Cari lettori, dopo una lunga assenza torniamo ad aggiornarvi dal mondo dello shipping, ovvero dei trasporti via mare, uno dei tradizionali termometri che misurano lo stato di salute dell’economia mondiale. Qualcuno potrebbe trovare inappropriata questa narrativa a sfondo sanitario visti i tempi che corrono, la salute è cosa seria e viene prima di tutto, con certe cose non si scherza. Verissimo, sono il primo sostenitore di questo ragionamento, ma la mia scelta non è casuale in quanto ritengo che proprio in tempi di pandemie di Covid, vere (o presunte) che siano, sia necessario non trascurare la nostra salute.



Qualcuno potrebbe avere avuto l’impressione che così sia stato e che quanto visto negli ultimi sei mesi sia stato un tentativo estremo di tutelare la salute di tutti noi, ma scetticamente vi domando: è davvero così? Sfortunatamente pare che sia stato dimenticato quanto questa preziosa risorsa non dipenda solo dal distanziamento sociale, dalle mascherine o dal disinfettante per le mani, bensì anche e soprattutto dalle risorse economiche necessarie per il nostro sostentamento quotidiano, spese sanitarie incluse. Vi sembrerà che stia divagando, ma ora vi dimostrerò come questo discorso si colleghi perfettamente al mio mondo, quello del settore marittimo che in realtà in questo caso fungerà solo da esempio che alcuni di voi potranno contestualizzare facilmente con le loro conoscenze ed esperienze personali più o meno dirette.



Oggi vi parlerò di un aspetto nuovo rispetto ai miei precedenti articoli, uno che abbraccia tutti i segmenti che abbiamo già esplorato insieme in passato in realtà, quello di cui mi occupo personalmente e che conosco meglio, ovvero la compravendita di navi. Questo mercato di nicchia logicamente riguarda tutti i settori, dal carico secco alle petroliere, le gasiere e le navi container, il settore offshore, i traghetti, le navi crociera e qualunque altro tipo di nave che venga impiegata commercialmente. Inutile dirvi che parliamo di uno degli anni più difficili che questo mercato abbia mai dovuto affrontare e per svariate ragioni. In realtà, la fotografia di questo pessimo stato di salute della compravendita non va solo ricercata nei prezzi, non troppo allegri seppure ancora sufficientemente supportati almeno per alcuni settori, ma anche e sopratutto sui volumi. Cominciamo dai due settori tradizionalmente più liquidi del mercato in termini di transazioni annuali, ovvero il carico secco alla rinfusa e il comparto delle navi cisterna.



In questi primi 9 mesi dell’anno sono passate di mano 251 bulkers contro le 383 registrate nello stesso periodo nel 2019, quindi un calo di 132 unità, quindi quasi un meno 40%. Per quanto riguarda le tankers, invece, che oltretutto hanno vissuto (in parte) un mercato dei noli in controtendenza, come avevamo avuto modo di esaminare insieme in alcuni precedenti articoli, hanno visto il numero di vendite calare nello stesso periodo da 247 unità del 2019 a 191 di oggi, quindi 56 vendite perdute equivalenti a un bel 20% abbondante in meno. Per concludere sotto la voce “altro”, che include tutto il resto che non fa parte dei due sopracitati settori principali, il calo è stato di 36, da 319 a 283. Insomma, la tendenza negativa si palesa orizzontalmente sull’intero mercato marittimo. Premessa necessaria, le ragioni possono essere varie e non sempre negative, per esempio anche un mercato che gode di troppa salute, palesata da noli elevati, può risultare meno liquido del solito, perché gli armatori tenderanno a essere meno inclini alla vendita in virtù degli ottimi guadagni alzando le pretese sui prezzi e quindi scoraggiando gli acquirenti. Tuttavia questo genere di circostanza di rado si verifica in tutti i settori simultaneamente come in questo caso e d’altra parte oggi si fatica a trovare un qualunque mercato marittimo che scoppi di salute, anzi, se mai brillano quelli che vanno “meno peggio”.

In realtà, oggi molti settori vedono prezzi talmente depressi da risultare più sottovalutati che viceversa e quindi potenzialmente buone opportunità di investimento, ma questo chiaramente non si riflette con la dinamicità vista in passato in situazioni di mercato relativamente basso. Perché allora tutto il mercato ha rallentato? Le ragioni abbondano e sono tutte legate alla logica incertezza, quella nemica giurata di qualunque imprenditore o investitore che si rispetti.

La prima su tutte logicamente è legata alla pandemia, o per meglio dire all’infinita draconiana risposta data al Covid, la sua durata e conseguente incertezza su guadagni o perdite eventuali nel breve-medio termine condita da serie complicazioni logistiche, per esempio ispezioni e cambi di equipaggio. Inevitabilmente i vari lockdown hanno rallentato e depresso i traffici sia di merci che di persone comprimendo ricavi a parità di costi operativi invariati. Ovviamente questo contesto rende in parallelo anche meno utilizzabile l’eventuale accesso al credito, perché difficilmente le banche saranno inclini a finanziare investimenti in attività d’impresa in evidente difficoltà e con prospettive incerte quando non altrettanto negative. Oltretutto per non farsi mancare nulla l’armamento si trova anche nel bel mezzo di una transizione verde, anche questa già illustratavi sulle nostre pagine all’inizio dell’anno prima che approdasse il Covid nelle nostre vite, un ulteriore prodotto di presunte emergenze degne dell’apocalisse biblica quale il surriscaldamento globale.

In una situazione simile si trovano anche i due mercati dove comincia e termina l’esistenza delle navi, ovvero la cantieristica meglio conosciuta come industria pesante e il mercato della demolizione. Sulle nuove costruzioni va detto che quantomeno oggi non ci portiamo dietro un bagaglio di nuove navi in ordine di dimensioni enormi come ai tempi della crisi finanziaria del 2008, né agli stessi prezzi record di quell’epoca, ma comunque parliamo di quasi 200 miliardi di dollari di investimenti e quindi di potenziali sofferenze miste insolvenze. Questo non rischia comunque di essere l’unico problema dell’industria pesante e del suo per nulla piccolo indotto, infatti a oggi il totale di nuove navi contrattate nel 2020 si attesta a 426 contro le 1.172 del 2019, le 1.406 del 2018 e le 1.328 del 2017. In questo caso vi fornisco le cifre di tutti i settori messi insieme e salta all’occhio che il vistoso calo di volumi assume dimensioni ancora più drammatiche di oltre il 70%.

I Paesi più colpiti sono Giappone, Corea del Sud e Cina, ma l’indotto si estende a livello globale con una grossa porzione di makers europei, peraltro un settore già in crisi da anni. Infatti, nell’ultimo decennio la moria di cantieri navali è stata inarrestabile, la Corea del Sud ha visto sparire quasi tutti i cantieri medi e piccoli, ma non solo come dimostrato dal capitombolo di nomi quali Hanjin e Stx. Qualcuno potrebbe ricordare Hanjin come gigante fallito del mercato contenitori, ma in realtà i gruppi erano completamente separati, quindi due bancarotte più che distinte. Altri potrebbero trovar familiare la Stx per via della famosa diatriba della nostra Fincantieri con il governo Macron per provare a rilevare la succursale francese dei coreani, ma il grosso della loro produzione era in Corea del Sud e in Cina.

Resistono le tre cantieristiche più grosse come Hyundai, Samsung e Daewoo, con questo ultimo già in mano alle banche che dovrebbe fondersi con Hyundai appena la Wto darà il suo benestare. Il Giappone già da anni procede con fusioni tra cantieri e si protegge dagli eventi esterni con un sistema chiuso e improntato all’uso domestico, mentre la Cina ha visto morire quasi tutti i cantieri privati, ma ha sorretto quelli statali grazie all’immensa forza finanziaria del Governo cinese e delle ormai giganti banche domestiche. Poi ci sono i fornitori, in gran parte europei e non parliamo solo di piccole aziende. Prendiamo la Wärtsilä, uno dei più importanti costruttori di motori per navi al mondo, società finnica quotata in borsa. Il suo titolo è passato dai quasi 20 euro di picco a fine 2017 ai meno di 7 di oggi. Per altri giganti la crisi di questo settore va a sommarsi a quella di altri altrettanto in apnea su cui sono esposti come trasporti via terra e aria, come la tedesca MAN SE passata da 90 a 40 euro per azione in 7 mesi o la britannica Rolls Royce, quest’ultima crollata dal picco di 1.100 sterline dell’estate 2018 alle 140 di oggi.

Ho voluto citare le compagnie grosse e quotate solo perché più facili da osservare, ma vi assicuro che il tessuto di piccole e medie imprese che servono questa industria è folto, la somma del tutto rischia di tradursi in centinaia di bancarotte e acquisizioni per evitarle, in tutti i casi decine se non centinaia di migliaia di potenziali lavoratori coinvolti a livello globale.

Per concludere due parole sulla demolizione, un mercato legato a doppio filo con quello dell’acciaio, visto che gran parte delle navi viene riciclata. Un mercato dominato da Bangladesh, India e Pakistan, già da anni in guerra con le lobby green, soprattutto europee, che mirano ad alzare i costi di riciclaggio in nome della sicurezza di lavoratori e ambiente. Nobilissima causa, ma visti i tempi che corrono risulta anche un classico tiro a segno sulla croce rossa. Il vero paradosso anche qui lo causa la controffensiva Covid con limitazioni logistiche da incubo che strangolano i volumi e deprimono i prezzi. Poco male penserete voi, mercato di nicchia di scarso interesse. Ma in realtà il compito che svolge generalmente sarebbe piuttosto importante quando il mercato è in sofferenza in quanto smaltire il vecchio aiuta ad accelerare il rilancio della ripresa.

Comprendo che certi numeri che vi ho fornito appaiano effimeri in termini assoluti, in parte non posso darvi torto. In fondo sono il primo che, guardando numeri di presunti positivi (attenzione non morti o malati, ma semplicemente positivi di Covid) oggi fatico a giustificare l’allarmismo mediatico in cui siamo sprofondati e che detta l’agenda politico-economica. La vera differenza che dovrebbe preoccuparci è che i numeri del Covid non si sommano a quelli di decine di altre epidemie mortali. Purtroppo non possiamo dire la stessa cosa di quelli dello shipping vista la pestilenza economica che aleggia in tutto il mondo.

Concludo con una confessione che spero ai vostri occhi non mi releghi nel purgatorio del “negazionismo”, ma sono convinto di una cosa: che se i governanti del mondo non cambiano registro alla svelta riportandoci alla normalità, tra qualche mese il Covid-19 sarà l’ultimo dei nostri e dei loro problemi.