Non so cosa accadrà oggi in Parlamento. E, sinceramente, la questione in sé poco mi appassiona. Dubito che un’armata Brancaleone come quella che sta governando questo Paese sia davvero tentata dall’idea di tornare all’opposizione. O, in molti casi, addirittura di sparire del tutto dalla scena politica. Sia perché il Quirinale difficilmente manderebbe alle urne un Paese ancora alle prese con la pandemia, sia perché in caso contrario il taglio dei parlamentari tanto sponsorizzato dai grillini abbasserebbe di parecchio il numero di scranni a disposizione per gente che, in nome dell’antipolitica, proprio in quell’Aula ha trovato un’ottima alternativa al lavoro. Vada come deve andare, alla fine. Le redini della situazione, se ancora qualcuno avesse dei dubbi al riguardo, certamente non sono nelle mani di Giuseppe Conte. Né di M5S e delle sue beghe interne. La questione è ben più seria e fa diretto riferimento all’unico interlocutore di cui occorre preoccuparsi: quell’Europa che si trova contemporaneamente a fronteggiare tre minacce come la seconda ondata di pandemia, il veto di Polonia e Ungheria sul Budget che sta bloccando il Recovery Fund e la Brexit. Insomma, una sorta di tempesta perfetta.
Ma è un’altra la vera variabile, se vogliamo essere sinceri e dirci le cose come stanno: comunque vada a finire oggi al Senato, comunque si intendano affrontare i nodi in sede di Consiglio Ue da domani, l’unico soggetto in grado di decidere le sorti a breve di un intero Continente è la Bce. La quale, sempre domani, è chiamata forse alla sua prova più impegnativa di sempre. Per due ragioni: primo, fallire nella missione di rassicurare i mercati equivarrebbe a far sprofondare l’intera eurozona in una recessione a due cifre immediata, poiché al fall-out macro della pandemia andrebbe unita una crisi finanziaria-bancaria pressoché certa. Secondo, purtroppo alla guida dell’Eurotower oggi c’è Christine Lagarde, una Miss inadeguatezza che nell’ultimo periodo ha dovuto prendere atto anche di una messa all’angolo da parte del suo board senza precedenti. Il tutto, giova ricordarlo, alla vigilia dell’addio di Yves Mersch e dell’ingresso nel Consiglio di un falco vero e non di facciata come Frank Elderson.
Le aspettative sono altissime: il consensus generale è quello di un bazooka con capacità di deterrenza pari al Whatever it takes di Mario Draghi e tutte le opzioni sono sul tavolo, fatti salvi – per ora, almeno – i tassi negativi sul riferimento benchmark del costo del denaro. Quanto dobbiamo aspettarci di aumento? “Solo” 500 miliardi in più di ammontare a disposizione e un arco temporale prolungato fino al 31 dicembre 2021 per il Pepp? Oppure si andrà oltre, magari unendo a una detenzione maggiore addirittura una durata del programma pandemico di acquisto open-ended, ovvero senza una data di scadenza predeterminata, ma basata unicamente sulle necessità di sostegno contingenti? Cominciamo a far parlare i grafici, più che le chiacchiere.
La Bce ha già lavorato a tre scenari ipotetici, come ci mostra questa immagine, i quali contemplano appunto ipotesi diverse rispetto all’ampliamento del Pepp: come potete notare, vi sono due gradi potenziali di espansione, partendo dal presupposto che il livello attuale non può essere confermato, salvo voler far precipitare le Borse e mandare gli spread in orbita. Un aumento da 400 miliardi oppure uno monstre da 2.600 miliardi totali di cosiddetto envelop, quindi un ampliamento di 800 miliardi rispetto al target di “munizionamento” massimo attuale.
Penso che, a meno di criticità già emerse nelle stanze che contano ma che non si possono ancora condividere con i comuni mortali, si opterà più per l’ultima ipotesi che per quella mediana: occorre uno shock, la situazione non consente vie di mezzo. Non ora, almeno. E questo secondo grafico ci mostra il perché. Già oggi, l’indicatore dei tassi reali che fa riferimento al mercato Estr(Euro Short-Term Rate) parla chiaro, fin troppo: il costo del denaro nell’eurozona sul benchmark proprio della Bce è tracciato come negativo fino al 2030. La situazione dell’eurozona, signori, è questa: inutile prendersi in giro.
Capirete, quindi, come appaiano quantomeno farsesche le battaglie di retroguardia di chi, in vista del voto di oggi sulle mozioni di indirizzo per il Consiglio europeo, strepita contro il Mes inteso come fondo salva-banche tedesche con i soldi degli italiani. Idiozie. Punto. E ce lo spiegano splendidamente questi due grafici, dai quali si evince – in punta di malafede – come parlare in questo momento storico di Germania predatoria rappresenti appunto un’idiozia. Grazie al piano di emissioni di debito senza precedenti annunciato da Berlino per il 2021 (180 miliardi di euro, il doppio del previsto), infatti, la Bce può contare su un “ampliamento” della platea di Bund da monetizzare, contesto che porta con sé la chiave della nostra stessa sopravvivenza a livello di finanziamento sul mercato dei conti pubblici: la deroga continua e costante ai principi cardine di capital key e limite del 33% per emittente.
I grafici parlano chiaro: senza l’impegno della Germania a livello di extra-emissione per l’anno prossimo, il Pepp non solo non sarebbe potuto andare oltre il 30 giugno 2021, ma, per farlo, avrebbe dovuto abbassare il volume di ammontare settimanale di acquisti. Tradotto, meno potenza di fuoco contro gli attacchi speculativi verso i debiti sovrani solo artificialmente forti come il nostro e quelli spagnolo, portoghese e greco. Può dare fastidio l’idea di dover ringraziare la Germania, ma è così: non è colpa di Berlino se loro possono tranquillamente ricorrere al deficit, non avendo una ratio debito/PIL al 160%. Certo, la scorciatoia da Bar sport del Mes inteso come salva-banche tedesche fa prendere molti like sui social network e aumenta l’audience ai pifferai catodici del sovranismo, ma bastano un paio di cifre per smentire questa sesquipedale idiozia: Deutsche Bank, istituto più volte citato come beneficiario occulto e terminale del Mes riformato, ha chiuso gli ultimi due trimestri con utili in positivo, il secondo a quota 61 milioni e il terzo addirittura a 309. Il tutto perché, a differenza di quanto viene contrabbandato come realtà da certe forze politiche, l’istituto tedesco ha capito che dopo anni di dipendenza speculativa da trading desk e abbuffate di derivati era giunta l’ora di rimettere a posti i conti. Ma davvero, pena l’alternativa di fare default. E ha dato vita a un’operazione di mercato reale, aprendo una bad bank azzardata ma esiziale in cui scaricare l’immondizia a bilancio, ma anche razionalizzando i conti e monetizzando gli assets attraverso la vendita ai concorrenti del ramo trading, il più fruttuoso. Senza contare la chiusura di filiali e i tagli occupazionali, tutt’altro che indolori. E il mercato ha gradito.
Senza scordare che, volendo dare per buona la necessità per Deutsche Bank di essere salvata a breve, ci penserebbe il Governo tedesco, conti in ordine alla mano e garanzie statali a cascata. Lo stesso esecutivo di Berlino che, preso atto – anche per proprio interesse diretto, ci mancherebbe, nessuno lo nega – del momento da o la va o la spacca in cui la pandemia ha fatto precipitare l’eurozona, ha messo all’angolo e tacitato le critiche della Bundesbank verso l’eccesso di deroghe del Pepp (un’arma tutt’altro che spuntata nella mani di Jens Weidmann, basti ricordare il mandato diretto di cui è stato investito in tal senso dalla Corte di Karlsruhe) e dato vita a un mega-scostamento di bilancio, tramutatosi appunto in emissioni di Bund tali per il 2021 da garantire vita propria e assoluta indipendenza operativa al Pepp – con controvalori superiori agli attuali – addirittura fino al giugno 2022. Senza che la Bce abbia dovuto fare nulla.
Ecco cosa ha fatto la Germania per l’Europa: prolungare di un anno a volumi aumentati l’unico strumento che sta garantendo all’Italia di non avere lo spread a 350 e i libri in viaggio verso il più vicino tribunale, tanto per parlarci chiaro e con le cifre – e non la retorica elettorale o patriottarda – alla mano. E cosa dire del nostro sistema bancario, schiacciato com’è da sofferenze destinate a crescere con la fine del blocco dei licenziamenti e detenzioni monstre proprio di debito pubblico, a sua volta sensibilissimo a livello di iscrizione a bilancio proprio al valore dello spread?
Guardate questo ultimo grafico, il quale ci mostra quale impatto ha avuto il cosiddetto tiering sui costi diretti e indiretti dei tassi di deposito negativi sulla profittabilità creditizia nell’eurozona. Certo, a pagare il conto maggiore sono state le banche tedesche, principali beneficiare di quella mossa, ma, fino a prova contraria, stare in Europa significa anche dare e avere: mi verrebbe da chiedere ai cantori del Mes come strumento di conquista tedesco del mondo, dove sarebbe finito il nostro sistema bancario senza il combinato di aste di rifinanziamento a lungo termine (Tltro) e tiering, però. Calcolando che non è colpa di Berlino, né tantomeno un’imposizione contenuta nei trattati europei, il fatto che a gravare sui bilanci delle nostre banche ci sia la voce doom loop, ovvero badilate di Btp acquistate come do ut des verso il Tesoro e quindi la politica in senso più ampio di rapporti di forza. O sbaglio?
Insomma, come vedete, qualunque cosa accada oggi in Parlamento conterà poco. Quasi nulla. Il vero potere e le vere decisioni sono già oggi prese altrove. Grazie al cielo, stante il livello medio della classe politica del nostro Paese. Se vi fa comodo o lo ritenete addirittura vero, continuate pure a credere alla narrativa vittimista e auto-assolutoria dell’Europa matrigna e del Mes che saccheggerà i conti correnti italici per salvare Deutsche Bank o Commerzbank. Ma sappiate che è un’idiozia. E chi la sostiene, se andasse al Governo, trascinerebbe il Paese in tempo di record negli abissi da cui solo il Pepp, per ora, ci sta ancora salvando. Non a caso, parla di bond patriottici. Una patrimoniale mascherata e, oltretutto, finalizzata a spennare anche – e soprattutto – classe media e ceti meno abbienti, la cosiddetta clientela retail già oggi diventata bersaglio privilegiato delle emissioni a cascata. Riflettete, prima di prendervela con il nemico sbagliato.