Con la chiusura di venerdì scorso, Nvidia ha raggiunto quota 2,05 trilioni di market cap. In un anno, +265% e 1,3 trilioni di capitalizzazione aggiunti. Da inizio 2024, +70%. Sarà per questo che Harvey Jones, guru del board di Nvidia dal 1993, ha appena venduto 65.000 azioni per 53 milioni di dollari?

Ma c’è altro che sta conoscendo un’ascesa parabolica: il debito federale Usa, come mostra il grafico. Solo nell’ultimo giorno di febbraio è cresciuto di 89 miliardi di dollari a quota 34,471 trilioni, nuovo record assoluto. Solo nel mese di febbraio, l’aumento è stato di 280 miliardi e 470 miliardi nei primi 2 mesi dell’anno.



Di fatto, il debito Usa sta crescendo al ritmo di 1 trilione ogni 100 giorni: per passare da 32 a 33 trilioni sono stati impiegati 92 giorni, da 33 a 34 ci sono voluti 106 giorni, mentre proiezioni di Bank of America fissano in 95 giorni l’arco temporale per raggiungere quota 35 trilioni. Avanti di questo passo, entro fine anno si arriverà a 37 trilioni di dollari ed entro il 2025 verrà toccata la quota-simbolo di 40 trilioni. Due anni prima delle già allarmate previsioni del Congressional Budget Office. Cosa unisce queste due dinamiche? L’insostenibilità. E come mostra questa immagine quando l’Economist decide di inviare un segnale, lo fa in maniera elegante. Ma inequivoca.



Il Toro rialzista del mercato è decisamente robusto, ma vola grazie a dei palloncini. Non una mongolfiera, un razzo o un dirigibile. Palloncini. Ora, prendete queste cifre, shakeratele e poi ponetevi una domanda: come mai la stampa, solitamente pronta a dedicare intere paginate al singolo colpo di tosse di Elon Musk, ha evitato di dare troppo risalto alla causa che il patron di Tesla ha intentato contro OpenAI e Sam Altman? Eppure la ragione è molto mediatica: aver violato gli accordi contrattuali per lo sviluppo di un’intelligenza artificiale a beneficio dell’umanità. E come mai Elon Musk ha atteso proprio ora per scatenare l’inferno legale, esattamente 48 ore dopo che la Sec ha annunciato un’indagine sulle comunicazioni interne della medesima OpenAI, al fine di chiarire se Sam Altman abbia ingannato gli investitori?



Unite i puntini. Passate ai raggi X il timing delle operazioni. E la nonchalance da ordinaria amministrazione di stampa e mercato. Per una volta, lasciamo pure da parte la March madness del reverse repo in drenaggio e del fondo-salvabanche Btgp in chiusura o la data-dependency da inflazione in modalità perenne jo-jo. Teniamoli in ghiaccio. Concentriamoci sul bersaglio grosso, la caccia all’elefante. Qualcosa sta per muoversi sotto il pelo dell’acqua, al fine di dividere l’AI buona da quella cattiva. Questa è la next big thing, la kora, la materia che il demiurgo plasmerà attraverso la correzione degli indici? E un neo-luddismo da social network sarà l’arma per generare la reazione dell’opinione pubblica, magari. E per far accettare di buon grado qualche scossone sulle valutazioni, al fine di evitare un futuro alla Huxley. Ottenendo così uno sgonfiamento della bolla controllabile. Ma dati i numeri, certamente non indolore.

Sul medio periodo, serve il caos. Calmo. E sul breve? Il 1° marzo, forse per ingannare l’attesa dell’arrivo di Giorgia Meloni, la Casa Bianca ha sentito la necessità di emettere una nota ufficiale. Chiusa Wall Street, da Pennsylvania Avenue è giunta infatti una rassicurazione: The banking system remains sound, and is resilient. Il Sistema bancario Usa è solido e resiliente. Una nota che uno si aspetterebbe dalla Fed. O dalla Sec. O dalla Fdic. E comunque, a fronte di una situazione di tensione (immotivata) che necessitasse una rassicurazione formale. L’ultima volta che fu invece la politica a intervenire a gamba tesa in un contesto simile fu il 21 luglio del 2008, quando l’allora segretario al Tesoro, Hank Paulson, sostenne la medesima tesi con quasi le medesime parole: US banking system fundamentally sound. E dentro quel fondamentalmente c’era lo spoiler di un’inezia come Lehman Brothers. Ci aspetta lo stesso?

No. Però attenzione. Siamo ancora sicuri del soft landing dell’economia Usa? O addirittura del no landing? Come si farebbe a giustificare agli occhi dell’opinione pubblica un eventuale ingresso-shock in recessione, magari a ridosso delle urne di novembre, senza perdere il residuo di credibilità di cui la Fed ancora gode? Ovviamente, Mr. Smith sa benissimo che Wall Street e Main Street hanno smesso di camminare appaiate da tempo. E il suo conto in banca gli anticipa recessione da mesi, ormai. Ma qui la questione diventa più politica e monetaria che economica, stante il continuo dilemma sui tassi. Che fai, tieni fermo in base alla data-dependency (magari, addirittura, fai un pensierino a un ultimo rialzo contro i colpi di coda del Cpi) oppure tagli per anticipare la contrazione sul nascere?

Date un’occhiata a questi due grafici: basta una crisi bancaria. Anzi, una crisi delle small banks. Del credito regionale, territoriale. Quello che Jamie Dimon attende di mangiarsi in un boccone.

Se infatti la prima immagine ci mostra quale sia stata la situazione da morte imminente con cui il titolo di New York Community Bancorp ha affrontato il weekend appena passato e dopo due feroci, ancorché tardivi downgrade di Moody’s e S&P, la seconda si pone come il proverbiale chiodo nella bara. Non bastasse l’esposizione al real estate, ecco che il tasso di delinquencies record su carte di credito che grava sui ridicoli requisiti precauzionali su perdite potenziali di quegli istituti rende la fine del Btfp (11 marzo), la data da scrivere ex ante sulla lapide. Alla Fed di New York si sarà tenuta una riunione, tanto informale quanto emergenziale fra sabato e domenica, stile 13-14 settembre 2008? Nel frattempo, il reverse repo è sceso sotto quota 500 miliardi. E non di poco. Overnight è passato da 503 miliardi a 441 miliardi. Mentre il capo economista di Apollo Global Management, Torsten Slok, pubblicava una nota nella quale sentenziava come la Fed non taglierà affatto i tassi nel 2024. Nemmeno di un quarto di punto.

La ragione? Sta tutte nelle parole di uno dei Governatori della Fed, Christopher Waller, nel corso del Monetary Policy Forum di New York. Sempre venerdì pomeriggio. Due i concetti chiave. Primo, le detenzioni di Mbs della Banca centrale dovrebbero scendere a zero. Secondo, sempre la Banca centrale dovrebbe concentrare maggiormente le sue detenzioni su Treasuries a breve scadenza. Detto fatto, la comunità finanziaria ha adottato l’opzione, ribattezzandola a tempo di record come Operation Reverse-Twist. Tradotto, acquisti di debito a breve scadenza per comprimerne il rendimento e rendere più ripida la curva dello yield statunitense. Tradotto ulteriormente, Qe mascherato. Insomma, lavori pesantemente (e sotterraneamente) in corso. La riprova? Guardate il trend dell’oro.

Ora, parola alla Bce. E che il Signore ci assista.

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