Citando Lucio Battisti, ancora tu? Il numero uno di Ubs è stato colto da inusuale logorrea. Inusuale soprattutto se rapportata al suo ruolo, il quale storicamente impone discrezione al limite della segretezza massonica. Invece, intervenendo all’ennesima conferenza organizzata dal Financial Times, è tornato a parlare. E detto chiaramente che «il debito privato generato da un’espansione eccessiva del leverage potrebbe facilmente essere l’additivo per l’espansione della nuova bolla che porterà alla prossima crisi finanziaria».



Strano. Non fosse altro perché, intervistato da Cnbc, due giorni prima il suo capo economista negli Usa, Jonathan Pingle, aveva detto il contrario, smentendo la possibilità di un nuovo evento sistemico. In Svizzera non si parlano. In compenso, leggono. E i dati sono di quelli poco confortanti.

Ad esempio, nell’arco delle 24 ore fra il 28 e il 29 novembre, il debito Usa è salito di altri 61 miliardi, raggiungendo il nuovo record di 33,827 trilioni. Insomma, mancano solo 173 miliardi ai 34 trilioni. E, tanto per amore di prospettiva, quota 33 trilioni fu toccata solo due mesi fa. Ma come se questo non bastasse, ecco che questo grafico ci mostra come – contemporaneamente – le unrealized losses della banche Usa abbiano toccato il nuovo record di 684 miliardi nel terzo trimestre, un sobrio +22,5% su base annua.



La ragione? Poco gradevole. L’aumento dei tassi ha schiacciato il valore della paccottiglia cartolarizzata di mutui che giace nei bilanci. Il tutto mentre la facility di sostegno bancario della Fed elargisce l’ammontare record di 114 miliardi di dollari alla settimana solo per mantenere il sistema in vita. Sarà questo che toglie il sonno e arma la lingua di Colm Kelleher?

Non solo. Date un’occhiata a quest’altra immagine. Mostra la schermata con cui dall’altro giorno Robinhood garantisce trading 24/7 sui titoli di GameStop e AMC Entertainment. Ovvero, proprio le meme-stocks che fecero impazzire e poi esplodere il mercato tra la fine del 2021 e buona parte del 2022. E con esso, Archegos.



E chi fu la vittima più eccellente del contagio? Credit Suisse. I cui libri sono terminati in fretta e furia dentro quelli del cavaliere bianco Ubs. Rischi di recidiva compresi. E attenzione, perché nelle ultime 48 ore c’è stato l’assalto alle opzioni su GameStop in vista delle earnings attese per il 6 dicembre, come mostra quest’altra immagine.

La data più gettonata è quella dell’8 dicembre e gli strike price più ambiti sono a 20, 22 e 22,50 dollari, quest’ultima call addirittura necessitante di circa un +40% dal livello attuale per essere considerata “in the money”. Qualcuno ha innescato il detonatore dell’incidente controllato, sperando di utilizzare ancora i retail traders come capri espiatori?

I futures che prezzano tagli dei tassi nel 2024 paiono confermarlo. Ma il rischio di recidiva del crash Archegos pare tutto in capo a Ubs. E questo, forse, agita Colm Kelleher. Follia? Questo è niente.

Da ieri, infatti, abbiamo il primo caso ufficiale e dichiarato di mercati sani per legge. Orwelliano. Ma nemmeno troppo, trattandosi della Cina. Da oggi, gli analisti di Cicc, una delle principali banche d’investimento, sono avvisati: stop alle ricerche e ai report che parlano negativamente delle aziende cinesi. E al contempo, i dirigenti devono assumere un profilo più sobrio ed evitare ostentazioni di ricchezza.

Ora, volendo far ricorso all’ironia e a una buona rassegna stampa quotidiana, verrebbe da dire che almeno in Cina c’è stata necessità di intervenire. Qui la pubblicista con gli occhiali dalle lenti rosa mai si permetterebbe di disturbare il manovratore. Piaggeria preventiva. D’altronde, la Cina è un Paese comunista. Qui, invece, i liberisti siedono nei consigli di amministrazione dei media. Diverse prospettive, quasi identiche conseguenze. Ora, però, date un’occhiata a questo grafico.

Si tratta dell’andamento dell’Hibor a Hong Kong. Di fatto, il corrispettivo del vecchio Libor statunitense. Un bel termometro del livello di congelamento dell’interbancario. Sfiducia di controparte. Ovviamente, l’arrivo delle scadenze di fine anno può giustificare in qualche modo un po’ di tensione sulla cash demand. Ma qui siamo al massimo da 16 anni. E non basta. Quell’indicatore è passato da 0,1% di due anni fa al 5,55% di picco attuale sulla scadenza a un mese. E cosa ancor peggiore: molti mutui immobiliari lo hanno come benchmark. Un pochino troppo. Soprattutto, se associato agli strani e contemporanei tonfi di inizio settimana proprio alla Borsa di Hong Kong. E al suo implicito ruolo di clearing delle rogne che emergono nella China Mainland. Come Londra rappresenta il passaggio obbligato di ogni flusso finanziario verso l’Europa, così Hong Kong è il Telepass che oblitera silenzioso quelli in and out dalla Cina. Sia in yuan che in valuta estera. Ed essendo il dollaro di Hong Kong di fatto legato a quello Usa da peg, certi strappi sono ancora più netti.

Chi o cosa ha generato quelle vendite e quella tensione sull’interbancario? Ovviamente, un algoritmo. Troppo sistematico. Ma per conto di chi? E perché? Qualcuno ha dovuto vendere titoli piazzati come collaterale, al fine di tamponare e ridurre al volo necessità di finanziamento? La filiale di una banca estera, costretta a operare un hedging talmente esteso sulla propria esposizione azionaria da trasformare la risacca di mercato in piccolo – ma poco occultabile – tsunami? O magari una banca costretta a richiamare i prestiti concessi a clienti troppo avvezzi al margin lending, costringendoli quindi a vendere titoli per rientrare?

Comunque sia, l’Hibor tre giorni fa è stato il canarino nella miniera. L’uscita odierna di Cicc il colpo di tosse collettivo che certifica presenza di gas. Cosa potrebbe andare storto? Attenti, questa storia inizia in Asia. Ma i suoi addentellati – anzi, detonatori – sono in Occidente. E paiono già in fase di innesco. Come dimostrato nella prima parte dell’articolo. Tutti avvisati, insomma.

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