Chissà se adesso la capiremo. Perché altrimenti c’è davvero da cominciare a porsi delle domande serie. Una pericolosa quinta colonna del Cremlino come papa Francesco ci fa notare che, forse, è stata la Nato a provocare la Russia fino a tal punto da portarla a una reazione esagerata. Materiale per il Copasir, Oltretevere stiano attenti. Ma, soprattutto, vi invito a pensare a cosa sia accaduto a livello mediatico negli ultimi tre giorni. È bastato un insulso turno amministrativo per relegare la questione ucraina quasi a riempitivo dei telegiornali. Ma non era l’assalto della Russia contro la civiltà occidentale e la sicurezza europea? E basta il Sindaco di Palermo o di Parma a far retrocedere un argomento simile a riempitivo? O forse il fatto che la situazione politica sia talmente misera e disperata da registrare tassi di astensione in grado di tramutare in exploit persino il vagito di Carlo Calenda, appare contesto degno di una riflessione così totalizzante?
No, signori. Il problema è che l’attacco di Biden a Zelensky ha rappresentato il rompete le righe, il liberi tutti, il Rubicone, il vaso di Pandora. E lorsignori, dopo aver evocato senza vergogna scenari da Seconda guerra mondiale, scomodando esecuzioni, stupri di massa, lager e forni crematori, ora dovrebbero rimettere in discussione oltre 100 giorni di narrativa atlantista al 90% falsa o esagerata. Non sia mai. Basta relegare ciò che ieri era emergenza e normale amministrazione: il mondo, d’altronde, convive da decenni con il conflitto israelo-palestinese, d’ora in poi lo farà con quello russo-ucraino. Che problema c’è? Tutto normale. Anzi, questi due grafici ci dicono come il giorno della grande riconciliazione con il Cremlino potrebbe avvicinarsi a grandi passi.
Ricorderete come l’altro giorno vi abbia parlato dell’esplosione che ha messo ko l’hub della Freeport LNG in Texas, quello da cui partono i tankers pieni di gas liquefatto statunitense diretti in Europa. La nostra àncora di salvezza nell’attesa dell’addio alla dipendenza dalla Russia: almeno così ci avevano detto. Bene, i tempi di fermo dell’attività per riparazioni – in un primo tempo stimati in tre settimane – ora hanno subito un leggero aumento: tardo 2022. Nella sua nota ufficiale, la Freeport LNG parla proprio di late 2022. E quei grafici dicono tutto. Non solo le valutazioni del gas statunitense sono letteralmente crollate del 20% in un istante, sintomo che il mercato festeggia la sua permanenza in territorio Usa e lo stop alle esportazioni. Ma, soprattutto, lo spread fra LNG e Dutch europeo hanno ricominciato il loro netto decoupling. Insomma, tanto per essere chiari: l’alternativa americana a Gazprom non esiste più. È durata giusto il tempo necessario a far rompere i ponti con la Russia all’Ue, a far varare il sesto pacchetto di sanzioni, a far credere che tanto Mosca andrà in default da un giorno all’altro: adesso, signori, il problema è reale. Perché al netto di quelle quattro bombole da campeggio che abbiamo trattato con i governi africani e il wishful thinking di Mario Draghi rispetto all’alternativa israeliana, siamo senza fornitori di gas. A meno di non tornare a Mosca come si fa a Canossa.
Ma la Russia, per quanto noi occidentali ci si creda esseri superiori, non è l’Impero dell’anello al naso. Tutto questo lo sapeva. Da principio. E, casualmente, nel giorno in cui Freeport ha reso noto la ferale notizia, ha anticipato tutto e spedito già in orbita i prezzi: taglio del 40% del gas inviato in Germania. Da subito. Oltretutto, permettendosi il lusso di dare la colpa a Berlino, la quale non avrebbe inviato la componentistica necessaria attraverso Siemens. E volete ridere? Lo stesso Governo tedesco si appresta a stanziare fra i 5,2 miliardi e i 10,4 miliardi di euro per salvare Gazprom Germania GmbH, la sussidiaria tedesca confiscata un mese e mezzo fa in ossequio alle sanzioni! Il problema? Duplice.
Primo, da un mese a questa parte la casamadre russa ha smesso di inviare gas alla filiale, la quale ha dovuto cominciare a comprarlo sul mercato spot, ovviamente a prezzi più alti. Mandando quindi in tilt conti e cassa. Secondo, nei piani di Berlino c’era l’idea di utilizzare Gazprom Germania per riempire gli stoccaggi nel periodo estivo in vista dell’inverno, stante anche la decisione Ue di tagliare i ponti con Mosca già nel medio termine. Ora, invece, se Berlino non mette quei soldi dei contribuenti tedeschi, la filiale rischia di non comprare a sufficienza. E addio riserve. Geniale, non vi pare? Non solo la Germania sta pagando quasi il doppio per non ritrovarsi fra pochi mesi in piena emergenza, ma sta anche salvando, risanando e rendendo liquida a spese proprie un’azienda che, una volta arrivati a una tregua e alla sospensione delle sanzioni, tornerà sotto controllo di Mosca!
Ieri, poi, è toccato a noi: 15% in meno di flussi dalla Russia verso l’Italia. Nel nostro caso, ancora peggio: non solo senza preavviso ma anche senza motivazione ufficiale, come confermato da Eni. Vogliamo finirla di fare gli interessi di Washington, per favore? Perché ormai quale sia stato fin dall’inizio il playbook dell’operazione lo capirebbe anche un bambino di 5 anni. Forse, persino di 3. E non sarebbe il caso che Copasir e Servizi, alla luce dell’enorme rischio che un Paese dipendente dal gas russo come l’Italia sta già oggi correndo in vista dell’autunno, magari buttasse un’occhiata anche sul fronte opposto della barricata, ovvero quello dei troppo volonterosi e zelanti propagandisti di Kiev? Perché se in ballo c’è l’interesse primario della nazione, qui qualcuno lo ha messo parecchio a repentaglio. La sicurezza energetica non vale un bel dossier? Parlano le valutazioni del gas e i rapporti ormai a zero con Mosca a livello diplomatico.
Non voglio allarmarvi, ma la situazione è davvero lose-lose: perché per quanto sia incappata in errori marchiani come quello appena descritto, la Germania non ha mai rotto le relazioni con Mosca. Anzi, il Presidente Zelensky proprio martedì ha chiesto a Scholz di sostenere Kiev senza più equilibrismi. La Francia, poi, nemmeno parlarne: realpolitik allo stato puro fin dal primo giorno di bombardamenti, come è giusto per un Paese del G7. Solo noi abbiamo tramutato le conferenze stampa del Dipartimento di Stato Usa in Vangelo da mettere in pratica. Ecco il risultato: LNG statunitense, l’unica alternativa reale al gas russo, divenuto di colpo indisponibile per mesi e mesi. La pista africana che fa ridere i polli e quella israeliana che, ammesso che sia praticabile, richiederà tempi biblici rispetto all’emergenza autunnale. In compenso, rapporti fra Roma e Mosca mai così tesi nemmeno ai tempi della Guerra Fredda.
Preparatevi, perché comunque vada questi mesi di servilismo Nato li pagheremo carissimi. Da subito. E in pieno periodo recessivo, al netto delle scelte della Bce. L’autunno 2022 rischia seriamente di essere caldo e freddo al tempo stesso. L’unico ad averlo capito, in ambito politico? Guido Crosetto. Non a caso, Giorgia Meloni dopo il voto ha chiesto a Lega e Forza Italia di staccare la spina al Governo. E da Conte e Salvini non sono giunte dichiarazioni di fedeltà e amore strappalacrime verso Mario Draghi. Anzi.
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