L’acronimo scelto è carino, Pepp, ancorché un po’ scontato: Rocco Casilino, se consultato, avrebbe certamente saputo trovare di meglio. Il nome per esteso, però, fa un figurone: Pandemic Emergency Purchase Program. Detto così, chissà cosa ti aspetti dalla versione virologa dell’ennesimo Qe della Bce, lanciato nottetempo dopo che martedì mattina le banche francesi hanno scaricato dai bilanci un bel po’ di Btp in una mossa concordata con l’Eurotower per generare l’ennesimo, patetico casus belli. Detto fatto, Francoforte ha dato mandato a Bankitalia di comprare con il badile, nel più classico dei front-load e il nostro spread a fine giornata era tornato al livello dell’apertura, dopo aver flirtato con quota 330 punti base. Ma l’importante era l’effetto scenografico, debitamente amplificato dai media: et voilà, altro colpo di teatro. Emergency call del board in stile molto hollywoodiano nella tarda serata e, attorno a mezzanotte, giusto per testare l’effetto che faceva sui futures di una Wall Street che aveva appena chiuso con l’ennesimo profondo rosso, ecco l’annuncio di acquisti su ampio spettro per 750 miliardi di euro, almeno fino a fine anno. O, quantomeno, fino a quando durerà l’emergenza coronavirus.



“Tempi straordinari esigono misure straordinarie”, chiosava con postura napoleonica Christine Lagarde. Ma cosa c’è di straordinario, rispetto al recente passato, nel pacchetto messo in campo dalla Bce? Primariamente, una formuletta: “Il nuovo programma di acquisti verrà condotto in maniera flessibile”. Tradotto, fregatura in vista. E il perché è intuitivo, lo si capisce subito dalle prime righe dei dettagli operativi. Perché non solo l’Eurotower ha pedissequamente seguito l’esempio della Fed, includendo nella platea delle securities accettate come collaterale anche le commercial papers (pur sapendo che quello strumento di finanziamento è praticamente nullo per la gran parte delle aziende europee, rispetto a quelle Usa) e, soprattutto, udite udite, il debito sovrano greco! Cosa vi dicevo non molto tempo fa, commentando i risultati strabilianti del mercato azionario ellenico e soprattutto del comparto bancario stracarico di Npl e titoli di Stato? Che ormai il rientro in pista della carta da parati del Partenone era alle porte, serviva solo l’alibi: e quale migliore scusa di una pandemia che sta piegando le economie di tutto il mondo?



Attenzione, perché quel debito e quei titoli azionari nelle ultime due settimane si sono schiantati al suolo, rispetto ai massimi soltanto di fine 2019. Addirittura, il rendimento del decennale è triplicato in tre settimane, raggiungendo il 3,65% lunedì scorso, come mostra il grafico che ne compara l’andamento in netto de-couple rispetto al pari durata Usa. E, soprattutto, portano con sé lo stigma di un Paese che certamente non può garantire chissà quale tenuta macro, in un contesto di stop generalizzato come quello che stiamo per affrontare: insomma, era giunto il momento di scaricare quella carta.



Le banche, francesi in testa, hanno guadagnato abbastanza dal miraggio della rinascita greca, quindi è il caso che la Bce si faccia carico della faccenda. Tanto più che, giova ricordarlo, fu il Fmi di Madame Lagarde a porre in essere lo sciagurato “salvataggio” di Atene, quello che oggi viene universalmente preso ad esempio come ciò che non bisogna fare in caso di seria crisi di solvibilità sovrana. Insomma, pare che Madame Lagarde per salvare ghirba e posto di lavoro dopo la gaffe degli spread, abbia dovuto pagare pegno.

Ma cos’ha annunciato, in concreto, la Bce nella notte fra mercoledì e giovedì? Sostanzialmente che sta per commettere lo stesso errore commesso dal 2012 in poi, ma, come il ragù della Star, più in grande! Non basta che l’Eurotower sia diventata di fatto un hedge fund strapieno di debito italiano e greco, occorre che ne detenga di più. Volete che in questo modo la crisi non passi? Per le banche francesi, terrorizzate dall’andamento della Borsa sudcoreana (crollata ieri mattina di un altro 8%) e dall’EuroStoxx 50 da cui dipendono quelle armi di distruzione di massa finanziaria note come autocallables e più in generale dall’abuso di scommesse a leva su leveraged loans, sicuramente questa mossa della Bce giunge come il più proverbiale dei salvagenti nel pieno della tempesta. E l’aumento dell’intervento in seno al Pspp, il programma d aqcuisto corporate, certamente garantirà un po’ di ossigeno sotto forma di cash-flow alle aziende tedesche, principali beneficiarie (insieme a quelle francesi, ovviamente) degli acquisti di carta aziendale da parte di Francoforte, al fine di evitare pericolosi accessi al mercato del finanziamento o abusare troppo di linee di credito bancarie. Tanto più che, proprio poche ore prima dell’annuncio della Bce, tutte le principali aziende automobilistiche teutoniche avevano gettato la spugna e comunicato due settimane di stop totale della produzione.

E l’Italia, beneficerà anch’essa del nuovo Pepp? Come no, allo stesso modo di cui ha beneficiato del Qe precedente, nei suoi vari cicli e mutazioni: spread artificialmente basso grazie ad acquisti pro quota di debito attraverso Bankitalia. Punto. A meno che le nostre aziende non decidano di gettarsi verso l’emissione selvaggia di bond da piazzare alla Bce, consuetudine tutta del Nord Europa o comunque limitata ai grandi gruppi industriali attraverso le finanziarie e le facility di credito al consumo. Ma saremo tranquilli, perché comunque spread basso vuol dire banche italiane che continueranno a comprare Btp e detenerli placidamente a bilancio, invece di operare su attivi che vadano a incidere sull’economia reale. Sapete quanta liquidità è entrata in circolo lunedì, quando la nuova tornata di Tltro ha visto messi in asta un po’ di miliardi a tasso irrisorio e a lunga scadenza per le banche europee? Circa 110. Una bella sommetta. Peccato che sia stata sterilizzata da oltre 92 miliardi che gli istituti del Vecchio continente hanno dovuto ridare all’Eurotower, in ossequio alla scadenza di una vecchia asta: totale dell’intervento? A conti fatti e togliendo tutto, circa 16 miliardi di nuova liquidità in circolo. Meno di ciò che la Fed offriva al mercato ogni santo giorno sotto forma di repo overnight prima che la crisi da coronavirus sbarcasse come un migrante a Ellis Island e spingesse Jerome Powell a sfoderare il bazooka e aumentare di nuovo a dismisura le disponibilità.

Le Borse festeggiano? Per forza (ma per quanto?), le banche sono state salvate un’altra volta, esattamente come Wall Street. Anzi, si leveranno dal groppone dei bilanci anche bombe a orologeria come il debito greco, il quale fino a oggi ha garantito rendimenti non male, ma che adesso è meglio smobilitare, monetizzandolo a un prezzo ancora decisamente alto, quantomeno a livello di sottostante macro, nonostante le ultime tre settimane di cali nel prezzo. Signori, stanno solo ripetendo l’errore di impostazione compiuto da Mario Draghi ma per volumi molto, molto maggiori, almeno nel breve termine.

Perché questa volta dovrebbe funzionare? Ottimismo della volontà di gramsciana memoria e postura intellettuale? È la solita storia, la solita zuppa: si mettono in sicurezza banche e grandi gruppi industriali, fregandosene bellamente della mitologica economia reale. Quella di negozi, capannoni e PMI che in tutto il Nord Italia rischiano già oggi di non riaprire dopo la serrata obbligata di questo inizio di primavera. Davvero le banche useranno i soldi della Bce per garantire liquidità a tassi ridottissimi e condizioni di favore, questa volta? Sicuri che sia così, al netto di detenzioni di debito pubblico, non performing loans e continui balletti di fusioni e aumenti di capitale? Crescono gli ammontare in valore assoluto, certo, ma servirà anche avere il coraggio di dire che – se si vuole davvero riattivare il meccanismo di trasmissione del credito – quel nuovo programma sarà open-ended, senza una data di chiusura pre-annunciata: proseguirà fino a quando necessario, non almeno fino alla fine del 2020 o della fase più acuta della pandemia. Perché quel termine temporale, scusate la poca fede, sembra calzare perfettamente solo per l’ennesimo salvataggio emergeziale di un sistema bancario disfunzionale e basato sui trading desks, più che sull’erogazione di credito e la gestione del risparmio. Ma magari, questa volta mi sbaglio.