L’Italia cresce più di Francia e Germania e punta a un +1,5% di Pil per l’anno in corso. C’è un problema. Piccolo. Quel dato rappresenta la coda del doping di quello stesso supernonus che il medesimo, raggiante ministro Giorgetti ha definito una bomba a orologeria innescata nei conti pubblici. Lo sanno tutti. Come tutti sanno che la questione dei crediti incagliati è tutt’altro che risolta. Il dato del secondo trimestre ci dirà di più. Non foss’altro perché, nel frattempo, avremo capito il destino della seconda e terza tranche di fondi europei legati al Pnrr, l’una congelata e l’altra a forte rischio per il progressivo abbandono dei progetti.
E non a forte rischio di elargizione, bensì a forte rischio di condizionalità. A fine giugno, quindi, il quadro sarà decisamente più realistico. Al netto di inflazione e costi energetici, perché se i riscaldamenti pesano, l’aria condizionata in case, ufficio e fabbriche non è da meno. Ma di questo parleremo diffusamente nella seconda parte dell’articolo.
Ora, al netto di questo quadro, il sottoscritto ha un timore. Venerdì scorso First Republic Bank è di fatto fallita: in un giorno, fra contrattazioni regolari e after-hours il titolo ha perso il 70%. All’inizio di marzo, Frb valeva 120 dollari ad azione. Nella notte italiana fra venerdì e sabato scorsi, ha chiuso a 1,20 dollari. E attenzione, come da tradizione in stile Lehman, tutto è accaduto di venerdì. Ed ecco che a mercati chiusi, JP Morgan, Pnc e altre grandi banche hanno inaugurato la nuova figura di investitore: il Ricucci sul cavallo bianco. Ovvero, acquisteranno Frv ma non con soluzione di mercato e a cuor battente, bensì dopo il passaggio all’amministrazione controllata della Fdic. Insomma, i contribuenti statunitensi resteranno con il cerino in mano. Detto fatto, ieri è giunto l’annuncio del salvataggio.
Ora guardate il grafico, il quale ci mostra come gli insiders di Frb abbiano venduto titoli il 17, 19 e 20 gennaio, il 3, 17 e 22 febbraio e infine il 6 marzo. A un prezzo medio di 126 dollari per azione. James Herbert, il fondatore, da inizio anno ha venduto titoli per 4,5 milioni di dollari. Ora quelle azioni valgono 1,20 dollari. Nulla. Davvero Frb è stata vittima solo del rialzo dei tassi e del presunto libero mercato che implica e impone rischi e fallimenti? Oppure tutti sapevano, tranne gli americani che oggi pagheranno il conto, oltre a rimetterci i soldi, mentre JP Morgan avrà concluso il colpo dell’anno a costo pressoché zero?
E cosa c’entra tutto questo con l’Italia? Per ora, nulla. Ma per quanto sembri lontano, il 30 giugno è dietro l’angolo. E non solo per il dato del Pil del secondo trimestre. Anche per la fine del blocco dei riscatti di Eurovita. Il vero detonatore del rischio Italia. E quando, come in queste ore, gli addetti ai lavori cominciano a maledire la cattiva informazione che genera panico, parlare di Tmd (Tempo minimo di detenzione) che era chiaro all’atto di stipula dei contratti, di capitale a rischio solo in caso – impossibile – di liquidazione forzata e di altri asset da smobilitare in caso di bisogno dei contraenti, al sottoscritto cominciano a orientarsi le antenne. Direzione 2011. Perché tutti sanno che Frb poteva essere salvata, volendo. E con 200 milioni, apparentemente, anche Eurovita avrebbe risolto in maniera ordinaria la questione riscatti. Apparentemente è la parola chiave, però.
E sempre restando a casa nostra, veniamo ora al nodo energia. Non entro nel merito della questione relativa al confronto tra Governo e sindacati. Né tantomeno delle misure su lavoro e cuneo fiscale uscite in ordine più o meno sparso e raffazzonato dal Cdm-spot tenutosi ieri. Per una ragione molto semplice: c’è il fortissimo rischio che si tratti di un’inutile e pericolosa dissertazione sul sesso degli angeli. Per almeno un paio di motivi.
Il primo sta nel grafico, plastica rappresentazione della stupidità che alberga nelle stanze dell’Ue. In ossequio a una linea atlantista che ormai, al netto dei proclami formali, presenta più buchi di una forma di Emmental, l’Europa sta infatti seguendo le orme di Tafazzi in fatto di energia.
Perché infatti comprare prodotti petroliferi raffinati direttamente dalla Russia a un prezzo più che competitivo, quando – per far felice Washington – si può acquistare i medesimi prodotti a prezzo maggiorato dall’India? La quale, ovviamente, li acquista dalla Russia. Una bella partita di giro in ossequio all’ipocrisia. E, probabilmente, a un’agenda parallela e inconfessabile. Perché quando si comincia a parlare di ricostruzione dell’Ucraina come “occasione da non lasciarsi scappare”, evocando El Dorado da 400 miliardi di investimenti, il rischio di terminare sulla lista delle vittime da fuoco amico è decisamente alto.
Stando a dati diffusi da Bloomberg, agenzia difficilmente tacciabile di simpatie per il Cremlino, Russian oil is still powering Europe – just with the help of India. I numeri parlano chiaro. E attenzione, perché già oggi in Italia circolano bollette decisamente più alte di quelle del resto d’Europa e si comincia a parlare di nuova ondata di rincari a partire da ottobre. Il tutto senza che ancora il caldo africano degli scorsi anni sia arrivato a imporre l’utilizzo di condizionatori a go-go.
La Germania già sconta rincari da parte di E.on e altre utilities legati alla chiusura totale delle centrali nucleari, mentre la Francia utilizzerà i fermi delle aziende per l’estate al fine di operare in senso inverso. E l’Italia? Al netto delle tournée africane, quale alternative reali abbiamo all’energia russa?
Ecco poi che questo terzo e ultimo grafico mostra la seconda, colossale criticità in progress: la componente manifatturiera del PMI cinese relativo al mese di aprile è scivolata in territorio di contrazione. Contro ogni attesa e previsione. Quindi, oggi Banche centrali e Governi dovranno rivedere i propri piani in virtù di uno sviluppo meno lineare e automatico di una ripresa economica globale trainata da Pechino.
Certo, 49.2 non rappresenta certo una tragedia. E la Cina ha dimostrato di operare con estrema facilità sulla leva dell’impulso creditizio. Ma per quanto la dinamica faccia fatica a essere digerita, Xi Jinping può tranquillamente decidere non solo delle tempistiche del prossimo ciclo economico mondiale ma anche delle mosse di Fed e consorelle occidentali. Semplicemente scegliendo come muoversi. Ovvero, se accelerando la recessione o mettendola in stand-by. A palazzo Chigi ne avranno discusso?
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