto che questa registrazione e i relativi esperimenti sono stati eseguiti dal Comando di medicina militare di Nanchino e dalla Terza università militare, grazie a finanziamenti concessi dall’Esercito popolare cinese per un progetto che riguarda l’archiviazione, l’isolamento e lo sviluppo in laboratorio di coronavirus dei pipistrelli. ZC45 e ZXC21 sono stati indotti al salto di specie, contaminando ratti di laboratorio per verificare le infezioni che provocavano. E hanno dimostrato che senza un passaggio intermedio erano capaci di legarsi ai recettori di altri animali e di contagiarli gravemente.
I laboratori militari cinesi che studi conducevano? E come?
In questi esperimenti militari non si tiene conto del rischio di contaminazione biologica, si dice solo che la contaminazione dei ratti è avvenuta in un laboratorio di livello Bls 3, ma la preparazione dei campioni è avvenuta nelle grotte, in una zona densamente popolata come la provincia dello Zhejiang, dove avveniva l’estrazione delle interiora dei pipistrelli che contengono il coronavirus. E per ben 334 volte queste viscere sono state frullate in una centrifuga per preparare un liquido da cui ricavare poi i coronavirus. Con un esperimento molto maldestro.
Perché?
Nel loro studio i militari ammettono che forse hanno scongelato e ricongelato troppe volte questi campioni, che forse hanno frullato troppo velocemente il preparato tanto da aver fatto perdere le proteine Spike e aver impedito così la loro replicazione all’interno delle colture. Però dicono che sono riusciti, iniettando questo liquido nei topi, a provocare gravi infezioni.
Cosa succede dopo che il 5 gennaio la sequenza genetica del Sars-Cov-2 viene scoperta?
Il regime comunista cinese sapeva che il nuovo coronavirus discendeva direttamente dallo stesso progenitore di due coronavirus sviluppati e isolati dai militari, ma questa notizia è stata tenuta segreta, così come il sequenziamento. Anzi, quando l’11 gennaio 2020 un collega australiano del professore cinese che firma questo studio lo pubblica su un blog specialistico per far sapere quale fosse la genetica del Covid-19, il giorno successivo a Shanghai il Centro per la salute pubblica viene chiuso dalla polizia a tempo indeterminato.
Oltre a ZC45 e ZXC21, entra però in gioco un terzo coronavirus…
Esatto. L’Istituto di virologia di Wuhan, guidato dalla professoressa Shi Zengli, registra nel frattempo un altro coronavirus, chiamato RaTG13.
Perché è importante parlarne?
Quello che scopro è che questo coronavirus viene registrato a fine gennaio 2020. Ma la Zhengli dichiara che il campione, rinvenuto all’interno delle feci di pipistrelli, era stato raccolto il 24 luglio del 2013. Prassi vuole che un campione raccolto venga subito registrato nella banca dati. Accedendo ad essa, ho invece visto che quel campione del 2013 viene registrato l’11 febbraio del 2020, a epidemia già scoppiata. Dichiarando che questo coronavirus è il più prossimo al Sars-Cov-2, Zhengli riesce così a sviare l’attenzione dai due virus dei militari. Ma ci sono due dettagli taciuti molto importanti.
Quali?
Ho verificato la composizione di due comitati di controllo dell’Istituto di virologia di Wuhan: il Comitato consultivo del centro per le malattie emergenti, diretto proprio dalla Shi Zhengli, e il Comitato esecutivo internazionale per la valutazione delle performance dell’Istituto di virologia di Wuhan. Entrambi sarebbero stati formati da scienziati di tutto il mondo.
Perché utilizzi il condizionale?
Ho scritto ai membri internazionali non cinesi, tra cui figure primarie della virologia mondiale, e mi hanno risposto che non sapevano di far parte di questi comitati. L’ultima volta che si erano recati a Wuhan risaliva al 2012-2013 e da allora non erano più tornati.
E il secondo dettaglio importante?
Dalla registrazione delle mappe cinesi dove si sono verificati focolai, ho scoperto che il 23 gennaio 2020, quando viene chiusa Wuhan, c’è un grosso focolaio anche ad Hangzhou, capoluogo dello Zhejiang, la provincia in cui sono stati raccolti i coronavirus dai militari, che vanno appunto nelle grotte vicine a Zhoushan, città-arcipelago densamente abitata. Ed è proprio lo Zhejiang la porta d’ingresso dell’epidemia in Lombardia, alla luce dei suoi fitti rapporti – economici, imprenditoriali, turistici… – con la Cina.
Quali prove hai in mano per affermarlo?
Il Covid che è arrivato in Europa e in Lombardia non in una sola volta ma a più riprese, è il ceppo di Shanghai, che si trova a poco più di un centinaio di chilometri dal capoluogo dello Zhejiang. E qui è giusto ricordare una scelta sciagurata del governo Conte che il 13 gennaio 2020, per dare seguito al Memorandum d’intesa con la Cina, su insistenti pressioni di Pechino, raddoppia con decorrenza immediata il numero dei voli da e per la Cina, portandoli da 54 a 108 per parte. Parliamo cioè di 216 voli a settimana che vanno avanti e indietro: siamo nell’ordine di oltre 20mila persone che si muovono ogni settimana e in quella prima fase si possono contare circa 6mila italiani, di ritorno dalla Cina, che rientrano in famiglia e in azienda, in gran parte giovani, in buona salute e asintomatici. Nessun altro governo in Europa né nel mondo ha raddoppiato il suo flusso di traffico passeggeri con la Cina nel momento in cui a Wuhan si comincia a morire per il Covid e il virus inizia a uscire dai confini cinesi. Per fare un paragone: se nel 2014, durante l’epidemia di ebola in Liberia e Sierra Leone, anziché chiudere i collegamenti con questi paesi, li avessimo raddoppiati, molto probabilmente avremmo avuto focolai di ebola anche in Italia. La ritengo una sottovalutazione irresponsabile da parte del governo Conte dei doveri di profilassi internazionale.
Nel tuo libro riporti una nota, datata 21 gennaio 2020, in cui l’allora capo della Protezione civile, Angelo Borrelli, segnala al premier Conte il pericolo costituito da questo massiccio afflusso di turisti cinesi e in cui si fa esplicito riferimento alla stretta analogia tra il Covid-19 e la Sars del 2003. E’ rimasta lettera morta?
Sì, infatti sappiamo che solo il 30 gennaio vengono bloccati i voli, ma l’Enac subito comunica che si può triangolare con scali internazionali intermedi. E tra le migliaia di cinesi che sono arrivati in quel periodo in Italia ci saranno stati sicuramente molti soggetti asintomatici. Non a caso i primi due casi di coronavirus in Italia li portano i due turisti cinesi, sbarcati a Malpensa, che dopo aver attraversato il nostro paese vengono ricoverati allo Spallanzani. Quanti altri asintomatici sono arrivati da noi senza rendersi conto, non manifestando sintomi gravi, di avere il coronavirus?
Insomma, con quella decisione di raddoppiare i voli con la Cina l’Italia ha perso una prima buona occasione per bloccare l’epidemia. Ne ha poi sprecate altre?
La seconda possibilità di rimediare, anche se forse era già tardi, a qualcuna delle terribili conseguenze che l’Italia, e soprattutto la Lombardia, hanno subìto si è presentata il 4 febbraio 2020, quando i governatori delle regioni del Nord avevano chiesto al premier Conte di imporre una quarantena obbligatoria a quanti rientravano dalla Cina. Non solo le famiglie cinesi residenti in Italia e che erano andate nel loro paese per festeggiare il Capodanno cinese qualche giorno prima, ma anche gli italiani, che allora avevano ricevuto dal ministero della Salute linee guida sbagliate sui comportamenti di profilassi cui attenersi: l’isolamento era richiesto solo in presenza di sintomi gravi ed evidenti. Questo ha portato all’inevitabile creazione di tante catene di trasmissione del virus, tra cui le prime, a dicembre, si sono estinte da sole, ma quando hanno cominciato a moltiplicarsi si sono addensate nel drammatico focolaio che abbiamo conosciuto.
Al ministro della Salute sono da imputare “scelte irresponsabili”. Quali, in particolare?
Il libro dimostra con innumerevoli dichiarazioni e documenti inediti che il governo italiano, che era in quel momento la testa d’ariete della penetrazione degli interessi cinesi in Europa, ha privilegiato i legami economici e geopolitici con Pechino rispetto alla salute dei propri cittadini. Altrimenti avrebbe obbligato alla quarantena chi rientrava dalla Cina e avrebbe ridotto ai minimi termini il traffico dei voli già il 21 gennaio. Le autorità cinesi premevano perché avevano già venduto i biglietti soprattutto ai loro connazionali che volevano rientrare in patria per il Capodanno cinese. Lo ammette lo stesso Conte, il 4 febbraio in risposta alle richieste dei governatori del Nord Italia: non possiamo danneggiare i nostri imprenditori che operano in Cina. Facendo così pagare al paese un prezzo mostruoso.
Dove gli interessi cinesi trovano i canali giusti per infiltrarsi in Italia?
Ai vertici di questa lobby di interesse che cura la penetrazione dei piani strategici cinesi in Europa c’è un’associazione di cui è presidente onorario Massimo D’Alema, l’unico non cinese con questa carica.
Gli altri presidenti onorari chi sono?
Tre importanti politici cinesi. Uno è un ex ministro della Sanità, un altro è un ex ministro degli Esteri e il terzo è stato per anni il capo dell’Ufficio informazioni del Consiglio di Stato cinese, in pratica l’organismo che dirige la repressione del dissenso in Cina. Diciamo che D’Alema ha peccato di sottovalutazione del pericolo. Questi personaggi fanno gli interessi non certo dell’Italia, ma del loro paese, portati avanti con grande determinazione attraverso il progetto della Nuova Via della seta. Questo aiuta a spiegare perché l’Italia è entrata per prima nelle fauci dell’epidemia e perché proprio l’Italia ha avuto un ruolo fondamentale per trasformare l’epidemia in pandemia, disseminandola in altri paesi.
In quest’anno di pandemia l’Italia ha affrontato tre ondate del coronavirus, un pesantissimo lockdown, un andirivieni caotico di chiusure e semi-aperture, un profluvio disordinato di regole di comportamento. Come il governo Conte ha gestito questo lungo stato di emergenza?
Il giudizio sull’operato del governo Conte non può che essere estremamente negativo. Ha fallito la prevenzione, non è riuscito a contenere l’epidemia, ha ritardato i confinamenti necessari – e ogni giorno di ritardo nel decidere il lockdown si tramuta in un lockdown più lungo -, attraverso i suoi funzionari ha rimandato drammaticamente, quando aveva già dichiarato lo stato di emergenza, l’acquisto di dispositivi di protezione, dalle mascherine – praticamente introvabili – ai respiratori polmonari. Si arriva a rifiutare, quando in Lombardia si moriva a grappoli, 276 respiratori pronti alla vendita, accettandone solo 140 all’interno di un pacchetto fornito dall’associazione di cui è presidente D’Alema con i tre esponenti cinesi. E non mi stupiscono neppure i ritardi nel piano di vaccinazione a firma Arcuri. Paradossalmente la vergognosa sudditanza economica verso la Cina ha danneggiato proprio ciò che si voleva proteggere: l’economia e soprattutto la piccola economia fatta di milioni di piccoli imprenditori, commercianti, artigiani, ristoratori che vediamo oggi in grandissima difficoltà.
Oltre ai silenzi della Cina e agli errori dell’Italia non possiamo certo tacere il ruolo inadeguato giocato dall’Oms. Dove ha sbagliato l’Organizzazione mondiale della sanità?
All’Oms, e alle attività del suo direttore, Tedros Adhanom Ghebreyesus, è dedicato un intero capitolo del libro. A differenza del 2003 l’Oms ha una responsabilità fondamentale nella sottovalutazione del pericolo e nella protezione degli interessi economici e geopolitici cinesi, portando il mondo alla catastrofe.
Un esempio?
Ci è stato raccontato che questo coronavirus fosse nuovo, che le conseguenze fossero sconosciute, che la malattia che provocava era poco più che un’influenza. Ma il viaggio dalle grotte cinesi fino alle nostre case dimostra che il Covid-19 e la malattia che provoca erano ben conosciuti dal 2003, con il virus della Sars, anch’esso arrivato dai pipistrelli. Ma quella epidemia era stata contenuta proprio perché, a cominciare dall’Oms, i rapporti con la Cina erano stati ridotti al minimo ed era stata privilegiata fin da subito la salute dei cittadini.
(Marco Biscella)
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI