Parafrasando i Beatles di Happiness is a warm gun e prendendone in prestito il ritornello, possiamo dire che Minister Speranza jumped the gun. Riguardo cosa, però, il ministro della Salute avrebbe bruciato le tappe, anticipato i tempi? Alla capitolazione finale del governo nell’attivazione del Mes. E con straordinaria quanto un po’ disperata mossa di furbizia. Orchestrata, ovviamente, a livello di esecutivo.



Che l’abolizione del super-ticket sia una clamorosa marchetta politica ed elettorale in vista dell’appuntamento regionale del 20 e 21 settembre, lo dicono le cifre: molte Regioni hanno già abolito il balzello partorito nel 2006 dal governo di centrosinistra e poi istituzionalizzato da Giulio Tremonti sotto le insegne di quello di centrodestra. Inoltre, la spesa prevista per le casse dello Stato è di quelle da argent de poche, stante uno scostamento di bilancio già in essere da 100 miliardi di euro e quasi 30 miliardi di fondi Sure per l’occupazione già incamerati: si tratta, infatti, di poco più di 550 milioni in totale. Di più, per attivare l’eliminazione dell’odioso balzello sanitario già da domani – con straordinario effetto “cotto e mangiato”, roba da Mago Silvan della politica – e mantenerla fino a fine anno, la spesa prevista è di circa 185 milioni.



Insomma, davvero la mancia. Anche la ragione per cui si sarebbe arrivati a questa decisione, poi, puzza di ideologia piegata all’utilitarismo da urna: la gente ha smesso di curarsi, poiché troppo caro. Balle, la gente ha smesso di curarsi perché le liste d’attesa per un esame clinico in molte realtà regionali italiane sono di anni. Quindi, tendenzialmente la gente ha smesso di curarsi non perché il super-ticket aggravi i costi di qualche decina di euro, bensì perché il pubblico ti rimanda comunque a tempi che potrebbero vederti già sotto terra. Quindi, scatta la vera opzione che fa fare i conti con il portafoglio: ovvero, rivolgersi al privato o non curarsi.



Ed ecco un primo effetto rompi-ghiaccio della mossa del ministro Speranza, uno dei più graditi all’opinione pubblica stando alle rilevazioni demoscopiche, non foss’altro per il basso profilo tenuto durante i mesi esiziali e patibolari del lockdown, rispetto a certi ciarlieri becchini degni di un ruolo miserevole e d’appendice in un romanzo mal scritto di Louis Ferdinand Céline. Aprire il varco, come in guerra. La casamatta da conquistare? Da un lato, mostrare che la politica buona e che opera in nome del bene comune esiste: di fatto, uno spot indiretto ma quantomai esplicito per il No al referendum. Dall’altro, il bersaglio grosso: il Mes.

Su mandato non tanto di un Pd da tempo schierato per l’attivazione senza se e senza ma, quanto di un inquilino di Palazzo Chigi ormai esasperato dalla resistenza a colpi di slogan dei Cinquestelle. E per parecchie ragioni.

Primo, quei soldi servono. Trattasi di 37 miliardi pressoché pronta cassa da utilizzare per spese sanitarie dirette e indirette. E in questa seconda categoria, rientra in pieno la messa in sicurezza degli edifici scolastici di ogni ordine e grado (dai nuovi banchi alla sistemazione delle aule in base alle norme sul distanziamento, dall’acquisto di gel e termoscanner alla possibilità, con qualche salto mortale procedurale, di dirottare risorse al ministero della Pubblica istruzione per assunzioni e bonus): in parole povere, la grana potenzialmente letale e ormai alle porte della riapertura delle scuole. Le quali dovrebbero spalancare i battenti già domani per i corsi di recupero ma che, in realtà, in almeno sei Regioni hanno già rimandato a dopo il voto regionale l’appuntamento con lavagne e quaderni.

Il primo passo è stato compiuto con il commissariamento de facto della ministra Azzolina da parte del premier, sostituita dal ministro Boccia negli ambiti operativi e di trattativa con enti locali e presidi, ora si aggiunge un altro tassello, il più importante. Dimostrare – attraverso un atto poco più che simbolico e dai costi più che gestibili ma estremamente mediatico – come la sanità debba e possa essere migliorata. Concretamente. E, ciliegina ideologica sulla torta della sopravvivenza politica, senza imitare il tanto vituperato modello lombardo, quello che presuppone l’esistenza stessa del concetto di privato. Ma servono i fondi, per farlo.

Guarda caso, ci sarebbero 37 miliardi pronti alla bisogna. Occorre solo scavallare una criticità, intesa appunto come resistenza dei Cinquestelle lungo l’ideale linea del Piave dell’anti-europeismo responsabile e a targhe alterne, ossimoro che ormai pare divenuto elemento e profilo qualificante di un movimento che festeggia con orgoglio governativo Recovery Fund e Sure, ma avversa con piglio da opposizione intransigente la terza gamba di un commissariamento dei conti pubblici che, a pandemia finita, sarà comunque all’ordine del giorno. Tanto più che, realismo alla mano, avere lo spread totalmente dipendente dagli acquisti Bce significa già essere commissariati dall’Europa, ancorché con l’andatura caracollante dell’ubriaco che si regge felice e fiducioso al più sobrio e corpulento compare piuttosto che con il capo chino e le mani dietro la schiena del discolo che va incontro alla punizione.

Ma attivare il Mes non significa regalare un mostruoso argomento di propaganda al centrodestra, a meno di un mese dal voto? Quel voto è già andato. Forse – e sottolineo forse – si salvano la Toscana e la Puglia, per il resto è cappotto annunciato. E i primi a saperlo risiedono in casa Pd, regno incontrastato del pragmatismo, ancorché a tratti inconsapevole.

In compenso, chiedere l’attivazione del Fondo salva-Stati garantirebbe un duplice risultato. Primo, fondi a pioggia – veri e subito, a differenza dell’unicorno chiamato Recovery Fund – per sanità e scuola, quindi effetto di ritorno politico immediato sull’opinione pubblica. Secondo, mostrare al centrodestra in vena di spallata al governo, dopo il più che probabile trionfo del 20 e 21 settembre, la kriptonite di un cul de sac mortale: davvero Matteo Salvini e Giorgia Meloni avrebbero ancora tutta questa fretta di tentare l’assalto al Palazzo d’inverno di Piazza Colonna (e soprattutto di piazzare un loro uomo al dicastero di via XX Settembre), una volta che il Mes fosse stato attivato? Oppure potrebbero propendere giocoforza per la ritirata strategica garantita da un governo di transizione, magari che accompagni il Paese fino all’elezione del prossimo Presidente della Repubblica? Magari proprio la mitologica ipotesi Draghi, al fine di vedere un po’ l’effetto che fanno realmente le altrettanto mitiche condizionalità di utilizzo legate al Mes, vere e proprie trincee di beckettiana attesa rispetto al cavallo di Troia evocato e mai realmente iscritto a bilancio della guerra?

Per Giuseppe Conte, esperimento doppio. In primis, mettere alla prova il centrodestra e cercare di guadagnare tempo, al fine di ridimensionarne la forza propulsiva delle regionali attraverso un supplemento di azione di governo che possa contare su miliardi pronta cassa e la speranza di una seconda ondata di pandemia che non si materializzi con la magnitudo che tutti temono.

Secondo, andare a vedere l’eventuale bluff proprio di Mario Draghi. Il quale si è presentato al Meeting di Rimini con un discorso e un profilo da premier in pectore ma, di fatto, ad oggi appare ancora un generale pluridecorato ma senza esercito. Scenderà davvero in campo, magari su richiesta del Quirinale o resterà ancora per un po’ nella penombra, rischiando però di invecchiare politicamente a quella latitudine (ammesso e non concesso che l’ex capo della Bce abbia davvero delle mire politiche)?

L’impressione è quella che Pd, Italia Viva e LeU abbiano accettato il silenzioso patto di sopravvivenza proposto loro da Giuseppe Conte per mettere nell’angolo e far implodere le contraddizioni interne di M5s, al fine di garantirsi la fiducia della componente più governista e gettare a mare i movimentismi sempre meno gestibili e sempre più potenzialmente dannosi (gli stessi che vorrebbero ridimensionare il ruolo stesso della Casaleggio & Associati, di fatto altro potente alleato di Giuseppe Conte nella nuova dinamica del potere).

Se mancheranno i numeri, poi, chissà che una parte di Forza Italia non corra in soccorso, piuttosto che rimanere fagocitata dagli appetiti onnivori post-regionali di Fratelli d’Italia e Lega? Il commissariamento del ministro Azzolina è stato il ramoscello d’ulivo che Giuseppe Conte ha offerto agli alleati di governo in tal senso, fornendo l’assist agli affondi Pd di questi giorni contro il ministro, di fatto espressi senza che da Palazzo Chigi arrivasse un solo fiato in sua difesa. L’attacco di Matteo Renzi sul Mes, a occhio e croce e soppesando la reale caratura di Italia Viva a livello elettorale, è poco più di un gioco delle parti.

Da qui al 14 settembre, qualcosa potrebbe davvero cambiare. E qualcuno, forse, potrebbe davvero essere tentato di andare a vedere quali carte abbia in mano Mario Draghi.

Attenzione a dare per morto questo governo. Nell’ombra, ha un alleato esterno molto potente. Pericoloso, visti i tempi che corrono e le scadenze che avanzano, qui come oltreoceano. Ma potente.