In effetti, di fronte a noi non c’è un altro 2008. Potenzialmente, c’è di peggio. E molto. E guarda caso, mentre tutti cercavano il marcio e il detonatore altrove, ancora una volta è l’immobiliare Usa a operare da accelerante dell’incendio doloso del leverage sistemico. Che strano, mentre ancora attendiamo il default di Evergrande e il conseguente hard landing cinese, a schiantarsi al minimo storico è la tranche più a rischio del gruppo di indici che traccia le performance delle mortgage-backed securities di Zio Sam, come mostra il grafico. Le stesse che, guarda caso, la Fed avrebbe dovuto cominciare a scaricare con il badile in seno al Qt del proprio stato patrimoniale.
Non a caso, dopo mesi di disinteresse, l’avvicinarsi di marzo-aprile e della grande bonanza di Mbs aveva cominciato a far agitare i titoli di banche e finanziarie. E di Reit, i mitici Real Estate Investment Trust, società che possiedono o finanziano beni immobili destinati alla locazione. E quale banca vede i Reit d’Oltreoceano particolarmente esposti a livello di filiali? First Republic Bank, la stessa che – sempre casualmente – JP Morgan sta infatti facendo di tutto per salvare. D’altronde, quando nemmeno 30 miliardi in depositi da parte delle 11 banche nazionali più importanti è atto di garanzia sufficiente a farti risollevare, il dubbio è che stavolta si sia davvero esagerato con lo sporco sotto al tappeto. E quel grafico con il suo trend a sprofondo, ci dice chiaramente che siamo solo all’inizio della crisi. Che il contagio ormai è in atto. E che Janet Yellen non è impazzita.
Perché se infatti la decisione della Fed di alzare i tassi di altri 25 punti base, segnalando però un solo, nuovo ritocco all’insù per tutto il 2023, aveva di fatto scosso solo minimamente Wall Street, ad affondarla ci ha pensato proprio la numero uno del Tesoro. La quale, sfoggiando la delicatezza di un elefante in cristalleria, faceva seguire alle parole del presidente Fed la sua netta smentita riguardo l’ipotesi – circolata per giorni senza che a Washington nessuno la negasse, anzi – di estensione a tempo determinato della garanzia federale a tutti i depositi bancari. Tonfo, come mostra plasticamente il grafico.
Di fatto, mitigato proprio dalla certezza che la Fed dovrà operare in altro modo. E futures ieri mattina parlavano chiaro: se Jerome Powell ritiene improbabile un taglio dei tassi da qui a fine anno, il mercato prezza un ritorno in area 4% dei Fed Funds entro il 31 gennaio 2024. Forse Janet Yellen sta seguendo la logica di Jeremy Irons in Margin call? Ovvero, visto che la crisi sistemica è inevitabile, meglio che parta da noi e in base ai nostri tempi? Più di qualcuno si farà male. E nel comparto più sensibile e con maggior addentellati di finanziarizzazione. Ma si sa, il real estate è bravissimo a riprendersi dai tonfi. Perché una casa è qualcosa che non passa mai di moda. E di cui tutti hanno bisogno. E chissà che comprare a 15 centesimi sul dollaro ciò che già oggi sta precipitando non si riveli il secondo affarone del secolo, dopo quello del 2008.
Pensate che la situazione sia già peggiore di come ve la dipingono? Tranquilli, c’è di peggio. Who will catch the green falling knife? Ovvero, chi avrà l’onore di prendere al volo il coltello in caduta libera della bolla ecologica? L’iShares ESG Aware MSCI USA ETF, meglio conosciuto come ESGU, è il fondo flagship tramite il quale i portfolio managers operano via ETF nel fatato universo dell’ambientalmente ed eticamente sostenibile. L’esposizione buona, l’El Dorado dei prossimi decenni, stante almeno alle varie agende green cui fanno capo Usa e Commissione Ue. La transizione ecologica, d’altronde, non è una passeggiata. Ma nemmeno un pranzo di gala. E infatti, venerdì scorso – forse in ossequio a 17 – l’ESGU ha patito un outflows senza precedenti da 4 miliardi di dollari, cui il lunedì seguente si è aggiunto un rabbocco da 1 miliardo. Il grafico parla chiaro. Mentre in Svizzera si correva contro il tempo per salvare Credit Suisse, 5 miliardi di posizioni ESG dicevano addio al fondo più grande e conosciuto.
Chiaramente, al quartier generale di BlackRock non l’avranno presa bene. La lotta alle emissioni si fa meno attraente, quando le banche cominciano a cadere come in un domino infernale di leverage, liquidità e collaterale? Sarà per questo che, mentre l’ESGU sanguinava, l’oro sfondava quota 2.000 dollari l’oncia? Eppure, fino a poche settimane fa, il green era ritenuto il nuovo bene rifugio che tesaurizzava non le aspettative di crisi ma le tappe della transizione ecologica, processo irreversibile e innescato con tempistiche da centometrista dalle autorità politiche. Colpa del greenwashing che ha scoperchiato il vaso di Pandora? O, forse, la crisi impone un ritorno a quelle categorie fuori moda come il value e il free cash flow? Attenzione all’effetto palla di neve, insomma. Perché a diventare valanga ci vuole poco, se le asperità che portano a valle finora sono state coperte da lussureggianti narrative ambientaliste.
E tanto per capire quale sia l’aria che tira nel mondo che nega ogni contagio da SVB e FRB, ecco che – nel silenzio generale dei media, forse spaventati dall’utilizzo di un termine che in Francia sta incendiando strade e piazze – il principale fondo pensione svedese, Alecta, ha dovuto ammettere perdite combinate sulle tre banche statunitensi cadute in disgrazie per qualcosa come 2 miliardi di dollari. D’altronde, quando ammassi titoli First Republic Bank dal 2019, fino a diventarne il quinto azionista, sono cose che capitano. Tanto che su quella singola posizione, la perdita netta è stata di 728 milioni di dollari. Parliamo del principale fondo pensione della Svezia, chiamato a gestire i risparmi di 2,6 milioni di persone. Le quali, chiaramente, ora vogliono qualche testa che rotoli. Tanto che Governo e regolatori hanno già aperto un’inchiesta.
Il contagio c’è, inutile negarlo. Ma viene silenziato. Scorre sottotraccia, muovendosi come gli iceberg rasente il pelo dell’acqua. Salvo poi far emergere la punta. E portare in dote danni collaterali per miliardi. Out of the blue. Un po’ come quell’outflow di capitale dal fondo più etico e sostenibile di tutti, il sancta sanctorum della transizione green. Ora però si rischia di restarci, al verde.
Ieri, poi, il mercato ha dovuto prendere atto dell’esposizione diretta e indiretta di Deutsche Bank ai bond subordinati di Credit Suisse, spedendo il credit default swap alle stelle e il titolo in profondo rosso. E lunedì, la Germania si ferma per lo sciopero generale. Ma tranquilli, di fronte a noi non c’è contagio. Né il rischio di un altro 2008.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.