Come avrete notato, ho pressoché smesso di occuparmi dello scenario politico-economico italiano. Per tre ragioni, fondamentalmente. Primo, è tempo perso. Secondo, ho la nausea. Terzo, ci sono cose decisamente più serie e gravi che la grande stampa omette di raccontarvi – in primis, il rischio di una nuova crisi finanziaria e non economico-recessiva – e che mi pare giusto trattare. Detto questo, oggi farò un’eccezione, una deroga e mi occuperò brevemente del dimostrarvi come il mondo sia un posto pericoloso e decisamente poco adatto ai bambini, politicamente parlando. Tantomeno, ai dilettanti.



Io capisco che la gran parte del Paese trovi appassionante la gara a colpi di bile legata alla vicenda della Sea Watch 3, argomento che si alternerà nel weekend con le imprese della nazionale femminile di calcio o con l’ondata di caldo record. Io, però, ho il brutto vizio di non essere ipocrita. E, ancora peggio, ho da tempo rinunciato al minimo sindacale di pudore e di politicamente corretto, ho rinunciato al comodo e socialmente apprezzato oblio del non essere se stessi e non dire (e dirsi) la verità. E qual è la verità? Che questo Governo sta lavorando per altri, sta mettendo in ginocchio il Paese per conto terzi. Non c’è altra spiegazione. Anzi, un’altra c’è: sono completamente pazzi. Tertium non datur.



Perché nemmeno nella più sgangherata Repubblica centrafricana o sudamericana, nemmeno in un film di Woody Allen o in una parodia di Mel Brooks, il ministro del Lavoro di un Paese membro del G7 si permette di definire “decotta” una delle principali aziende nazionali, quotata in Borsa e mentre Piazza Affari è aperta. Può pensarlo, liberissimo. Ma non dirlo pubblicamente a mercati in contrattazione. Sono le basi, l’abc, roba da pollice opponibile. Oltretutto, quel giudizio non si basa nemmeno su una valutazione macro da analista serio, conti e prospettive alla mano, ma in punta a una direttiva meramente ideologica di posizionamento politico – aprioristico e propagandistico – nell’azione legislativa di governo.



Il ministro Di Maio, infatti, ha escluso interventi di Atlantia in Alitalia perché, a suo dire, una volta tolte alla prima le concessioni, questa diventerà appunto “decotta” e potrebbe portare solo detrimento al futuro dell’ex compagnia di bandiera. Ora, al netto che nemmeno il virus Ebola potrebbe rovinare ulteriormente il profilo di Alitalia, la quale è davvero l’impersonificazione stessa dell’azienda decotta e dell’eccessivo interventismo della politica nel mercato, vi rendete conto della follia? Un ministro del Lavoro! A Borsa aperta! E sapete qual è la cosa paradossalmente ancora più grave? Che la Consob non abbia detto nulla! D’altronde, chi sia stato messo in stato di pensionamento part-time e dorato a capo dell’Ente di vigilanza del mercati lo sappiamo tutti.

Nessuno qui sta negando le responsabilità di Atlantia nella vicenda del Ponte Morandi, la quale ieri ha vissuto un drammatico déjà vu emozionale con la demolizione del moncone (nessuna polemica avviene a caso, tutto ha una ragione e soprattutto un timing preciso), ma occorre essere molto onesti: o si fa un bel decreto di scioglimento coatto della holding dei Benetton o la si mette fuorilegge oppure occorre essere così pragmatici da rendersi conto che resta un player di mercato enorme, con il quale occorre trattare. Pagherà, sia a livello economico che giudiziario, per quei 43 morti, ma questo status di “impresentabile” è delirante. E controproducente. Non fosse altro per il profilo dell’azienda in questione, ottimamente rappresentato da questa “torta”, senza che io debba aggiungere parole.

Bene, in un momento di crisi industriali che sorgono come funghi dopo un temporale nel bosco, dall’Ilva a Mercatone Uno alla Rwm a La Perla, il ministro del Lavoro non trova di meglio che cannoneggiare Atlantia a Borsa aperta. Facendo un danno reputazionale all’azienda, la quale giustamente ha minacciato di adire alle vie legali per tutelarsi, ma anche a qualche milione di italiani, i quali hanno i loro risparmi vincolati in fondi dove la holding dei Benetton è grandemente presente. Ma questo il ministro Di Maio probabilmente non lo sa. Lui vuole il sangue, lui vuole le ghigliottine in piazza. Lui, più che altro, ha un’agenda da portare a termine. Temo per conto terzi. Sicuramente non per il bene del Paese, altrimenti si lascerebbe che Alitalia vada incontro al suo destino senza inventarsi nuove cordate per salvarla e tutelarne l’italianità (già dato con il Cavaliere) e si eviterebbe di attaccare un’azienda strategica quotata.

Perché operando come fatto giovedì, i competitor stranieri applaudono fino a spellarsi le mani. Ma si sa, probabilmente al Mise hanno compiuto una rapidissima analisi costi-benefici (elettorali) della sparata e hanno deciso che, stante i sondaggi, vale la pena mandare del tutto in vacca il Paese, pur di non tramutarsi in un satellite della Lega. È questo che volete, in nome del supposto e presunto “cambiamento”? Allora tranquilli, siamo sulla strada giusta. Una bella rotta da kamikaze che nemmeno a Pearl Harbor.

E sapete perché ho deciso, una tantum, di rompere gli indugi e tornare per un giorno a parlare di Italia e di politica, ancorché strettamente legata a temi economici? Perché la scorsa notte, quella fra giovedì e ieri, a Wall Street è accaduta una cosa meravigliosa ed estremamente chiarificatrice su come giri il mondo, a uso e consumo delle anime belle o degli ipocriti da consenso elettorale e scranno parlamentare. È successo questo: nelle contrattazioni after-hours, Deutsche Bank è salita dell’8%.

Accidenti, hanno trovato la chiave per tramutare il progetto di bad bank in un successo assicurato, forse? No, hanno fatto ciò che vi dicevo qualche settimana fa in un mio articolo. Ovvero, preso atto che la guerra contro gli Usa è folle se fatta in maniera di contrapposizione frontale, hanno recapitato alla Casa Bianca un ramoscello d’ulivo sotto forma di ridimensionamento – alle soglie della quasi irrilevanza operativa – dell’investment banking di Deutsche Bank negli Usa, dove l’istituto tedesco era l’unico europeo a “rubare” una fetta della torta, soprattutto su swap e altri trade ad alto potenziale di commissioni, ai padroni di casa delle grandi banche d’investimento a stelle e strisce. Ora Deutsche Bank ha deciso, giocoforza, di cambiare: meno trading desk e più banca corporate, concentrata soprattutto in patria e nell’eurozona.

E alle parole dell’amministratore delegato di DB, pronunciate non più tardi di tre settimane fa, sono seguiti quasi subito i fatti. Ovvero, la ricompensa americana: quel +8% è giunto come reazione del mercato al fatto che non solo Deutsche Bank abbia superato di slancio gli stress test da adverse scenario della Fed, gli stessi cui fu bocciata e poi rimandata lo scorso anno, ma giovedì ha ottenuto anche il via libera anche al capital-return plan, ovvero ai piani relativi alla possibilità di operare buybacks (e per quale controvalore) e, soprattutto, di staccare dividendi. Un successone! Proprio mentre il titolo viaggiava al minimo storico sotto quota 6 euro per azione e si doveva lanciare la seconda bad bank in quattro anni per tentare di ripulire il bilancio, la Fed ti promuove a pieni voti! Tu guarda le coincidenze, a volte! E il mercato festeggia!

Lo stesso mercato che il ministro Di Maio sembra voler, nella migliore delle ipotesi, sfidare, ma nella peggiore – ancorché, temo, non più peregrina – aizzare contro Atlantia, come un moderno Robespierre che mostra teste mozzate alla piazza. Attenzione signori, l’Europa ci ha dato tempo fino all’autunno riguardo la procedura di infrazione, semplicemente perché la situazione finanziaria globale è delicatissima e occorre far passare l’estate e i suoi appuntamenti “monetari” cardine senza far scattare detonatori (come vi spiegavo nel mio articolo di ieri). Ma il redde rationem è solo rimandato. E pregate Dio che non accada nulla di legato alle emissioni autocallable delle banche francesi per strani scherzi sulla volatilità dell’Euro Stoxx 50: altrimenti, sarà davvero la Ground Zero d’Europa.

Ne parleremo a breve. E voi davvero vi sentite garantiti dall’entrare in navigazione in un mare di guai simili, in un mondo dove tutto è potere e sua gestione come dimostrato dal caso Deutsche Bank, con una compagine come quella che abbiamo nei palazzi del potere a Roma? Al netto dello scudo garantito da Mario Draghi, una cosa è certa: questo Governo fa comodo a qualcuno. Qualcuno che vuole male all’Italia. Anzi, le vuole talmente bene da volerla trasformare in protettorato. Ma penso che si possa stare relativamente tranquilli, paradossalmente. Perché il titolo Atlantia che ieri all’ora di pranzo perdeva solo lo 0,49%, non entrando nemmeno della top 5 dei cali di Piazza Affari, rappresenta una plastica mozione di sfiducia verso il ministro Di Maio, il vero spread. Quello che conta e deve far paura. E non a caso ho detto verso il ministro Di Maio e non verso il Governo: perché né il ministro Salvini, né tantomeno il premier Conte, sono stati così pazzi da seguire il leader grillino sulla sua rotta da kamikaze.

Doveva essere un grido di battaglia, il proverbiale segnale del Gladiatore: penso – e spero – che sia stato invece un ultimo, disperato rantolo di sopravvivenza politica dell’M5S in versione governativa. La fine di un soggetto politico di destabilizzazione eterodiretta che non solo è divenuto ormai inutile e superfluo, ma, ora, anche dannoso. Esattamente come gli ormai silenziosamente estinti “gilet gialli”. Tout se tient.