Il Governatore della Banca di Francia, François Villeroy de Galhau, è intervenuto mercoledì mattina a France 2. Argomento principale: lo stato del debito e del deficit francesi. Ecco le tre frasi che conviene segnarsi sul simbolico taccuino delle emergenze non ancora dichiarate.

Uno, Negli ultimi giorni, anche i mercati internazionali, quelli che prestano capitali alla Francia, ci dicono che ora dobbiamo reagire. Due, Quando una famiglia vive al di sopra delle proprie possibilità, come nel caso della Francia, possiamo ridurre le spese o aumentare le entrate. Oggi dobbiamo fare entrambe le cose: abbiamo bisogno di una buona dose di cocktail. Tre, Presto saremo l’unico Paese in Europa che non riuscirà a ridurre il debito a meno del 3% del Pil.



Ora, messe in fila magari riescono a sortire un minimo di effetto. Ma se volete meglio comprendere il senso di crisi imminente che contengono, vi invito a dare un’occhiata a questo grafico.

Dimenticate lo spread fra Oat francesi e Bund tedeschi in continuo ampliamento e anche quello con i Bonos spagnoli andato in inversione proprio ieri per la prima volta dal 2007, da 48 ore la vera novità è che sulla scadenza a 5 anni il debito transalpino paga un rendimento maggiore di quello della Grecia. Quante volte abbiamo subito questo trattamento di paragone come Italia. Prima il Bund, poi anche per noi il Bonos del Governo progressista spagnolo di turno e poi, quando occorreva mettere pressione, ecco arrivava la stilettata: il paragone con i titoli della fallita e risanata Atene, quella presa sottobraccio dalla Troika a colpi di tagli di stipendi e pensioni e bancomat bloccati.



Certo, il Presidente Macron è stato come al solito abilissimo nello spostare l’attenzione dei media verso l’allarme fascista di Marine Le Pen prima e ora verso la situazione libanese. E il sistema elettorale francese ha fatto il resto. Certo, in sede di nuova Commissione europea Ursula von der Leyen ha garantito alla Francia alcuni posti di peso. E regolato in malo modo i conti con le voci a rischio di eccessiva criticità come quella di Breton. Ma ora il mercato comincia davvero a spazientirsi.

Siamo alla vigilia di una seconda crisi dell’Eurozona dopo quella del 2011? Stavolta sarà Parigi e non Roma l’agnello sacrificale per i nuovi equilibri, magari in una silenziosa e sotterranea guerra di interessi e agende contrapposte fra la presidente della Commissione e un Mario Draghi che pare tutt’altro che intenzionato a farsi da parte? Nel mezzo, la Bce.



Ora, attenzione. Perché come temevo, la revisione del Pil compiuta dall’Istat e il conseguente tesoretto derivante da quel gioco di prestigio sui numeri della crescita, comincia a far danni in vista della Manovra. Si cominciano a sentire irresponsabili ragionamenti sul deficit che può salire senza alcun problema. Si sentono dotte lezioni che scordano quella patrimoniale da libro di storia economica che è stata l’ondata inflattiva degli ultimi due anni, il vero denominatore di quelle revisioni ma anche il virus che ha sterminato risparmi e potere d’acquisto dei cittadini. A differenza dell’Italia, la Francia non ha beneficiato di acquisti di debito oltre la capital key da parte della Bce in sede di programma pandemico, il Pepp. Ovviamente, quindi, a fronte di deficit fuori controllo e debito con ratio ormai ampiamente a tre cifre sul Pil, è chiaro che il mercato cominci a porsi delle domande che portano a estremizzazioni temporanee come quel gap con il titolo a 5 anni ellenico. Ma sappiamo benissimo come ragioni la Francia. Ricordiamo tutti la reazione all’aumento delle accise sul carburante: mesi e mesi di proteste dei Gilet gialli, più o meno eterodirette. Oggi, poi, politicamente il clima è da fine Impero. Contemporaneamente, se Olaf Scholz può tirare un sospiro di sollievo per la vittoria in Brandeburgo, sempre mercoledì è giunta la notizia delle dimissioni in massa dell’intera dirigenza dei Verdi, dopo il mancato raggiungimento del 5% proprio al voto di domenica scorso. Fuori dal Parlamento del Lander.

Ora, fate un ragionamento. Se la priorità del Cancelliere è tutelare ciò che resta di competitivo del settore automobilistico e il principale ostacolo di politica interna era rappresentato proprio dalla presenza dei Verdi nella maggioranza semaforo, cosa potrebbe essere tentato di fare adesso Olaf Scholz? Forte di un timore crescente della Cdu per un’Alternative fur Deutschland che in Brandeburgo l’ha più che doppiata nei consensi e che punta quindi al colpo grosso alle politiche del prossimo anno, il Cancelliere non potrebbe pensare a un rimpasto che veda estromessi i Verdi e coinvolti – magari con l’appoggio esterno – i Cristiano-sociali?

Quasi in una sindrome Anschluss al contrario, domenica si vota in Austria. Se la Fpo dovesse fare l’en plein, l’allarme in casa Cdu-Csu diverrebbe rosso. E il dialogo con la Cancelleria per un ultimo anno di governo da Grosse Koalition, tutt’altro che ipotesi peregrina. A quel punto, quale rischio? Semplice, l’asse renano diverrebbe giocoforza asse della disperazione. E al netto di una Spagna che comincia pesantemente a perdere colpi di competitività e di un inverno che potrebbe mettere sul tavolo la variabile dei costi energetici, ecco che l’Italia potrebbe divenire il comodo capro espiatorio di tensione da regalare a istituzioni, media e soprattutto mercati.

Vi pare un caso che, proprio ora e nel pieno dell’affaire Unicredit-Commerzbank, in sede Ue si torni prepotentemente a parlare di Mes e della necessità che proprio il nostro Parlamento ne ratifichi la riforma?

Attenzione alle prossime settimane. E attenzione alla necessità di mettere fin da ora la mordacchia a chiunque sia così poco avveduto da utilizzare le revisioni dadaista dell’Istat e l’amicizia del nostro Paese con Elon Musk come grimaldello per far saltare la serratura di questa Europa, ancorché ormai indifendibile. Perché sarebbe il classico bicchiere di troppo che rovina una festa apparentemente indirizzata su ottimi binari, stante il precario stato di salute degli altri due contendenti alle attenzioni e alle grazie della padrona di casa. Da fine anno, la festa del reinvestimento titoli Bce e del conseguente scudo anti-spread, termina. Il 2025 sarà anno di collocamento del debito senza salvagente. E un’impennata dei costi dovuta a poca prudenza in questa fase, potrebbe rivelarsi fatale. Perché la Francia, anche solo per orgogliosa grandeur fuori tempo massimo e degna di miglior causa, non accetterà mai il ruolo di nuova Grecia. A quel punto, se Olaf Scholz potrà garantirsi un anno di campagna elettorale a tutto gas (russo) e senza Verdi fra le scatole, l’asse renano sarà ricomposto. Seppur in una simbolica corsia di ospedale.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI