Se dovessi spiegare a una classe di studenti cosa siano i Brics, quali le conseguenze della loro collaborazione e del loro sempre crescente ampliamento, utilizzerei questo grafico
Se invece dovessi spiegare alla medesima classe il significato di sanzioni europee, utilizzerei quest’altro grafico.
E sapete quale sarebbe la parte divertente? A differenza soltanto di un mesetto fa, quasi nessuno mi taccerebbe di propaganda filo-russa. Persino uno come Massimo Giannini ha ammesso che l’economia russa ha dimostrato una resilienza che nessuno si attendeva. Traduzione simultanea, game over. La narrativa è cambiata. Certo, ora Volodymr Zelensky si è recato alla Casa Bianca e ha permesso a Joe Biden di rinviare un pochino l’ammissione dell’ovvio. Ma la realtà è questa. Gli Usa hanno guadagnato tutta la quota di mercato Ue persa dalla Russia con le sanzioni, l’Europa ha dovuto affrontare costi altissimi e rischiose operazioni di re-shoring diplomatico fra Stati Uniti, Africa e Golfo. Mentre la Russia ha semplicemente rimpiazzato l’Ue con Cina e India. E il surplus vola. Soldi per la guerra. Che l’Ucraina rischia di non avere più, invece.
Certo, relegare i Brics a club da Terzo Mondo è molto chic. La Cina? Un gigantesco retrobottega in cui si produce chincaglieria. L’India? Un Paese di mendicanti, ancorché mistico e affascinante. La Russia, poi, è il moderno impero del Male, peggio della vecchia Urss. Peccato che al club da Terzo Mondo da gennaio si uniranno Brasile e Arabia Saudita. Certo, uscirà l’Argentina. Paese in cui non c’è più un soldo, come ha ammesso pubblicamente il neo-presidente nel suo discorso di insediamento. A occhio e croce, i Brics ci guadagnano. E non poco.
E attenzione a tre variabili ancor più gravi del colossale errore strategico compiuto da Bruxelles (ammesso che sia tale e i miei già forti dubbi in tal senso stanno tramutandosi in certezze, Qatargate in testa). Primo, se il prezzo del gas è ai minimi e gli stoccaggi ancora pressoché integri è grazie al segreto di Pulcinella. Ovvero, l’Europa ha continuato a comprare gas e petrolio della Russia via India. E utilizzando tankers greci. Quindi, vascelli battenti una bandiera Ue. Non ci credete? Date un’occhiata quest’altro grafico: ci mostra il livello di dipendenza dell’Austria dal gas russo a febbraio 2022, data d’inizio della crisi ucraina e quello dello scorso ottobre. Nel primo caso, 79%. Oggi, 90%. Serve altro?
Secondo, al netto delle profezie di trasformazione del rublo in carta igienica e di una fine da zar per Vladimir Putin, quest’ultimo domenica è stato un’ora al telefono con Bibi Netanyahu. E il giorno dopo ha interloquito direttamente con i leader di Hamas sulla questione degli ostaggi. Nessun leader europeo, tantomeno Miss Ursula, ha beneficiato di una simile considerazione da parte del Presidente israeliano. Ma il Presidente russo non doveva essere fucilato sulla Piazza Rossa, a causa dei bancomat vuoti e delle bank-run? Guarda caso, in perfetta contemporanea, torna in auge la vicenda della carcerazione di Aleksej Navalny. Che combinazione!
Terzo e più importante. Annunciando la sua ennesima ricandidatura a presidente, proprio Vladimir Putin ha dichiarato che il sistema finanziario occidentale sta diventando obsoleto. Non solo una presa per i fondelli dei vari congelamenti di beni ed estromissioni da Swift. Ma una velata minaccia. Che forse ha parecchio a che fare con le badilate di oro fisico comprate da Russia, Cina e India negli ultimi anni. Davvero un timing perfetto per lo schiaffo in faccia della notifica di addio alla partecipazione italiana alla Nuova Via della Seta…
Grazie al Cielo, nessuno mi affida l’educazione di ragazzi. Perché la fiera dell’ipocrisia mica è terminata, a differenza della COP28 di Dubai che ha chiuso ieri i battenti. E cosa ci faceva Rostin Behnam, numero uno della Commodity Futures Trading Commission statunitense, il 4 e 5 dicembre proprio negli Emirati Arabi Uniti? Prima un discorso sui Voluntary Carbon Markets, poi una comparsata all’Integrity Council. Interessante. Perché svela come dietro all’apparente scontro sull’abbandono del fossile presente in maniera troppo generica nella dichiarazione finale, ci sia dell’altro. Un business già pronto a partire. Al di là e in maniera totalmente svincolata dalle formule più o meno di circostanza.
Occorre partire da un presupposto, però. La COP28 è stata un successo. E prescindere. Come Sanremo. Fin dal primo giorno, quando la presidenza degli EAU ha presentato il cadeau di benvenuto: un fondo da 30 miliardi di dollari. Soldi veri e sonanti per la transizione e la sostenibilità? Di fatto, un new lease che ha evitato l’esplosione della bolla ESG. Risultato non da poco, stante gli outflows registrati dagli Etf etici e i tonfi dei titoli del comparto, come vi ho mostrato più volte negli ultimi articoli. Una prima, esiziale pezza per molti Level3. Prima di guardare oltre.
E l’oltre in questione risponde all’acronimo CCS. Ovvero, carbon capture & storage. Per capirci, lo scorso marzo il Governo britannico ha già annunciato un investimento da 20 miliardi in 20 anni in questa tecnologia.
Di cosa si tratta? In parole povere, la cattura della CO2 prodotta dalle lavorazioni industriali e il suo stoccaggio permanente nel sottosuolo, in giacimenti di idrocarburi esausti o formazioni rocciose. Particolarmente interessate sono le produzioni hard to abate come acciaierie, raffinerie, cementifici, chimica e cartiere. La soluzione più diffusa è la pioggia di ammine, una doccia con una soluzione che fa precipitare al suolo la CO2 e nel contempo libera anidride carbonica pura che viene raccolta. E il motivo per cui questo processo interessa tanto Wall Street e la City e ha fatto scomodare il capo della Cftc statunitense in persona è che le principali banche (Goldman, JP Morgan, Citigroup e Barclays in prima fila) si sono da tempo dotate di carbon trading and finance desks. La finalità? Finanziare i processi di cosiddetta carbon sequestration, gestire il trading sul credito e operare da advisors per i clienti che intendono acquistare compensazioni. E il baseline scenario mostrato nel grafico ed elaborato da BloombergNEF, la società di ricerche strategiche del gruppo Usa, parla chiaro.
In un mondo che grida contro i nazionalismi, ecco che il business della cattura e stoccaggio di CO2 ama le politiche protezionistiche in tal senso. Soprattutto se combinate con quelle etiche sui diritti territoriali messe invece in campo dalle consorterie internazionali. Quelle senza alcuna legittimità popolare. Né controllo.
Boost credit prices by 63% in 2050, questa la chiave della COP28 e del suo nuovo acronimo. Fuori ESG, entra CCS. E la festa continua.
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