Tanto tuonò che non successe assolutamente nulla. Brutto segno: la crisi da economia reale alle porte è talmente seria e ormai generalmente accettata come ineludibile da aver cancellato di colpo anche i più elettoralmente interessati istinti da falco della Bundesbank. Arrivando ad accettare un compromesso al ribasso totalmente incolore.
La Bce ha deciso di non decidere. Anzi, ha preso atto di non poter decidere. Quindi, ha fatto appello all’istinto di sopravvivenza dei membri del board. Calcione al barattolo, ennesimo. Sperando che la variante Delta, esattamente come sta accadendo negli Usa, offra in fretta una sponda a revisioni di senso opposto della policy. Ovvero, l’apertura di una discussione riguardo il futuro post-pandemico del Qe, il morphing del Pepp in qualcosa di differente che vada a inserirsi nel contesto più generale dell’App.
Mille acronimi, tante parole. Ma basta la frase contenuta nel comunicato del board dell’Eurotower a spiegare tutto: Il Consiglio ha giudicato che le attuali condizioni di finanziamento possano essere mantenute anche con un ritmo di acquisti moderatamente più basso di quello dei due trimestri precedenti. Tradotto, invece che 80 miliardi al mese, sicuramente non si andrà sotto i 60. Più probabilmente, da qui a fine anno la media sarà quella di 65-70 miliardi al mese di acquisti.
Ora, questo articolo potrebbe chiudersi qui. Inutile dilungarsi su una discussione che sta diventando terribilmente stucchevole. Per voi e per me. Da mesi, ormai. La questione, infatti, è sostanzialmente di onestà intellettuale di fondo: il Pepp non è un programma di intervento pandemico, limitato nel tempo e finalizzato a mantenere attivo il meccanismo di trasmissione del credito in un momento di gravissima crisi macro dell’economia. Così come il Recovery Plan non è un piano di emergenza per garantire sostegno ai vari Paesi membri. i cui governi sono stati chiamati a indebitamenti extra per tamponare il fall-out delle chiusure forzate.
L’unico strumento realmente ascrivibile a una necessità di supporto immediato da cigno nero è quello che ha visto erogare in tempo reale i fondi Sure di contrasto alla disoccupazione: punto. I quali, infatti, sono arrivati nelle casse dei vari Stati subito dopo la richiesta. Tanto che l’Italia ha ampiamente attinto a quei denari nei mesi scorsi per far respirare l’Inps rispetto a cassa integrazione e sostegni. Il resto è soltanto un enorme abbaglio collettivo, frutto del poco coraggio: non si vuole dire che ormai i mercati – e non le economie, ben inteso – senza supporto delle Banche centrali vanno in tilt. Semplicemente perché ormai lanciati verso valutazioni totalmente svincolate da qualsiasi sottostante macro: come è possibile che tutti gli indici siano ai massimi record, se le economie sono ancora nel pieno di una rincorsa dei livelli pre-Covid? Come si può definire fondo emergenziale uno stanziamento che, nel caso dell’Italia, prevede un ammontare di 209 miliardi ma, alla fine, nel momento in cui vi sarebbe maggiormente bisogno della sua erogazione vede arrivare a destinazione solo 25 miliardi, oltretutto sotto forma di anticipo e vincolati alla conditio sine qua non della riforma Cartabia? Stiamo forse prendendoci in giro?
Lo stesso vale per il Pepp. E lo mostra plasticamente questo grafico, la simulazione di presunto tapering della Bce compiuta ormai due mesi fa da Nomura.
Era già tutto scritto. Basta guardare gli andamenti: se anche l’Eurotower avesse deciso per un drastico taglio degli acquisti, arrivando a un loro dimezzamento nel quarto trimestre (40 miliardi al mese come cap), il sostegno al mercato e agli spread sarebbe comunque garantito dal rientro in gioco in grande stile dell’App (il Qe originario del 2012, poi divenuto la sigla-ombrello di tutti i piani espansivi implementati) a partire dalla fine del Pepp, il prossimo 31 marzo. Come potete notare, quella cifra ipotetica di 40 miliardi al mese non verrà raggiunta nemmeno nel novembre 2022: sarà comunque superiore, soltanto attraverso l’App e il suo envelop. E fino a settembre 2022 compreso, si viaggia addirittura in area 60 miliardi al mese.
Quindi, tutto questo can can è stato messo in campo per una manovra totalmente inutile, perché salvo interventi netti sulla guidance dell’App, già oggi il mercato contava su almeno 6 mesi di periodo di grazia post-Pepp. Un altro anno intero con almeno 15 miliardi di acquisti alla settimana. Di base.
Cosa avrebbe davvero cambiato le carte in tavola? Ciò che i due pretoriani della Bundesbank, ovvero i numeri uno delle Banche centrali di Austria e Olanda, hanno minacciato la scorsa settimana: un intervento di modifica sulla policy applicativa dell’App a partire dal 1° aprile 2022, ovvero dal giorno dopo la fine del Pepp. In quel caso, il mercato ieri avrebbe reagito in modo decisamente diverso. Perché al netto del percorso di uscita dall’emergenza tracciato da Nomura, Holzmann e Knot avevano parlato chiaramente della fine del processo di deroga alle regole statutarie dell’App posto in essere in seno al Pepp. Ovvero, fine del bando al limite per emittente, alla capital key e all’accettazione del debito greco come collaterale per operazioni di finanziamento. Quello sarebbe stato un game-changer, quanto deciso ieri è stato il nulla. Semplicemente, un segnale in codice ai mercati: state tranquilli, i miliardi della Bce – come quelli della Fed – non stanno affatto per terminare.
Il problema? La ragione che ha spinto i cosiddetti falchi ad accettare appunto un simile compromesso al ribasso, di fatto niente più che un gioco delle tre carte e un festival del nominalismo e dei distinguo. I dati macro tedeschi parlano chiaro, gli indici Ifo e Zew segnalano un autunno che a livello industriale e manifatturiero si presenta da incubo. Oltretutto con la bolletta energetica europea al massimo record assoluto, ulteriore aggravio sui costi per le imprese. E fra chiaro segnale politico di ritorno alla disciplina fiscale e operazione gattopardesca, quantomeno in vista del voto tedesco del 26 settembre, Bundesbank e soci hanno optato per il primum vivere.
Insomma, l’unica vera notizia uscita dal board Bce di ieri è l’arruolamento forzato dei cosiddetti falchi nella schiera dei calciatori di barattoli, speranzosi in un miracolo o – quasi paradossalmente – nel precipitare tale della situazione da obbligare tutti a scelte non più derogabili. Non stiamo operando un tapering, stiamo ricalibrando il Pepp. Una sua ridiscussione più generale si terrà a dicembre, ha dichiarato Christine Lagarde in conferenza stampa. Pessimo, pessimo segnale.
Nel frattempo, le Borse continuino pure a correre. E lo spread torni a scendere, forte di almeno un altro anno di scudo Bce. Prima o poi, finirà. Il problema è l’economia reale: per lei, non c’è tempo. E Christine Lagarde, al riguardo, ha mentito. Sapendo di mentire.