Chissà se dopo aver preso atto del nulla in cui si è sostanziato il board della Bce, qualche incendiario nostrano non capisca la quantità di mine su cui sta camminando il nostro Paese. E la finisca con le pantomime. Perché signori, quanto messo in atto dalla Lega in Consiglio dei ministri rientra appieno in una politica che potremmo definire dell’ultimo rantolo: fra dieci giorni, infatti, inizia il semestre bianco. Tradotto, impossibilità per legge di voto anticipato. Quindi, prepariamoci agli ultimi fuochi (fatui) di chi ha bisogno di marcare il territorio e mostrare la propria diversità verso il proprio elettorato, stante sondaggi che confermano come il fiato sul collo di Fratelli d’Italia sia sempre più incombente.
C’è però un problema: se il senatore Salvini pensa di poter trattare Mario Draghi come fatto con Giuseppe Conte, sta prendendo la più esiziale ed enorme cantonata della sua non breve vita politica. Il tutto, partendo da un presupposto: Dio non voglia che le tiepide riaperture già in atto da lunedì prossimo si traducano in un liberi tutti – prospettiva di cui il sottoscritto è pressoché certo -, perché un eventuale altro picco a metà maggio che necessiti una nuova stretta (la stessa che in Germania, infatti, stanno prevenendo proprio in vista di una seconda metà del 2021 che sarà economicamente fondamentale) finirebbe automaticamente sul conto di ascrivibilità del (fu) Carroccio. A quel punto, Giorgia Meloni metterebbe la freccia e arrivederci a tutti. Forza Italia compresa, stante la guida ormai totalmente strabica del post-Berlusconi.
Direte voi, cosa hanno a che fare le baruffe chiozzotte della politica italiana con la Bce? Tutto. In primis, perché il copia-incolla in cui si è sostanziata la conferenza stampa di Christine Lagarde parla la lingua di un impegno di sostegno che certamente proseguirà almeno fino alla primavera 2022, ma che, giocoforza, è destinato a perdere di efficacia nella prezzatura di mercato. Perché sempre uguale a se stesso. Gli acquisti mensili restano a 20 miliardi al mese e l’envelop a 1.850 miliardi, quest’ultimo sbandierato come extrema ratio ma non ancora messo sul tavolo come contabilità diretta nel novero. Di più, il fatto che il board abbia sentito la necessità di ribadire come nel trimestre in corso il ritmo degli acquisti di bond sarà superiore a quello del precedente rappresenta un sintomo di debolezza: perché, come già vi avevo fatto notare dopo la conferenza dell’11 marzo, il tutto avverrà a saldi invariati. Aumenti solo la velocità, gli ammontare sul breve: ma sempre in base a 20 miliardi di disponibilità. Il tutto, «almeno fino alla fine di marzo 2022 o fino a quando il board non riterrà terminata la fase acuta dell’emergenza pandemica». Tradotto: comprimiamo al massimo gli spread adesso, da settembre cambia registro.
Perché se per caso l’eurozona core nel secondo semestre di quest’anno riuscirà a ripartire in maniera sostenuta e sostenibile, i suoi membri in seno al Consiglio potrebbero porre sul tavolo il fatto che, a loro modo di vedere, il momento peggiore sia passato. Quindi, ritorno in discussione di un possibile taper degli acquisti. Il quale, si sa, viene prezzato dai mercati molto prima che divenga realtà.
Ed eccoci alla questione italiana. A fronte di uno scostamento che da qui a sei anni è previsto per un controvalore di 530 miliardi contro i “soli” 209 miliardi sulla carta del Recovery Plan, un piano Draghi da 221 miliardi, una ratio debito/Pil del 160% e deficit/Pil di oltre l’11%, pensate davvero che il Primo ministro abbia voluto sfidare la Lega perché fermamente convinto dell’importanza delle 22 come orario di partenza del coprifuoco? No, sta soltanto mettendo alla prova il grado di propensione al suicidio del riottoso componente della sua maggioranza. Uno stress test, politico. In vista di ben altro. Ovvero, il fatto che Mario Draghi sappia benissimo come l’opera della Bce sia ormai conclusa e destinata meramente a un accompagnamento dello spread verso i lidi sufficientemente placidi del reinvestimento titoli che garantirà ossigeno a Roma per tutto il 2022 e oltre.
La stessa Corte di Karlsruhe, nel bocciare il ricorso contro il Recovery Plan che aveva bloccato il processo di esborso dei fondi, ha utilizzato una formula che in sé racchiude tutta la drammaticità del momento: la leggete in questa grafica e tradotta dal burocratese al linguaggio terra-terra ci dice che nonostante i presupposti di liceità di quel ricorso ci siano potenzialmente tutti, i danni politico-economici del suo recepimento per l’intera Unione sarebbero nell’immediato superiori a quelli reputazionali per la Corte quando, in un futuro prossimo, sarà magari costretta ad ammettere il suo errore di valutazione.
Di fatto, Karlsruhe ha evitato l’apocalisse stile 2011. E lo ha anche scritto nero su bianco, perché per quanto sia stata costretta a ingoiare il rospo del compromesso, un minimo di dignità istituzionale vuole mantenerla. Senza scordare, poi, come il 26 settembre in Germania si voti per le legislative. La scommessa di Mario Draghi, fra Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza, ndr) e fondo complementare, è di quelle o la va o la spacca. Tradotto, o l’Italia decide di cambiare registro e diventare un po’ tedesca oppure si prepari a un futuro ellenico. Non ci sono alternative. Anche perché, numeri alla mano, il Primo ministro basa il suo azzardo su un effetto leva del denominatore enorme: il 20% di crescita in più rispetto all’ipotesi messa in campo da Giuseppe Conte.
Pensate che risultati simili si ottengano solo grazie allo scudo Bce sullo spread o gettando soldi in follie come il Reddito di cittadinanza o Quota 100? Oltretutto, dovendo fare i conti con la variabile a doppio taglio della campagna vaccinale, apparentemente entrata finalmente a regime spinto anche in Italia. Se accelera, il ritorno alla normalità economico-produttiva si avvicina a grandi passi. Ma, contestualmente alla dinamica in sede Bce legata al taper del Qe, questo porterà anche a una normalizzazione delle politiche emergenziali tuttora in atto a livello nazionale, in primis il blocco selettivo dei licenziamenti. Quindi, un periodo di lacrime e sangue ulteriore. Il cui conto politico-elettorale, ovviamente, andrà a cascata sui partiti che partecipano alla coalizione di governo. A quel punto, si vedrà chi pensa al mitologico bene comune e chi alla cabina elettorale.
Al riguardo, vi pare un caso che l’enfasi maggiore – si fa per dire – nel comunicato Bce sia stata posta sull’importanza delle aste di rifinanziamento bancario a lungo termine, Tltro? Questa immagine mostra le parti cancellate/aggiunte nel comunicato di ieri rispetto a quello dell’11 marzo scorso: siamo alla presa in giro del CtrlV-CtrlC, a vostro modo di vedere oppure no?
Mettere il tasso di interesse come primo punto, cosa deve farci capire? E, soprattutto, parlare in termini di reconfirm its very accommodative MP stance cosa significa, se non che oltre questo livello di espansione difficilmente si potrà andare in maniera ordinaria? Al contrario, se dovessero emergere nuove criticità sanitarie – magari come conseguenza di una riapertura troppe repentina -, certamente si renderà necessario un prolungamento delle misure cuscinetto, ma questo non farebbe che aggravare il fardello già incorporato in quel 160% di ratio debito/Pil. E anche a livello Bce, Christine Lagarde è stata chiara: in caso di necessità, il programma di acquisto di bond potrà essere rimodulato. Ovvero, se qualche Paese resterà indietro a livello di ripresa, concentreremo gli sforzi in un sostegno calibrato in sua difesa. Pensate che questo, però, sarà ancora senza condizionalità sui conti?
Altro che Mes. Cari lettori, stiamo – giorno dopo giorno, in maniera sempre più chiara – capendo cosa sia significato l’arrivo di Mario Draghi a palazzo Chigi. Chi pensava di banchettare a debito, fra emissioni allegre e fondi emergenziali da rifiutare sdegnati in nome del Dio Btp, comincia a sperimentare la sgradevole sensazione della sudorazione gelata. Vediamo chi bluffa e chi no, adesso. Per far saltare il banco dell’austerity di governo, come sostiene qualcuno, ci sono ancora 10 giorni. Avanti, i pop-corn per tutti li pago volentieri io.
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