Istantanee di una situazione che sembra precipitare. La giornata di lunedì, se ancora fossero servite riprove, ha mostrato plasticamente quali siano gli equilibri in campo. Perché quando il segretario di Stato Usa incontra Xi Jinping e dichiara che il suo Paese non sostiene l’indipendenza di Taiwan, persino l’atlantista più incallito trasecola. E deve ammettere che qualcosa sta cambiando. Soprattutto se, nel frattempo, il capo della Nato e il Cancelliere tedesco confermano come l’Alleanza non si farà coinvolgere direttamente nel conflitto in Ucraina, il tutto mentre si studia un nuovo pacchetto di sostegno militare.
Già, Olaf Scholz. Un uomo a dir poco combattuto. Uno Zelig. Ma ora forzatamente realista, alla faccia dei Verdi che per qualche settimana hanno cercato di indirizzare le politiche di governo, salvo sparire dalla scena e subire un’emorragia di consensi senza precedenti. E mentre a Pechino, Blinken sosteneva la necessità di rapporti meno tesi con il Dragone, a Berlino sbarcava il premier cinese Li Qiang per una visita ufficiale. Motivazione? Nuovi sviluppi nei rapporti bilaterali. I quali, quantomeno a livello commerciali, allo stato attuale sono quelli plasticamente rappresentati nel grafico.
Ma come anticipato, la realtà tedesca oggi rappresenta al meglio la tettonica a placche del nuovo assetto globale. Dopo la Polonia e dopo i 25 miliardi di investimento produttivo in Israele, Intel ha sciolto le riserve: i 10 miliardi di sovvenzioni statali messi sul piatto da Berlino hanno convinto l’azienda di Santa Clara ad aprire non uno ma due stabilimenti di chip in Germania. Investimento totale, 30 miliardi di dollari. Traduzione: per ora, fine della strategia di ampliamento e diversificazione fuori dagli Usa. L’impianto back end previsto in Piemonte o Veneto è definitivamente tramontato. Quantomeno, a breve. Nel frattempo, a Roma ci si preparava al bilaterale fra Giorgia Meloni ed Emmanuel Macron di ieri a Parigi. Sul piatto, formalmente, riforma del Patto di stabilità e sostegno alla candidatura di Roma per Expo 2030. Ma l’accelerazione nell’attività diplomatica bilaterale, dopo gli scontri degli scorsi mesi, giunge nel pieno della successione di assetti in casa Mediaset e, soprattutto, alla vigilia del cda sull’affaire Rete Tim, previsto per domani.
Ma da Roma arriva anche dell’altro. Il ministro Giorgetti ha definito approccio cavilloso quello mostrato dai tecnici Ue in Italia per valutare i progressi del piano di attuazione del Pnrr. Cosa significa, pedantemente precisini? Detto da un leghista che si occupa di conti, suonerebbe strano. Al ragiunatt medio della fu Padania, chi tratta cifre e bilanci con sacrale attenzione dovrebbe infatti piacere molto. O forse quei tecnici sono stati definiti in quel modo un po’ sprezzante, solo perché strategicamente programmati a cercare il pelo nell’uovo, quanto basta per bloccare ancora l’esborso dell’ormai mitologica (ed esiziale per le casse) terza tranche?
No problem. Dopo la boutade di Beppe Grillo, ora una cortina fumogena arriva da Padova con la sentenza sulle trascrizioni per i figli di coppie gay. Quando inventò il mito della caverna, Platone già pensava all’Italia. E il rumore sotto i piedi pare quello del ghiaccio che scricchiola. Due domande sorgono spontanee: alla luce di un Nord a rischio stop produttivo per il rallentamento tedesco e la mancanza di fondi per l’Emilia-Romagna, cosa giustifica il nostro Pil all’1,3% per l’anno in corso? Tutto turismo estivo? Ma, soprattutto, cosa sta per accadere? C’è una pratica sul tavolo proprio del Mef che sembra delineare bene il quadro generale.
Cucinare lo spezzatino, questa la formula utilizzata la settimana scorsa da La Repubblica per descrivere la pressoché totale assenza di accordo fra le cinque compagnie assicurative che dovrebbero spartirsi polizze e assicurati di Eurovita. E i cui riscatti, giova sempre ricordarlo, resteranno bloccati fino al 30 giugno prossimo. E quale soluzione sarebbe stata trovata da Unipol, Intesa Vita, Poste Vita, Generali e Allianz per accorciare i tempi del salvataggio e recarsi al Mef con un accordo operativo solo da siglare, prima che i gates si abbassino e scatti la potenziale ondata di riscatti? Una newco. Ovvero, tutti gli assets di Eurovita verranno convogliati in una società nuova di zecca garantita dai cinque acquirenti, di fatto solo per evitare che la clientela si metta in coda fuori dalle filiali già dalla notte del 29 giugno. Stile apertura dei saldi da Harrods. Niente più. Non c’è altra ragione.
O forse, sì. Forse la strada del veicolo ad hoc, quello che gli addetti ai lavori definiscono Spv (Special Purpose Vehicle), è stata imboccata poiché il Mef metterà la propria garanzia sull’operazione? Dando poi vita a una campagna mediatica degna del lancio dei vari Btp Eminflex, al fine di far digerire alla clientela come, statutariamente, la nascita della newco imponga precauzionalmente (e provvidenzialmente) un nuovo, limitato e determinato periodo di riscatti congelati. Sicuramente è il solo il solito cattivo pensiero dei cinici come me. Ma resta il fatto che, stando a indiscrezioni di stampa, l’operazione newco costerà alle 5 compagnie coinvolte 500 milioni da mettere sul piatto. E sempre stando alle indiscrezioni di marzo, alla risoluzione della crisi di liquidità di Eurovita sarebbe bastato l’esborso immediato di soli 200 milioni da parte della cosiddetta soluzione di sistema. Ovvero, le stesse 5 compagnie che ora danno vita alla newco. Per poi cucinare lo spezzatino. D’altronde, il Mef non potrebbe dire di no.
Primo, perché un eventuale ritiro dei compratori innescherebbe i prodromi di una insurance-run che il Governo non può permettersi, non fosse altro per il contagio sulla fiducia nell’intero settore. Secondo, perché – Unipol a parte, già in parziale deleverage dal 2020 – quelle compagnie sono prestatori di ultima istanza sulla detenzione di Btp. Il tutto con il capitolo Monte dei Paschi ancora in mezzo al guado, fra rumors che dovrebbero imporre alla Consob un minimo di moral suasion e un’altra “soluzione di sistema” che pare Godot. Poi, il 28 giugno il mega-rimborso dei prestiti Tltro, quasi mezzo trilione di euro in un’unica soluzione e con banche italiane e greche sugli scudi. Infine, l’ennesima rassicurazione sulla tranche del Pnrr in arrivo entro la fine del mese che invece ora si è tramutata nella sola risposta che arriverà entro quella data, un caso ITA che – stante l’obbligo di riassunzione dei dipendenti Alitalia – ora potrebbe vedere un possibile, clamoroso dietrofront di Lufthansa e un dibattito sul Patto di stabilità con i falchi che dichiarano la fine della tregua.
Serve un alleato. Pesante. Non a caso, Gorgia Meloni ha messo da parte l’orgoglio patrio ed è volata a Parigi. Mediaset o Telecom, quale sarà la merce di scambio?
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