E siamo a tre. Tre indizi fanno ancora una prova? Prima il blitz degli sherpa tedeschi in sede di discussione sulla nuova Commissione Ue, al fine di sgomberare il tavolo da ogni possibile ipotesi di emissione condivisa di debito. Poi quello del ministro delle Finanze, Christian Lindner, a detta del quale la Bce avrebbe dovuto astenersi da interventi emergenziali a sostegno dello spread francese, se i risultati elettorali avessero mandato in fibrillazione l’obbligazionario sovrano. Infine, questo. Dal simposio Bce di Sintra, arriva la mezza bomba. Chiaramente, silenziata dalla stampa.
Sei membri del board Bce avrebbero infatti chiesto una revisione generale dei criteri che portano la Banca centrale a operare programmi di Qe, una volta che la politica di tassi ultra-bassi apparisse insufficiente a stimolare una ripresa. Di fatto, la sconfessione totale del Whatever it takes. Un’implicita messa sul banco degli imputati di Mario Draghi. Ma, soprattutto, la prima presa d’atto – in questo caso, esplicita nella formulazione d’accusa – dello sfavorevole rapporto costi/benefici insito nei programmi di sostegno attraverso acquisti open-ended di debito sovrano.
Nulla che possa creare danni immediati a livello concreto, nessuno spread alle stelle dalla sera alla mattina. Non fosse altro perché il tema è stato discusso a livello informale e a porte chiuse, tanto che l’ufficio stampa della Bce ha evitato di commentare con la Reuters la stessa veridicità della materia. Ma nessuno l’ha smentita. Quindi, conferma. E attenzione, i sei policymakers hanno chiesto che il tema entri ufficialmente nell’agenda della più ampia revisione della strategia della Banca centrale che andrà completata entro la fine del 2025.
Direte voi, campa cavallo. Non tanto. Per più di un motivo. Primo, l’assoluta novità della presa d’atto. Perché nessuno ha puntato il dito contro questo o quel programma in particolare, sospettando distorsioni, ma contro l’impianto del Qe in sé e in base ai criteri finora utilizzati. Ovvero, acquisti illimitati, oltre la capital key e con reinvestimenti titoli a garantire uno scudo anti-spread di lungo periodo sulle maturazioni. Secondo, la prezzatura anticipatoria che il mercato compie dei rischi ritenuti strutturali. E più sistemico della fine della manipolazione dei premi di rischio nell’Eurozona c’è poco, stante il precedente della crisi del 2011. Terzo, la fine del regime di reinvestimento titoli del Pepp – il piano di acquisti pandemico – prevista per la fine di quest’anno. Di fatto, quanto emerso a Sintra diviene al tempo stesso potenziale detonatore e, soprattutto, accelerante dell’incendio. Più o meno doloso.
Quarto, in questo caso, non si tratta di un singolo Paese che pone il problema, ma di sei membri del direttivo. Ovvero, se la strategia della Corte di Karlsruhe utilizzata dalla Germania contro i precedenti cicli di Qe si è rivelata giocoforza un flop, qui sono membri della medesima Banca che lo conduce a chiedersi se valga la pena o, come dichiarato sotto anonimato alla Reuters da uno dei congiuranti, quanto messo in atto si sia sostanziato non solo come fallimento operativo ma anche come ipoteca sulla funzionalità operativa futura dell’Eurotower. Ecco la frase incriminata: Abbiamo acquistato trilioni e trilioni di euro di assets e ancora oggi il tasso di inflazione non è rientrato nel target del 2%. Anni dopo la fine di questo stimolo, sediamo ancora su oltre 3 trilioni di euro di liquidità in eccesso, una condizione che ci legherà le mani a livello di risposte politiche per anni.
E attenzione, perché al netto dei tempi lunghi della strategy review della Bce che potrebbe essere chiamata a discutere del tema, di fatto svelando il segreto di Pulcinella delle identità nazionali di chi sta dietro a questo blitz anti-espansivo, è il clima generale che comincia a farsi pesante per i santoni della stamperia illimitata come ultima risorsa. Quello che vedete in questa immagine è l’andamento del cambio dollaro/yen nella sessione di negoziazione di mercoledì notte.
Di fatto, la Bank of Japan ha rotto gli indugi ed è intervenuta nuovamente, una volta sfondata la quota di 161,5. Guardate però quanto è durato l’effetto placebo di questa ennesima manipolazione monetaria. Praticamente zero. Il tempo di una sigaretta. Certamente Tokyo non ha messo in campo gli oltre 50 miliardi di dollari dell’intervento post-rialzo dei tassi, ma se questo doveva essere uno stress test a livello di deterrenza, il fallimento appare clamoroso.
Cosa ci dice tutto questo? Cosa unisce la mossa della Bundesbank in sede Bce (inutile prenderci in giro e fingere di non sapere chi vuole chiudere i conti con il Qe) con questo ennesimo tonfo della valuta nipponica, a fronte di una Banca centrale sempre più a corto di strumenti ordinari? Forse che lo stigma ormai è prezzato. Le Banche centrali, dopo anni di denaro creato dal nulla, hanno ormai perso una percentuale tale di credibilità politica da non poter più essere percepite come pivot di mercato. E se questo rischia di creare non pochi problemi agli equilibri di un mercato azionario che campa soltanto sulle aspettative di tassi che si muovono in base ai desiderata delle equities, a livello di obbligazionario sovrano si sostanzia il rischio della frantumazione di ogni scudo anti-spread. Reale o percepito. Basato su acquisti o mera deterrenza da backstop.
Non a caso, il simposio di Sintra di quest’anno è stato quello con la copertura mediatica minore in assoluto. E la stessaChristine Lagarde si è limitata a un timido compitino nel discorso inaugurale, salvo scegliere un basso profilo con l’alibi dell’incognita politica francese. Ora, però, il tempo sta per scadere. Lunedì Parigi conoscerà il proprio futuro. E passato lo spavento, occorrerà mettere mano alla pratica, dopo tanta propaganda teorica. E sinceramente, terrorizza il totale disinteresse verso queste dinamiche esiziali da parte della politica italiana. In compenso, il silenzio ormai tombale del ministro Giorgetti parla. Anzi, grida. E una volta nata la nuova Commissione, attenzione alla prezzatura del Patto di stabilità e della Procedura di infrazione. Se passa il timore di un Qe non più automatico e garantito, sono guai. Ma guai davvero seri.
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