Il 20 agosto Il Morris Brown College di Atlanta ha inviato una comunicazione agli studenti in vista dal rientro dalle vacanze estive: a causa del recente aumento di casi e ospedalizzazioni da Covid, viene reintrodotto l’obbligo di mascherina in tutte le aree comuni del campus. E consigliato il distanziamento sociale. Stessa cosa a Hollywood, dove negli studios della Lionsgate tutti i lavoratori sono chiamati all’utilizzo di dispositivi di protezione, salvo se in ufficio da soli e con la porta chiusa o mentre si mangia o beve “attivamente”. Stesso discorso in due ospedali newyorchesi di proprietà della Upstate Medical. Ma davvero la variante Pirola è così contagiosa?
I numeri negli Usa parlano di 12.613 ospedalizzazioni nella settimana conclusa il 12 agosto contro le 6.313 di quella terminata il 24 giugno. Nulla rispetto al 2020. E molto circoscritta, per ora. Ma attenzione, perché già si parla di “Election variant” in vista delle presidenziali 2024. La ragione? Stando allo US Census Bureau, alle elezioni del 2020 – in piena pandemia – il 69% degli elettori votò in maniera non tradizionale, tra voto postale e anticipato rispetto ai seggi. E il Pew Research in uno studio ha certificato come solo il 32% dei sostenitori di Trump scelse quella opzione contro il 58% di chi sosteneva Biden.
Ora, guardate questo grafico:
ammesso e non concesso che l’allarme possa essere precauzionalmente esagerato ma reale, il fatto che oggi negli stessi Stati Uniti si stia registrando un silenzioso e silenziato ciclo di default corporate che vede il numero di zombie firms schiacciate dal loro stock di debito tre volte maggiore a quello vissuto durante la crisi finanziaria del 2008, fa sorgere qualche cattivo pensiero?
Anche perché, al netto del messaggio arrivato da Jackson Hole, i tassi scenderanno solo in caso di recessione. Ma in quel caso, gli spread di credito voleranno ulteriormente. Mentre i fallen angels… Non sentite un vago odore di cortina fumogena in preparazione?
Ora date un’occhiata a questo articolo, pubblicato domenica da Repubblica e dal titolo decisamente allarmante: L’estate pazza dei prezzi del gas: aumenti del 60%. Verso rincari in bolletta. Ora direte, giustamente: cosa c’entra l’articolo postato e relativo ai costi energetici in Europa e in Italia? Scusate, gli stoccaggi nel nostro Paese non sono al 90%? Ad Amsterdam non è in atto solo un giochino sul gas di carta a breve termine? L’Algeria non ci inonderà a prezzi più che competitivi, stante l’accordo raggiunto fra Roma e Sonatrach, la stessa che qualcuno vorrebbe indipendente da Gazprom? E allora, perché dovremmo temere per le bollette autunno/inverno, stante prezzi che già oggi da noi sono più alti che in gran parte dell’Ue? Forse perché il cosiddetto mercato libero è in realtà un Far West con leggi proprie che i governi non osano contestare? O forse per un qualcosa di molto peggiore?
Ovvero, rispetto all’anno scorso, in cassa non c’è un euro per aiutare famiglie e imprese a pagare quelle bollette. Casualmente, si parla di nuovo vaccino a ottobre. Perché fabbriche, capannoni e uffici chiusi non consumano. E il Mes sanitario stavolta, magari, lo si attiva. Non ci credete? Allora vi invito a concentrare la vostra attenzione su un altro articolo, questa volta pubblicato sabato scorso dal quotidiano La Stampa e titolato Antonio Tajani: “Rilanciamo le privatizzazioni, lo Stato ha bisogno di fare cassa”.
Verrebbe da chiedersi quanto la posizione su una questione di questa importanza strategica per il Paese sia condivisa in seno al governo, visto che a stretto giro di posta l’altro vicepremier, il ministro Salvini, l’ha bocciata e definita non prioritaria. Verrebbe da chiedersi perché un tema simile venga affrontato con un’intervista su un quotidiano e dal ministro degli Esteri, forse uno degli ultimi titolari di dicastero interessati direttamente. Verrebbe da chiedersi quanto ci sia di politico in questa uscita, stante la pressoché immediata sconfessione da parte di Forza Italia dell’intervento sugli extraprofitti bancari, questo sì rivendicato in prima persona da Palazzo Chigi. Verrebbe da chiedersi quanto ci sia di incrociato nella campagna sottostante a questo fuoco di fila di annunci, smentite e prese di distanza, visto che Il Sole24 Ore sempre di sabato scorso titolava in prima pagina Extra-profitti e banche: boomerang sui titoli di Stato.
Tradotto, qualcuno al Mef – e sicuramente non un usciere – ha sentito il bisogno di imbeccare il principale quotidiano economico sul rischio di rottura dello storico doom loop nella detenzione di Btp da parte degli istituti di credito. Tradotto ulteriormente, si conta sempre meno sulla Bce e sulla correlazione automatica fra emissioni e acquisti. Verrebbe da chiedersi se esista già una lista di privatizzazioni. Perché il ministro Tajani nell’intervista parlava così: “I porti… Ma pensiamo a servizi come il trasporto pubblico locale, le municipalizzate, la gestione dei rifiuti. Si tratta di ambiti in cui talvolta sappiamo si nascondono un po’ dei carrozzoni”. Verrebbe da chiedersi se davvero sia solo una discussione interna a Forza Italia. Verrebbe da chiedersi molte cose.
A me ne interessa una sola, al netto degli indizi impliciti legati al timing della tassa sugli extra-profitti, all’offensiva fiscale d’autunno (già partita con gli avvisi), alla blindatura delle entrate da accise sui carburanti e al contagocce nell’erogazione dei fondi post-alluvione: quanto è urgente la necessità di “fare cassa”? Davvero è solo prospettica e finalizzata a una riduzione drastica dello stock di debito, magari per ammansire l’Ue in sede di revisione del Patto di stabilità? Oppure siamo alla vigilia di un altro 1992 imposto da casse statali già oggi sul filo della sostenibilità?
In un Paese normale sarebbe l’opposizione chiamata a porre queste domande e a esigere risposte. Ma visto chi e come gestì la precedente stagione di liberalizzazioni, è wishful thinking. Meglio polemizzare sulla “dieta dei poveri”, almeno si evitano sgradevoli effetti speciali da sepolcri imbiancati.
E poi, sorge un dubbio: stante la famosa “agenda Draghi” che nessuno ha in realtà cestinato o ripudiato, questa eventuale, seconda ondata di privatizzazioni è forse già stata “ipotecata” da qualcuno in Europa? Antonio Tajani è stato presidente dell’Europarlamento. Un buon ambasciatore. E forse anche lanciatore di sassi, tanto per vedere l’effetto che fa? Tranquilli, alle porte non c’è un altro 2011. Ma è un 1992.
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