Come cominciò la crisi finanziaria del 2008, quella dei subprime e di Lehman? Ma, soprattutto, quando e dove? In Europa. Nell’agosto del 2007. Quando alcuni fondi facenti capo a Société Générale andarono zampe all’aria. E il contagio fu immediato per una banca britannica, Northern Rock. Tutti ricordano le fotografie delle code di depositari fuori dalle filiali, da Londra a Manchester. Fu uno tsunami. Il 22 febbraio del 2008 il Governo britannico nazionalizzò giocoforza Northern Rock. Ma i subprime erano ancora un oggetto sconosciuto. E Lehman Brothers un colosso di reputazione. Quantomeno stando ai rating che gli venivano ancora garantiti.
Fast forward a oggi. Quello nel grafico è l’andamento del titolo di Metro Bank giovedì alla Borsa di Londra. A fine giornata. -29%. Ma dopo due sospensioni da circuit breaker che andavano oltre il -35%. Nell’ultimo mese, -66%.
La ragione? Indiscrezioni di stampa sulla necessità di racimolare sul mercato 600 milioni di sterline. In fretta. Molto in fretta. Tanto che i funzionari del Tesoro si sono immediatamente attivati con quelli della Prudential Regulation Authority al fine di monitorare la situazione. In effetti, solo poche settimane fa l’incontro fra i dirigenti di Metro Bank e quelli del Treasury fu definito routine conversations. Evidentemente, la natura di quel meeting era diversa. Un déjà vu. Reso ancora più emblematico e inquietante dal soggetto che ne è protagonista: Metro Bank nacque proprio dalle ceneri della crisi di Northern Rock, visto che fu fondata nel 2010 con l’intenzione di diventare una challenger bank rispetto ai grandi nomi creditizi della High Street britannica. Il karma, forse. Oppure, molto meno filosoficamente, l’azzardo morale. Amplificato a dismisura da un intervento continuo e costante delle Banche centrali, fra tassi a zero e free money a tamponare ogni falla. Et voilà, al primo anno di tassi che salgono e pranzi da pagare, ecco che il primo ferito sale a galla. E comincia ad arrancare. Ma manca poco prima che le falsamente composte grida di aiuto si tramutino in vere e proprie suppliche.
Il rischio? Il solito: il congelamento della fiducia di controparte nell’interbancario. Oltretutto, in piena stagione di austerity della Bank of England. La quale, giova ricordarlo, soltanto lo scorso autunno dovette intervenire in prima persona per evitare che l’intero comparto dei fondi pensione britannici venisse letteralmente spazzato via nottetempo dall’aumento dei tassi di interesse. Un nuovo detonare di crisi in gestazione, sempre dalla terra di Albione? La paura nella City è tanta. Seppur dissimulata per ora. Ma se salta il tappo a Londra, cosa accade altrove? Magari solo al di là della Manica, patria del Level 3 esotico?
Metro Bank è il proverbiale canarino nella miniera? Se sì, attenzione ai titoli bancari italiani. Qualcuno potrebbe essere costretto a rivelare di aver subito la tana del mercato. Il quale, si sa, è manipolato. Quindi, manovrabile in base alla necessità contingenti. Non ci credete? Leggete qui: Only a stock market crash will stop the bond bloodbath. Ovvero, solo un crollo azionario può fermare il bagno di sangue obbligazionario. Parola di Barclays. Nero su bianco. In un report. Occorre uno spavento colossale che faccia fuggire gli investitori dalle equities, affinché qualcuno sia così pazzo da lanciarsi sull’obbligazionario nel corso di un tantrum come quello attuale.
Ed ecco che il grafico pubblicato nei commenti ci offre un indizio su quale potrebbe essere il catalizzatore di una potenziale big rotation. Stante un sostegno divenuto permanente e notevolmente oltre le aspettative – con i suoi circa 100 miliardi di utilizzo settimanale della facility Fed -, ecco che l’Etf che traccia l’andamento delle banche regionali Usa ora ha ricominciato a flettere, come mostra il grafico.
Che si fa? Si tranquillizza il mercato, garantendo l’operatività del fondo su base open ended? E se fosse controproducente, ovvero se si offrisse l’indiretta conferma che il settore – senza la Fed – esploderebbe pressoché nottetempo? Meglio, se si cerca il botto. Rumoroso e immediato. Comunque sia, quando si cominciano ad avanzare certe tesi, occorre decisamente drizzare le antenne. Ma è quando contemporaneamente compaiono report di segno opposto che la questione si fa seria. Soprattutto se redatti da Goldman Sachs. E, soprattutto, se contenenti l’acronimo Btp al loro interno. Come questo.
La tesi? Di fatto, la banca Usa ritiene che per giungere a una normalizzazione dei tassi obbligazionari dell’Eurozona occorra una sorta di déjà vu del 2011-2012. Insomma, prima di guarire, serve stare peggio. E curarsi. Grand return dello spread fuori controllo? Goldman utilizza come proxy della situazione la stabilizzazione nel breve termine del differenziale Btp-Bund, parlando di fault line nel comparto sovrano europeo che coincide con un deterioramento dei fondamentali fiscali in Italia. Roba da pelle d’oca. E brividi lungo la schiena. Quelli che per essere scacciati, oltre un decennio fa richiesero al Paese il ricorso a un loden.
Ora, lasciamo stare i 200 punti base dello spread. E persino il 5% di rendimento del decennale benchmark. Ma prendiamo atto di un qualcosa che sta passando sotto silenzio. Di fatto, Bruxelles non ha battuto ciglio di fronte a uno scostamento di bilancio triennale che il Mef ha sostanziato in qualcosa come 38,5 miliardi. Deficit puro e semplice. E la Commissione Ue, muta. Delle due, l’una. O i nostri conti sono davvero sulla soglia del baratro, tanto da costringere i “falchi” a ingoiare qualsiasi boccone per evitare che l’elefante nella stanza barrisca e dimostri la sua natura too big to fail. Oppure, silenziosamente e dietro le quinte, Roma ha offerto garanzie granitiche. Tagli. Riforme. Magari cessioni. Nessuno ne parla più ma, ospite di SkyTG24, soltanto mercoledì il ministro Fitto ha confermato come la terza rata del Pnrr arriverà a giorni. Come ad agosto. E settembre. Deficit sì, fondi no. Brutta dinamica.
Tutto bene, mentre si festeggia la vittoria di Pirro sulle Ong e il Btp Valore rifilato al Signor Rossi?
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