Il vecchio mondo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire. E in questo chiaroscuro nascono i mostri. Questa frase di Antonio Gramsci è la fotografia migliore dei tempi che stiamo vivendo. Il problema sta nell’identificazione del mostro.

Negli ultimi giorni, girando per i social network mi sono imbattuto decine e decine di volte in un link che rimandava alla medesima frase di Emmanuel Macron: Dobbiamo prepararci alla guerra. Mi scuserete, ma il mio timore per un conflitto diretto con la Russia è pari a quello per un ritorno del fascismo. Eppure, sia l’uno che l’altro sono divenuti prima narrativa, poi paradigma. Infine, realtà. E ciò che conta è questo: quanto la gente percepisce. Si pagano fior di professionisti in tal senso. Sono appunto nati i social media a tal fine.



Questa settimana si tengono i board di Bank of Japan e Fed. Pressoché in contemporanea. Il primo è iniziato ieri e termina oggi, il secondo comincia oggi e domani avrà il suo epilogo con la conferenza stampa di presentazione delle misure intraprese. E se Jerome Powell può farsi scudo con l’ultimo dato surriscaldato dell’inflazione per calciare il barattolo, limitandosi a dare alle banche ciò che vogliono a livello di Discount Window, a Tokyo hanno voluto giocare a carte scoperte. Addirittura generando uno stress test, il cui risultato plasticamente lascia fin troppo spazio all’interpretazione.



In quale mondo distorto la reazione dello yen alla conferma del primo rialzo dei tassi da 17 anni a questa parte può essere un indebolimento? Forse lo tsunami gioca di risacca, serbando il classico buy the news per la giornata odierna? Oppure il mercato ha telegrafato qualcosa alla Boj per conto del Nikkei e di qualche trilione in carry trades?

Ora guardate questo titolo dell’articolo pubblicato il 15 marzo da Cnbc:: licenziamenti di massa nel ramo tech Usa. E una tale fatica nel trovare un’altra occupazione da aver innescato una spirale salariale ribassista.

Ma come, il settore architrave del rally di tutti i rallies, licenzia? Nell’America del dato occupazionale record che ispira le copertine dell’Economist? Paradossi dell’Intelligenza artificiale: d’altronde, ci avevano messo in guardia dalla strage occupazionale che avrebbe generato. Ex ante, in questo caso. E proprio andando a rubare in casa del ladro. E ora guardate questo grafico: il pump’n’dump da manuale proprio dei titoli legati all’AI nel corso della scorsa settimana. Ora pensate al ruolo e al market cap di quei titoli e ditemi: cosa sta succedendo? Quale mostro si prepara a fare la sua comparsa, a metà fra la profezia gramsciana e il mitico videogame evocato da Giulio Tremonti?



Qualcosa entro domani sera alle 22:00 comincerà a delinearsi. A meno che, lontano dagli occhi, il detonatore sia altro. E queste enormi mine sparse a livello globale attendano il loro glitch. Mentre il warmongering di Eliseo e Casa Bianca, passando per l’imminente operazione a Rafah, distraggono il mondo. Un detonatore di nome Boeing, magari? O forse Bitcoin? Certamente, capace di far saltare le fondamenta di un mercato di equilibri artificiali che, piaccia o meno, è un lago ghiacciato dalla lastra sempre più sottile. E che col tepore di marzo inoltrato rischia di tramutarsi in una trappola. Perché ora la narrativa sta cambiando. E il punto di svolta è stata proprio l’ultima lettura dell’inflazione Usa, più surriscaldata del previsto.

Se ricordate, infatti, i titoli azionari reagirono salendo. Smisurata fiducia nel collaborazionismo della Fed? Trionfo dello scorporo e del dato core, quello dei prezzi meno volatili, che invece mostrava segni di miglioramento? O forse altro? L’altro in questione risponde a una logica che ricorda molto la crisi del 2008 e il suo accelerante. Come in un incendio doloso si utilizza liquido infiammabile o materiali in grado di detonare, all’epoca ricorderete come furono i credit default swaps a tramutare un guaio in una quasi catastrofe. Li vendeva chiunque. Ovunque. A tutti. E sotto la rassicurante bandiera dell’assicurazione dal rischio. E restando in ambito pirotecnico, possiamo dire che quel rischio di incendio riguardava una casa non propria. Perché quei cds venivano trattati con volumi frenetici da persone che non detenevano l’asset sottostante. Anzi, al contrario li utilizzavano per scommetterci contro.

La versione 2.0 dei credit default swaps oggi è rappresentata dalle opzioni Odte, quelle che durano un giorno. Il corrispettivo di una start-up che fa coincidere l’atto fondativo con la presentazione dei libri in tribunale. La differenza sostanziale fra queste due scommesse sintetiche contro assets non detenuti? Oggi la bolla è 10x rispetto al 2008. Forse qualcosa di più. Ed ecco che, al netto di questo, quando il dato sull’inflazione Usa ha segnato il suo inatteso rialzo, riattivando la dinamica dello jo-jo, gli algoritmi hanno semplicemente recitato la loro parte in commedia: qualsiasi fosse il dato, vendere opzioni sul Vix – l’indice di volatilità – fino a quando il mercato si convincesse della totale inutilità di hedging, di una copertura dal rischio. A quel punto, si getta sulla benzina l’accelerante dello short put/long call. Ovvero, acquisti indiscriminati. Alla velocità della luce e col badile. A blocchi. E chi si trova dalla parte fondamentalmente e formalmente giusta del trade, ovvero chi ancora era ribassista, viene schiacciato dallo squeeze rialzista. Per l’ennesima volta. Come dire, chiunque remi contro al rally, muore. I titoli azionari non contano, ormai contano solo i derivati. Un gioco a somma zero, ontologicamente. Ma col trucco. Chi vince, vince. Chi perde, può contare su una Fed pronta a tamponare e nascondere.

In cosa è cambiata la narrativa, ora? Due variabili. La prima, Boeing appunto, stante 200 miliardi di dollari di esposizione bancaria e assicurativa che opera da sottostante a quel titolo. La seconda, l’Etf su Bitcoin. Ora, date un’occhiata a questi due grafici: se da un lato il de facto stallo della scorsa settimana nella valutazione del titolo vede oggi la comparazione dei trend fra Cisco della bolla tech del 1999-2000 e Nvidia al suo preoccupante picco, ecco che il proxy dei proxies è rappresentato dal titolo di Microstrategy, da sempre azienda accumulatrice di Bitcoin come reale fonte di investimento alternativo. Non a caso, JP Morgan in tempi non sospetta acquistava titoli di Microstrategy per detenere Bitcoin senza acquistare direttamente criptovaluta. Quindi, un termometro di appetiti reali o meramente speculativi.

Il 14 marzo, il volume di scambio di Microstrategy è stato superiore a quello di Amazon. Circa 8 miliardi di dollari. Nella sua interezza, quello che viene già definito equitized BTC complex viaggia su volumi quotidiani di 20 miliardi di dollari. Ora date un’occhiata all’ultimo grafico: l’Etf sull’oro segna solo outflows, quello su Bitcoin inflows record contemporanei. Ma il prezzo all’oncia resta sui massimi.

Ovvero, le Banche centrali comprano oro fisico per tesaurizzare l’aspettativa di crisi reale, quella che negano ufficialmente. Gli altri componenti del mercato spostano il delta. Anzi, lo hanno già spostato. Ma è delta o detonatore?

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