Non c’è stato solo il summit Nato di Vilnius a evidenziare crepe nelle relazioni transatlantiche. L’ulteriore proroga del (discusso) norvegese Jens Stoltenberg come Segretario generale ha smentito la compattezza dell’Alleanza fors’anche più che il congelamento dell’ingresso dell’Ucraina.



Ad agitare le acque fra Usa e Ue, nelle stesse ore, è giunta anche la notizia che Margarethe Verstager – Vicepresidente dell’Unione e capo dell’Antitrust – ha designato l’americana Fiona Scott Morton come capo-economista della Direzione Generale per la Concorrenza a Bruxelles. Una decisione che ha provocato l’immediata reazione della Francia, portavoce di un folto plotone di Paesi sorpresi dallo strano “regalo d’addio” di Verstager: ormai al termine del suo secondo mandato in Commissione e soprattutto auto-candidata alla presidenza della Banca europea degli investimenti. E nella sorpresa francese (e di altri, compresa una fetta della tecnocrazia di Bruxelles) non c’è stato solo un classico umore “euro-sovranista” nel vedere affidato a un’americana – e non a cittadino Ue – il ruolo di alto suggeritore della maggiore “authority ” eurocratica.



Scott Morton è una figura discussa anche negli Stati Uniti. Docente a Yale, formatasi nell’Amministrazione Obama, l’economista viene associata alla larga comunità di studiosi “dem” da tempo avversari dello strapotere di Big Tech. La loro capofila è oggi Lina Khan, la “zarina” posta da Joe Biden a capo del Ftc, l’antitrust di Washington. Che però ha appeno incassato una sconfitta cocente, vedendo respinta la propria pretesa di bloccare la maxiacquisizione dei videogame di Activision da parte di Microsoft, per 70 miliardi di dollari. “Una battaglia sbagliata e azzardata” è il commento diffuso in questi giorni oltre Atlantico, mentre crescono gli interrogativi su fini e mezzi della guerra scatenata dai “dem”, un anno prima delle presidenziali, contro i dominatori della Rete. Nel caso specifico di Scott Morton c’è però dell’altro: l’economista ha occasionalmente operato anche come consulente di grandi gruppi digitali (fra cui anche Microsoft).



Quanto a Verstager, dopo la promozione a Vicepresidente esecutivo nella Commissione von der Leyen, la supercommissaria danese si è segnalata per un’accentuazione delle azioni offensive o difensive sul fronte Big Tech: una lunga striscia di istruttorie e sanzioni contro Google, Apple, Meta e la stessa Microsoft stanno a dimostrarlo. Però l’ultima decisione strategica ha riguardato proprio l’operazione Microsoft-Activision e dall’Antitrust Ue è giunto un immediato disco verde. Forse a indizio che Verstager – giunta a Bruxelles con l’aura della Vicepremier nordica e calvinista – ha reso più flessibili i suoi punti di vista per il suo dopo Ue. La candidatura alla Bei, fra l’altro, sembra guardare alla nuova politica industriale a colpi di sussidi varata da Biden: molto contestata in molte capitali europee. La banca di Lussemburgo si propone come naturale veicolo di sviluppo di una politica industriale gemella nell’Ue.

Mentre manca ormai meno di un anno alle prossime elezioni dell’Europarlamento – e quindi al rinnovo degli organigrammi dell’Unione – il caso Verstager si affianca al caso Stoltenberg nell’accendere polemiche. A capo del “dicastero” più strategico di Bruxelles negli ultimi dieci anni ha infatti regnato l’esponente di un Paese che non partecipa all’Eurozona: non condivide quindi la principale infrastruttura economico-istituzionale dell’Ue. Al pari di Stoltenberg: Segretario generale dell’Alleanza Atlantica nominalmente in quanto europeo, ma ex Premier di un Paese che non fa parte dell’Ue.

Nel ventesimo secolo, il profilo dell’uomo di governo scandinavo è stato a lungo privilegiato per i grandi incarichi internazionali (era norvegese il primo Segretario generale dell’Onu Trygve Lie). Ma dopo trent’anni di globalizzazione e dopo tre anni di “guerra mondiale a pezzi” (pandemia compresa) provenire da una capitale del Nord Europa non pare più garanzia di autorevolezza e indipendenza.

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