Il Sacro Graal dei vaccini, il sogno di tutti gli studiosi, è realizzare un “vaccino universale” in grado di funzionare contro tutte le future varianti del Sars-Cov-2. Come ci ha detto in questa intervista il professor Roberto Cauda, docente di Malattie infettive all’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore dell’Unità operativa di malattie infettive al PoliclinicoGemelli,“il problema del Covid, a differenza ad esempio dell’influenza spagnola del secolo scorso che a un certo punto smise di mutare, è proprio la sua continua capacità di mutare, davanti alla quale non siamo ancora riusciti a trovare un vaccino efficace”.



Ed è proprio per far fronte alla pericolosità del Covid che gli studi scientifici vengono portati avanti senza sosta. Gli scienziati del Garvan Institute di Sydney stanno testando anticorpi che puntano su una regione precisa della proteina Spike chiamata “Class 4 epitope region”, che non varia geneticamente tra ceppi di coronavirus e quindi avrebbe meno capacità di mutare nel futuro. Allo stesso tempo i loro colleghi della Duke University di Durham e della University of North Carolina stanno cercando un anticorpo potenzialmente efficace contro una vasta varietà di coronavirus. “Sono tutti studi eccellenti” dice ancora Cauda “che dimostrano la vivacità della scienza, il che ci consente di guardare con una certa fiducia al futuro. Tenendo però presente che una pandemia di livello globale come questa non sarà una cosa di cui ci libereremo in tempi brevi”.



Scienziati e ricercatori di tutto il mondo si muovono per trovare una soluzione “unica” in grado di affrontare in modo definitivo la pandemia in atto. È qualcosa di realistico, di fattibile secondo lei?

La scienza si muove, basta vedere che di vaccini ce ne sono centinaia, in varie fasi di studio, che dovrebbero non rimpiazzare, ma associarsi ai sieri attuali. Oggi abbiamo solo due vaccini, che sono poi lo stesso tipo di vaccino, entrambi a mRna. Gli altri, quelli a vettore virale, per una ragione o per l’altra sono usciti di scena. È chiaro che tutto questo porta a delle considerazioni.



Quali?

Il vero problema non è la terza dose o la dose di richiamo, oppure a chi farla e a chi non farla, ma quanto dura l’immunità.

Questa è la domanda a cui non c’è risposta? Per questo tanto impegno negli studi scientifici?

Sì, è la domanda delle domande, alla quale però non abbiamo una risposta. Quanto dura l’immunità indotta dalla terza dose? Qualcosa lo sappiamo. Johnson & Johnson, ad esempio, pur essendo un vaccino di buona efficacia, ha una immunità che dura meno di chi fa due somministrazioni, probabilmente perché legata a una sola dose. È ancora una ipotesi, perché non esiste uno studio definitivo a tal proposito.

Quindi, al momento, non possiamo ancora stare tranquilli? L’impressione di molti è che si proceda a tentoni, del resto la scienza non si improvvisa. È così?

I dati di Israele ci dicono che la terza dose porta una efficacia di circa l’80% sull’infezione e del 90% sulla malattia, dati che riportano la protezione al livello in cui era dopo le due dosi. Il quesito irrisolto è però sempre quello: quanto durerà questa protezione?

Intanto si sta studiando un anticorpo per così dire jolly, efficace contro diversi coronavirus. Ci arriveremo o sono solo sogni?

La soluzione unica andrebbe benissimo. Bisogna però capire come arrivare a quella soluzione. Un vaccino che sia protettivo, di lunga durata e scevro da effetti collaterali sarebbe la soluzione definitiva. Al momento non c’è questo vaccino e non prevedo ci sia in breve tempo.

Perché?

Il problema è questo virus, che va incontro a continue evoluzioni, mentre il vaccino che abbiamo a disposizione non induce una risposta immunitaria così robusta come altri tipi di vaccini per altri virus.

Ci possiamo affidare solo alla speranza?

Quello che possiamo dire è che quando si raggiunge un livello tale di protezione nella popolazione e il virus tende a diventare endemico, il virus perde di aggressività e probabilmente potrebbe decorrere in modo molto attenuato, come sono gli attuali coronavirus umani non Sars.

Ma siamo sempre nel campo delle ipotesi, giusto?

Immaginiamo che per magia la popolazione mondiale fosse vaccinata oltre il 90%. Il virus avrebbe poche possibilità di circolazione e di produrre varianti. Se il virus circola poco, la gente si ammala poco. Come dicevamo, i vaccini in fase di studio sono qualche centinaio. Magari ne otterremo uno che potrebbe avere la caratteristica di incidere più a lungo sul sistema immunitario. Sono ottimista sugli studi scientifici in atto, ma bisogna agire in fretta proprio per arrivare prima delle prossime mutazioni.

(Paolo Vites)

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