Benvenuti nella DDR, paradiso del controllo dove da lunedì potrete romanticamente cenare al ristorante con vostra moglie. In quattro, però. Voi due e due vigili urbani di piantone, chiamati al fondamentale compito di controllare il green pass. Magari mentre a quattrocento metri qualcuna meno fortunata di vostra moglie viene molestata o rapinata. Concetto brutale, lo so. Molto brutale. Ma è la realtà a esserlo, stante l’ulteriore decisione del Viminale di destinare poliziotti (già sotto organico in tutto il Paese) al controllo dei titoli di viaggio sui mezzi pubblici. Insomma, bus e metropolitane come i vecchi treni speciali degli ultras per andare in trasferta. Fuori, il Far West. Ma non basta. Quella con cui fra 48 ore dovremo fare i conti sarà una realtà che, almeno stando alla promessa-minaccia del ministro Giovannini, starebbe per fare strame anche del più sacrosanto e tutelato dei diritti, lo stesso che ferma persino le indagini dell’FBI nei telefilm americani: quello alla privacy sanitaria, visto che i vostri dati medici potrebbero venire associati all’abbonamento dei mezzi pubblici. La DDR, appunto.
Anzi, no. Diamo a Honecker, ciò che è di Honecker. Perché la DDR, al prezzo della libertà personale sequestrata e negata, offriva quantomeno in cambio la sicurezza sociale. Una casa (piccola e angusta) riscaldata e a un prezzo popolare, tre pasti al giorno (frugali e con quello che passava il convento ma garantiti e senza bisogno di Reddito di cittadinanza, Caritas o Banco alimentare), un lavoro dignitoso, sanità pubblica e possibilità di far studiare i figli, a dispetto del loro censo. L’esempio dell’istruzione garantita a tutti dalla DDR? La dottoressa Angela Merkel. Qui invece le regole vengono fatte rispettare con il pugno di ferro solo ai renitenti da vaccino, oltretutto nell’unico contesto in cui la mascherina non è mai stata abbandonata per legge.
Abbiamo appena avuto certificazione del fatto di essere il primo Paese dell’Ue per evasione dell’Iva, il tasso di disoccupazione è al 9,4%, chiusure e delocalizzazioni si sprecano, le dinamiche salariali sono da fame e, soprattutto, l’acclarata e continua divaricazione delle diseguaglianze sociali in seno alla società è ormai insostenibile. A quel punto e a parità di poliziotti dietro ogni angolo, meglio la DDR. Alla prova dei fatti, vietare di raggiungere il posto di lavoro con i mezzi pubblici a una persona che sta semplicemente esercitando il proprio diritto a non vaccinarsi – non essendoci in questo Paese l’obbligo a farlo – significa condannarlo a morte sociale: niente stipendio, niente affitti e bollette, niente mutui, niente spesa per mangiare e lavarsi. Niente. Eppure, tutto sembra normale. Se scelte simili, a parità di condizione sanitaria, le avesse fatte un Governo di centrodestra, accompagnandole poi a una Manovra come quella all’esame delle Camere, avremmo le Brigate Rosse per strada. Le priorità, oggi, sono altre.
Ad esempio, la stampa italiana ha riportato a caratteri cubitali la frase di Angela Merkel a latere del suo discorso di commiato, riferita alla situazione del Covid: Vorrei essere nelle condizioni dell’Italia. Bene, prendiamone atto. Magari qualcuno azzarderà un decimale in più sul Pil, forte di questa attestazione di stima da parte di chi fino all’altro giorno era dipinta come un’affamatrice di popoli mediterranei. Ora, invece, è di colpo una statista. Ciò che non vi dicono i giornali è che la Germania è politicamente ed economicamente nella sua condizione più precaria dal Dopoguerra. E lo testimoniano questi due grafici, presi fra almeno una decina nell’ultima settimana, uno più critico dell’altro.
L’inflazione è salita al 5,2% nell’ultima rilevazione, un livello fuori controllo per quel Paese: tanto per mettere la questione in prospettiva, l’ultima volta che si era toccata quella percentuale, il tasso di riferimento della Bundesbank – ancora non c’erano euro e Bce – era all’8%. Oggi quello dell’Eurotower è virtualmente a zero, in negativo sui depositi e qualche mente malata flirta con l’idea di passare ulteriormente al ribasso, forse come risposta eclettica ed estrosa all’inflazione galoppante. Ma è il secondo grafico a dover far riflettere: il Dax sta viaggiando su una base di trading che attualmente prezza uno sconto record rispetto agli altri indici benchmark europei. Insomma, la Borsa tedesca è la più oversold d’Europa.
La ragione? Semplice, il peso enorme dell’export su quel paniere di riferimento equity. Quindi, la crisi della logistica, i prezzi delle materie prime e i colli di bottiglia sulla supply chain colpiscono direttamente i titoli azionari più sensibili, spedendo l’intero indice in modalità di discount pericolosa. Tradotto, un Paese passato dal ruolo di locomotiva a oggetto di possibile scalata, un’enorme Opa di sistema che si tradurrebbe in potenziale take-over sull’intera Ue. Il tutto con un Governo che solo ora sta nascendo e che già invia segnali contraddittori: fino a un mese fa, Olaf Scholz escludeva a priori aperture a un rilassamento del Patto di stabilità, ora la sua revisione in termini meno rigorosi sarebbe addirittura scritta nero su bianco nel contratto di governo con Verdi e Liberali. Cos’è successo nel frattempo, quale rischio strutturale per la tenuta dell’Europa ha reso possibile (o necessario) questo epocale cambio di impostazione, prima culturale che di politica economica?
Inoltre, circola con sempre più insistenza il nome di Isabel Schnabel come successore a Jens Weidmann alla guida della Bundesbank, ovvero la colomba delle colombe, sacerdotessa del Pepp perenne, dell’helicopter money come ipotesi futuribile e soprattutto della pazienza nei confronti dell’inflazione transitoria. Praticamente, in Germania sta nevicando all’inferno. O, forse, la situazione sta facendosi davvero serio. Tanto da ritenere esiziale il ruolo di una Bce che operi forza quattro come prestatore di ultima istanza, tanto da rendere il debito non più tabù ma solo un male necessario. Strutturalmente.
E attenzione poi a quanto sta accadendo in contemporanea nel proxy tedesco per antonomasia, quell’Austria il cui banchiere centrale, Robert Holzmann, ha a sua volta compiuto una capriola filo-espansiva nelle ultime tre settimane e che da ieri è senza un Cancelliere. E con la squadra di governo dimezzata. Dopo le dimissioni di Sebastian Kurz per il sondaggio galeotto e il suo addio in toto alla politica, è stato il turno del suo successore, Alexander Schallenberg, di rassegnare a sorpresa le dimissioni dopo solo due mesi di cancellierato: Capo del governo e del partito di maggioranza devono coincidere, la sua spiegazione. Due mesi fa era forse a capo dell’OVP? No. Perché allora ha accettato quell’interim che appariva in realtà un mandato pieno? E perché adesso questo coup de theatre?
Cosa sta succedendo sotto la crosta terrestre dell’eurozona, proprio nel cuore del regno dei falchi? Cosa sta coprendo in maniera rutilante e sempre più eccessivamente sguaiata l’emergenza Omicron? Guardate quest’ultimo grafico, il quale ci mostra come nell’ultima settimana il dato dei nuovi contagi in Germania abbia rallentato la corsa, mostrando quasi una dinamica da plafond di picco in area 452 contagi per 100.000 abitanti.
Tanti, se paragonati all’Italia agognata dalla Merkel in campo sanitario. Ma attenzione: parliamo di un dimezzamento netto rispetto soltanto alla metà di novembre. Perché allora proprio Angela Merkel, come ultimo atto politico, ha deciso un giro di vite durissimo verso i non vaccinati, addirittura creando i presupposti di un loro status di lockdown perenne e aprendo all’obbligo vaccinale, dopo averlo respinto per mesi e mesi? E perché Olaf Scholz si è chiamato totalmente fuori dalla decisione, pur essendo il Cancelliere de facto e con un accordo di governo raggiunto? Sono stati forse i 3 (TRE) sospetti casi di variante Omicron al vaglio delle autorità sanitarie del Paese a spingere la ragazza venuta dall’Est a imporre una ricetta che ricorda molto il suo passato? E l’essersi presa l’onere di imporre una tale stretta repressiva, di fatto ultimo atto ufficiale per cui verrà ricordata, va letto come estremo atto d’amore per il Paese che ha servito per 16 anni?
Se volete, continuate pure a pensare che l’unico rischio che stiamo correndo – reale, per carità, nessuno lo nega – sia quello sanitario. Ma c’è molto di più in gioco, perché altrimenti occorrerebbe spiegare come mai una messa in campo a livello europeo (e a tempo di record) di un armamentario restrittivo di questo livello delle libertà personali per una variante di cui, in realtà, sappiamo ancora poco o nulla di certo e sulla cui pericolosità effettiva persino i virologi si scontrano frontalmente. Solo Pfizer e Moderna, stranamente, paiono pieni di certezze. Mai, nemmeno nel picco della terribile seconda ondata, si era arrivati a misure così draconiane. E le tensioni politiche sempre in aumento lo testimoniano, sottotraccia.
La primavera non porterà soltanto i germogli verdi. Forse, arriveranno anche lacrime e sangue. E il Covid versione Omicron con il suo coté di restrizioni e tracciamenti può risultare un ottimo cavallo di Troia per arrivare a un regime di controllo. Che punti più ai conti correnti che alle cartelle cliniche.
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