Bentornati nel 2011. La tempesta perfetta si è abbattuta sull’Italia, mentre l’unico argomento che pare interessare il Paese sia come farsi ulteriormente male con una posizione a dir poco parossistica sulla questione ucraina. Il dubbio ora diventa davvero enorme: a che gioco stanno giocando al Governo? Ma, soprattutto, la gente finalmente aprirà gli occhi su quanto sta per abbattersi sul Paese o continuerà a non capire che le immagini di civili in fuga rimandate H24 da tutte le reti sono una colossale distrazione di massa ad alto tasso di emotività? 



A sorpresa, il board della Bce ha pressoché completamente ignorato l’impatto della situazione in Ucraina sulla crescita, privilegiando un approccio da falco nei confronti dell’inflazione: taglio netto degli acquisti a partire da subito e un crono-programma invece più rilassato rispetto al primo rialzo dei tassi. Tradotto, il mix perfetto per la Bundesbank e una condanna a morte per il nostro Tesoro. Detto fatto, questa è stata la reazione dello spread: un 18% di aumento intraday in pochi secondi, volando da meno di 150 del mattino a oltre 170 punti base. E attenzione, il tutto con lo schermo della stessa Bce ancora in attività fino al 31 marzo: senza il backstop del Pepp, quota 200 sarebbe stata garantita. E con essa un trend da sell-off auto-alimentante. 



Perché l’Eurotower è stata chiarissima: le prerogative di acquisto della facility pandemica che va a esaurirsi passeranno dal 1° aprile all’App, la sigla-ombrello del Qe europeo, ma immediatamente per un controvalore più basso degli attuali 45-50 miliardi al mese. Per l’esattezza, 40 miliardi ad aprile, 30 a maggio, 20 a giugno. E il 30 di quel mese, stop. Detto fatto, il nostro spread ha immediatamente prezzato la fine dello scudo. Mentre per quanto riguarda i tassi, la formula utilizzata è questa: Any changes in borrowing costs will take place some time after the end of net bond purchases and will be gradual. Quindi, nessuno shock. Prima si fa finire la festa per i Paesi totalmente dipendenti dalla compressione artificiale del premio di rischio garantita dagli acquisti, poi un graduale principio di normalizzazione. Praticamente, la Bundesbank è salita in cattedra e ha deciso l’agenda. 



Anche perché in contemporanea, dagli Usa arrivava il nuovo dato shock sull’inflazione: +7,9% a febbraio, il massimo dal gennaio 1982 e in aumento rispetto al dato già record di gennaio, quando si toccò quota +7,5%. Insomma, se fosse servita una conferma della non transitorietà del trend dei prezzi, eccola servita su un piatto d’argento. E con un’enorme, colossale aggravante: se il bando statunitense dagli acquisti di greggio russo può esacerbare le dinamiche energetiche ulteriormente, ora è l’inflazione alimentare a mettere paura. Poiché dopo il grano e i fertilizzanti, la Russia ieri ha imposto lo stop anche dell’export di zucchero nell’eurozona e il divieto di approdo per navi straniere nei suoi porti. Non a caso, la Bce nel suo comunicato ha ribadito come sia sua ferma intenzione quella di aderire al proprio mandato. Ovvero, quella stessa stabilità dei prezzi ritenuta invece sacrificabile fino all’altro giorno. Altro indizio di un intervento della Bundesbank in versione panzer. 

Chi pensava che il tandem Scholz-Nagel avrebbe aperto scenari nuovi rispetto al presunto rigorismo di quello composto da Merkel e Weidmann è stato prontamente servito: Berlino sotto guida Spd sta dimostrandosi falco all’ennesima potenza. E non nei proclami, bensì nei fatti. E nel momento più strategico e delicato in assoluto. Cosa farà ora il Governo? Perché, oggettivamente, il mercato si attendeva un approccio molto più attendista, addirittura di prosecuzione sub judice e graduale del Pepp come compensazione dei danni in divenire che la situazione ucraina sta infliggendo e infliggerà alla crescita economica. Invece, il vero e proprio colpo di scena. Alla luce del quale, l’esecutivo sarà chiamato a enorme prudenza nel procedere a nuovo ricorso al deficit, come ventilato nei giorni scorsi per tamponare ulteriormente il fallout economico del caro-bollette su famiglie e imprese. Perché ora lo scudo Bce che annulla il premio di rischio viene prezzato come concluso, quindi ogni mossa che incida sullo stock di debito e su un aggravamento per i conti pubblici verrà immediatamente punita. 

Perdita dell’accesso ai mercati? Non esageriamo. Ma, chiaramente, ora cambiano anche gli equilibri. E la mia provocazione dell’altro giorno rispetto all’ultima chiamata per staccare la spina al Governo prima della riforma esiziale del Mes, ora assume contorni differenti. Anzi, antitetici. Paradossalmente, infatti, l’accelerazione imposta dalla Bce verso un ritorno alla normalità pare preludere a due scenari paralleli. Primo, una discussione sul Patto di stabilità che rischia di trasformare in meri auspici, in wishful thinking, le certezze romane di un ammorbidimento dei parametri. E secondo, una blindatura implicita dell’attuale presidenza Draghi. Poiché nessuno, a fronte di una tempesta ormai alle porte, si azzarderà a ipotizzare un’uscita verso il mare aperto della crisi di governo e del voto anticipato. Perché dovrebbe mettere mano a un Def bellico a tempo di record. 

La Bce ha cambiato tutto. E se ha fatto uno sgambetto enorme all’Italia, forse al traballante esecutivo del suo ex governatore ha fornito un insperato assist emergenziale di tenuta, quasi un’assicurazione sulla vita. Ma in base a un principio di do ut des, ovviamente e alla luce di un’agenda precisa, eterodiretta e predeterminata. L’unica certezza? Prepariamoci davvero a lacrime e sangue, a questo punto. Perché se il fatto che un Paese del G7 come il nostro – e che fino all’altro giorno si era fatto vanto del suo 6% di crescita – sia stato l’unico in Europa a ipotizzare en plein air la necessità di abbassare il riscaldamento e spegnere un po’ la luce faceva già trapelare un quadro di rapido deterioramento, oggi le misure draconiane necessarie a puntellare l’edificio in assenza degli acquisti Bce diventeranno drammatiche e prioritarie. Esattamente come nel 2011, quando al Governo Monti fu concessa carta bianca con il beneplacito pressoché unanime del Parlamento. Appunto, bentornati nel 2011. 

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