Una Repubblica fondata sul pranzo di Natale. L’Italia si sta scoprendo per quello che è, una volta messa di fronte alla prova di resistenza della pandemia. Non c’è niente da fare, è bastato il mal interpretato liberi tutti del passaggio in zona gialla per tramutare le vie del centro cittadino di molti comuni del nostro Paese in una sorta di formicaio. Certo, c’è lo shopping natalizio. Certo, c’è voglia di normalità. Il problema è che non stiamo vivendo tempi normali, quindi la normalità va interpretata e vissuta per ciò che è: un lusso che ancora non possiamo permetterci, se vogliamo evitare altri guai. E ben più seri di quelli che già abbiamo vissuto.



Stiamo vivendo di illusioni. Quella dei 209 miliardi che ora arriveranno pronta cassa, visto che Polonia e Ungheria hanno smesso a loro volta di fare i bambini capricciosi. Quella dei vaccini per tutti entro l’estate, pressoché impossibile in un Paese dove non si riesce nemmeno a vaccinarsi contro la normale influenza stagionale. Quella dello Stato che interviene e sostiene, a fronte di un’onda di crisi sociale ed economica che sta montando in modalità tsunami, in vista della fine del blocco dei licenziamenti di fine marzo. Il quale, ovviamente, nei perversi pensieri e nelle tentazioni morbose di Governo e sindacati potrà ora essere bloccato e prorogato nuovamente, magari fino alle ferie estive: tanto ci sono i miliardi dell’Europa in arrivo. E si guadagna tempo. E consenso, visto il ponentino elettorale che comincia a spirare, ancorché l’ipotesi di grillini e renziani pronti a rischiare la ghirba dello scranno facendo saltare il banco del Conte 2 mi appare quantomeno lunare sulla carta.



Poi, c’è il resto del mondo. Tutt’intorno, la nuova normalità della pandemia muta la propria forma e si adegua. Anche pagando prezzi altissimi. Angela Merkel non ha perso molto tempo in mediazioni con il bilancino: il lockdown light ha funzionato solo in parte, visto che il numero di contagi e decessi appare ancora troppo alto, come mostra questo grafico. Questo nonostante sia decisamente più basso che in Italia e a fronte di numeri della sanità, terapie intensive in testa, nemmeno paragonabili.

Si chiude tutto, da domani al 10 gennaio. Resta aperto solo l’indispensabile. Nonostante Natale. Nonostante Capodanno. Nonostante i negazionisti che in Germania sono un esercito capace di mobilitare 40.000 persone a manifestazione e non 400 come da noi (per una volta, possiamo vantarci di un primato). Nonostante tutto. E questo cosa significa? In primis, una scelta di prospettiva che comunque avrà un costo. Ce lo mostra questo grafico, dal quale si evince come già dal mese di ottobre sia l’export che l’import della Germania avessero cominciato una flessione in concomitanza con l’arrivo della seconda ondata di pandemia. Oltretutto, restando comunque sotto i livelli pre-virus, persino durante il rimbalzo estivo.



In condizioni simili e per un’economia votata all’export, pensate che Angela Merkel abbia preso la propria decisione a cuor leggero? Ma attenzione a fare i conti con l’oste sbagliato. Da venerdì scorso, la Cancelliera è tornata a essere solamente tale. Seppur con quindici giorni di anticipo e informalmente, Angela Merkel ritiene chiusa la parentesi da presidente di turno dell’Ue. Compito assolto egregiamente, stante i risultati ottenuti dall’ultimo Consiglio europeo, la moral suasion esercitata sulla Bundesbank e lo strappo storico imposto al Bundestag con il raddoppio delle emissioni di debito per il 2021, di fatto l’ossigeno che ha permesso alla Bce di respirare e garantire spread sotto controllo per almeno altri sei-otto mesi. Ora, però, Angela Merkel pensa unicamente al suo Paese. E alla luce di quei dati macro. Pensate che non sappia cosa contempla un lockdown duro proprio oggi, alla vigilia del periodo più fruttuoso per quegli esercizi commerciali che invece da domani chiuderanno fino ad anno nuovo inoltrato?

Conoscendo la Cancelliera, la sua non è stata una reazione emotiva, di pancia, come il tono quasi singhiozzante del suo discorso di fronte al Parlamento ha lasciato intendere. Ha capito che è meglio chiudere tutto in un periodo di per sé già poco produttivo, stante scuole in vacanza e attività industriali a singhiozzo per le ferie natalizie, piuttosto che ritrovarsi a gennaio con un Paese alle prese con ospedali (e cimiteri) intasati. Pensate che, arrivando dalla scuola della ex DDR, Angela Merkel sia una senza Dio a cui non dispiace affatto privare se stessa e i suoi connazionali del Natale in famiglia? Semplicemente, è una donna di Stato. La quale ragiona in base alle esigenze e al bene comune e non alla legge sacra del non scontentare nessuno, poiché la memoria degli italiani è cortissima ma in periodo elettorale diventa quella di un elefante. Magari sbaglierà. Magari il suo si rivelerà un eccesso di prudenza. Di cui, sempre magari, cittadini e alleati politici poi le chiederanno conto. Ma un leader non pensa agli applausi, pensa a ciò che è giusto fare. E cos’è giusto per la Germania, quantomeno in base ai dati di fatto che abbiamo in mano? Tendenzialmente, diversificare e muoversi in autonomia.

Guardate questo grafico, ci mostra una dinamica che, a sua volta, parla la lingua di una delle leggi base ancorché non scritte della geopolitica: gli scostamenti tettonici avvengono giorno dopo giorno, sottotraccia, impercettibilmente. Poi, accelerano di colpo. Solo nel 2014, la quota di commercio bilaterale denominato in dollari fra Russia, il più grande esportatore di petrolio al mondo, e Cina, il più grande importatore di petrolio al mondo, era del 100%. Oggi, solo sei anni dopo, è del 40%. Il resto? In euro.

In questo caso, sì, la Germania sta ragionando come se la valuta comune europea fosse il clone comunitario del vecchio Deutsche mark. E sta ragionando sul suo futuro, su equilibri globali già cominciati drasticamente a mutare dopo l’11 settembre e l’avvento della globalizzazione e tramutatisi in vere e proprie doline carsiche in continuo divenire dalla grande crisi finanziaria del 2008 in poi. Ivi compresa la quasi implosione dell’eurozona nel biennio 2011-2012, quello del rischio default a catena sul debito sovrano. E cos’è accaduto, silenziosamente? Questo: il 5 dicembre scorso, la Cina ha ufficialmente scalzato la Francia come secondo partner commerciale della Germania. Negli ultimi 12 mesi, infatti, le aziende tedesche hanno esportato beni e servizi verso Pechino per un controvalore di 93,7 miliardi di euro contro i 92,9 miliardi registrati in uscita verso Parigi.

E ora? Cosa accadrà potenzialmente, dopo questa archiviazione tanto silenziosa quanto storica dell’asse renano, quantomeno a livello economico? Visti i trend di crescita, ora nel mirino è il primo posto. Ovvero, gli Stati Uniti. Con i quali, come è noto, la Germania di Angela Merkel ha un rapporto strano. E non solo per la dichiarata ed epidermica antipatia reciproca che ha caratterizzato il rapporto fra la Cancelliera e Donald Trump. Il caso Nord Stream 2, ovvero quello che a Washington viene visto come il supremo cedimento europeo al ricatto da dipendenza energetica verso la Russia, è infatti materia di grattacapi e lavoro sporco per il Deep State e le diplomazie incrociate da anni e in modalità assolutamente bipartisan fra Democratici e Repubblicani. Non a caso, la minaccia più diretta verso la Germania è stato l’annuncio del ritiro di gran parte delle truppe statunitensi di stanza sul suo territorio, quasi un ampliamento in ambito Nato della sfida lanciata dall’amante ferito d’Oltreoceano, un voler sottolineare con la penna rossa del Pentagono la presunta, insopportabile mancanza di riconoscenza di Berlino verso il ruolo statunitense nella Guerra Fredda. Perché a Washington, purtroppo, ragionano ancora su schemi bipolari. In un mondo multipolare.

Certo, l’America sa essere molto flessibile. Ad esempio, crea eserciti islamisti da utilizzare nella destabilizzazione di aree calde a tutela dei propri interessi politici e poi, quando il Frankenstein si ribella, cambia strategia e lancia la lotta globale al terrorismo. Garantendo comunque al suo Sistema un ritorno economico-politico-finanziario. Ma non capisce che la logica da pericolo rosso a Est, ormai, fa ridere. Mezza Wall Street è in mano cinese, a livello diretto come per il venture capital del Dragone che ha finanziato per anni l’intera Silicon Valley o comunque implicito, visti i capitali senza più confini che si muovono in un mondo totalmente finanziarizzato e l’alluvione di impulso creditizio garantito dalla Pboc cinese da oltre un decennio. Eppure, Washington vorrebbe un’Europa in versione cane di Pavlov che ancora reagisce a stimoli maccartisti.

La Germania, invece, silenziosamente ma fattivamente, sotto il cancellierato Merkel ha varcato il Rubicone, un giorno dopo l’altro. Ed è arrivata allo stato attuale delle cose: Nord Stream 2 da un lato, ma anche le ipocrite sanzioni anti-Mosca in sede Ue. Fedeltà atlantica formale e preoccupazione per le incursioni cinesi nei big data e nel 5G. ma, contemporaneamente, export verso Pechino che ormai appare esiziale per l’economia teutonica.

Berlino sta ragionando e, soprattutto, agendo con il medesimo atteggiamento da piede in due scarpe che da sempre contraddistingue il cosiddetto pragmatismo statunitense in politica estera. Ecco, paradossalmente, perché Angela Merkel ha scelto di chiudere tutto. E il Paese, disciplinatamente, seguirà la sua imposizione, senza strepiti o mercanteggiamenti da suk nordafricano a livello di coalizione governativa. Perché ha una vision di futuro del Paese, ha preso la Germania per mano e l’ha portata in condizione di scegliere – non senza rischi o azzardi – la strada che ritiene migliore per il proprio futuro. Ecco cosa fa un leader. Non certo passare notti insonni, tormentato dal dubbio se aprire o meno agli spostamenti fra comuni il giorno di Natale, mentre la nave imbarca acqua da ogni oblò.

La Germania è nel futuro e i satelliti europei del Nord sono pronti ad accodarsi. Il cosiddetto Club Med, quello che resta in vita grazie alla Bce e chiede la cancellazione del debito, è ancora nel Novecento. E nel nostro caso, strepita per poter invitare anche i cuginetti al pranzo del 25 dicembre o si pettina l’ego nazionale per la geniale intuizione della primula anti-Covid di Stefano Boeri. Insomma, lucidatori seriali di maniglie sul Titanic.