L’intervista di Adrien Jaulmes a David Asher, ex responsabile dell’inchiesta del dipartimento di Stato Usa sulle origini del Covid, pubblicata il 7 giugno su Repubblica, ha riaperto il caso, portando a pensare a “un’origine accidentale della pandemia”. “Credo che le autorità cinesi abbiano tentato di controllare un incidente avvenuto a Wuhan nell’ottobre 2019 e non ci siano riuscite” ha dichiarato Asher.



Joe Biden ha chiesto un’indagine approfondita e ha sguinzagliato agenti sotto copertura in Cina: agli americani interessano prove tangibili. Perché quest’interesse nel mettere la Cina sotto accusa? Per questioni di politica internazionale e soprattutto perché l’incidente (questa l’ipotesi più accreditata) è stato poi insabbiato (e i dati cinesi lo possono testimoniare, perché erano inverosimili).



La Cina le ha provate davvero tutte per far scivolare le attenzioni, diffondendo oltre alla tesi dello spillover una serie di teorie elaborate sul “virus come già presente in Occidente”. In realtà, secondo documenti classificati, a finire in ospedale nel 2019 furono persone che lavoravano al laboratorio di Wuhan, laboratorio che non ha subìto indagini “neutre” da parte delle istituzioni internazionali, che di fatto si sono fidate della Cina.

Non per nulla il Wall Street Journal ha citato fonti al corrente del documento classificato: lo studio è stato realizzato a maggio 2020 (quindi ha più di un anno) dal Lawrence Livermore National Laboratory della California ed è stato utilizzato dallo stesso dipartimento di Stato Usa nell’indagine che ora è all’esame del Congresso.



Cosa non torna? Il focus sarebbe rappresentato dalla doppia sequenza CGG presente nel genoma del Covid, quella che lo rende particolarmente aggressivo, visto che nessun coronavirus ne è provvisto. Va poi spiegato come invece venga normalmente utilizzata dagli scienziati per modificare artificialmente il genoma virale. Con questo passaggio la proteina Spike del virus viene alterata, rendendo più facile al virus stesso iniettare materiale genetico nelle cellule umane.

Oltre a ciò non torna il “comportamento” anomalo del Sars-Cov-2: ondate sempre uguali e scarsamente caratterizzate dal clima, ciclicità dell’infezione immutata dal principio e approccio “multi-sistemico” della malattia una volta esplosa, con uno spettro di variabili veramente ampio e non riconducibile a virus naturali e conosciuti. Quest’ultima questione allarma gli scienziati che si trovano privi di schemi “predittivi” applicabili.

Nel documento, inoltre, si legge che già nel corso del 2019 diversi dipendenti dell’Istituto di virologia di Wuhan si erano ammalati con una sintomatologia simile a quella dell’influenza o del Covid. Alcuni finirono in ospedale, tre sicuramente e molti ricercatori ad oggi risultano scomparsi.

L’incidente pare sia avvenuto nell’arco temporale tra agosto e settembre 2019. Non essendo riusciti a metterci la fatidica pezza, i cinesi si sono poi rivolti all’esercito, però tardivamente, perché ciò è avvenuto nel gennaio 2020. Furono scelti il generale di divisione Chen Wei, specialista in armi biologiche, e come vice il colonnello Cao Wuchun, massimo esperto di epidemiologia dell’esercito cinese e (un caso?) principale consigliere dell’Istituto di virologia di Wuhan.

Negli Stati Uniti, ormai, l’origine artificiale è più che una semplice ipotesi e sui giornali alla parola “tragedia” si abbina quella di “crimine”. Dal 2007 in Cina si conducono esperimenti di “difesa biologica”, con la partecipazione anche di scienziati internazionali, e uno dei centri più famosi si trova proprio a Wuhan.

Lo scenario è sempre più complesso e l’origine del Covid appare sempre più un puzzle da ricostruire. A questo punto non resta che confidare in nuovi sviluppi.

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