Il proxy di tutti i proxies? Avvertenza: questo articolo non sta annunciando l’imminente arrivo di un 17 settembre 2019 in Cina. A fine mese, il mercato repo del Dragone spesso subisce fluttuazioni. Anche severe. E nel caso attuale, prezza il combinato con una pressante anticipazione di nuovo taglio dei requisiti di riserva. Ma un’esplosione come quella cui abbiamo assistito martedì nell’interbancario deve far riflettere.
Perché con la liquidità non si scherza. E, soprattutto, perché nelle ultime tre settimane, la Pboc ha già iniettato miliardi. Sotto varie forme.
Continuerà a farlo, stante l’ultimo dato manifatturiero in contrazione. Ma Cina significa due cose. Shadow banking, la cui regolamentazione è rimasta di fatto sulla carta. E immobiliare, il cui stato di salute è plasticamente rappresentato in questo secondo grafico.
Piaccia o meno, il grado di leverage creditizio che sta dietro al real estate cinese riflette al meglio la natura stessa di un sistema. Il quale, ricordiamolo, per anni è stato ostracizzato alla Wto proprio per l’assenza di requisiti da economia di mercato. E per strutturale intervento pubblico, la mitica mano invisibile. Bene, il paradigma che vede nell’esplosione dei tassi repo un alert di quelli da non sottovalutare è che invece di costringere la Cina a cambiare registro, il mondo occidentale – Usa in testa – a partire dal 2011 ha ritenuto più conveniente uniformarsi a quel regime distorsivo. Facendolo proprio.
Il boom del mercato repo cinese rappresenta al meglio il principio cardine del new normal globale: un continuo stress test che, normalmente, termina con cicliche crisi strutturali. E interventi di Banche centrali e governi. E vale per tutto. Ad esempio, date un’occhiata al Mainland Property Index dell’Hang Seng con il suo -83% dai massimi del 2020. Di fatto, la prova provata dell’insostenibilità sistemica del real estate cinese. Ma cosa dire, ad esempio, del meno scientifico e ortodosso ma molto esemplificativo ricorso di massa degli americani alla ricerca su Google delle opzioni per restituire l’auto, stante l’esplosione delle delinquences sulle rate?
Anch’esso – nel suo piccolo – dimostrazione plastica di come il +4,9% di Pil del terzo trimestre sia frutto della medesima distorsione cinese. E il fatto che l’interbancario Usa non sia congelato e, anzi, veda il reverse repo ancora attivo con miliardi e miliardi depositati overnight alla Fed da banche in cerca di remunerazione facile, dipende solo dallo tsunami di free money da Covid. Che ha garantito alle Big 4 riserve in eccesso sufficienti per un decennio. Oppure no?
Proprio ieri, nel giorno della Fed che mantiene i tassi fermi, dopo il regalo di Bill Ackman col suo stop agli shorts sul Treasury, il tracciatore in tempo reale della crescita Usa (GDPNow) della Federal Reserve di Atlanta ha tagliato le previsioni del quarto trimestre dal 2,3% all’1,2%, certificando il gioco di leverage posto in essere col deficit.
Il mondo è una grande Cina? Se sì, quel tasso repo è un omen. Per tutti. Ma non basta, quando si vive in un mondo in cui compaiono titoli di giornale di questo tenore: Japan to approve $110 billion stimuls package to fight inflation. Non è Lercio. E giuro che ho letto questo titolo tre volte. Invece, la prestigiosa rivista finanziaria Nikkei ha preso qualche decina di anni di studi e tonnellate di volumi accademici e li ha gettati in una simbolica discarica. Per combattere l’inflazione, occorre stimolare l’economia. Praticamente, un alcolizzato per disintossicarsi va in vacanza in una distilleria in Scozia.
Cos’è l’inflazione? Non è l’aumento dei prezzi. Bensì, l’aumento delle moneta circolante che, come effetto della crescita di domanda, fa aumentare i prezzi. Abbiamo a che fare con questo tipo “classico” di inflazione, oggi? No. Oggi dobbiamo affrontare l’inflazione da debito. Da Qe strutturale. Date un’occhiata a quest’altro grafico.
Negli Usa dell’economia al +4,9% nel terzo trimestre, le banche – sia grandi che piccole – non stanno erogando prestiti corporate. Le aziende non li chiedono. Eppure, qualcuno ancora parla di soft landing. E il Pil vola. Cosa, di fatto, sta garantendo questo miraggio? Il Qe. Ovvero, il fatto che durante l’ultimo ciclo di free money da pandemia, le aziende si sono ultra-finanziate a tassi quasi negativi. E ancora oggi beneficiano di quel lock-up temporale, prima di dover bussare al mercato a tassi oggi proibitivi. O agli istituti di credito. Letto così, il titolo scelto da Nikkei ha un suo senso. Per combattere un’inflazione da debito che ormai va ritenuta sistemica, serve altro debito. Perché è attraverso la free money dei programmi di stimolo che l’80% dei cittadini recupera potere d’acquisto. E, di fatto, sconfigge così l’inflazione.
Certo, siamo nel faustiano. Ma occorre prendere atto. E agire di conseguenza. Ad esempio, utilizzando le bolle per operare cambi di impostazione dell’impianto economico-finanziario. Lo mostra questo ultimo grafico, in realtà il principale dell’intero articolo.
Di fatto, la crisi immobiliare cinese ha una sua silver lining, il suo bicchiere mezzo pieno. Strategico. E talmente fondamentale per reimpostare il Sistema da rendere accettabili costi e rischi (anche politici), come mostrano i casi Evergrande e Country Garden. Seguendo il diktat di Xi Jinping, le banche cinesi hanno creato il prodromo di uno shift nelle politiche di prestito: dall’immobiliare all’industria, in particolare hi-tech e manifattura. Chiaramente, scelte simili sono di medio-lungo termine. Nel breve, tutto appare criticità. E infatti, la Pboc prosegue a colpi di tagli dei requisiti di riserva, al fine di evitare strozzature. Come, ad esempio, l’esplosione dei tassi repo cinesi. Un nuovo paradigma. Figlio legittimo dell’indebitamento sistemico. A cui, però. occorre saper dare risposte che non siano il mero osservare l’accelerazione giocoforza dei cicli economici, scontando recessioni-lampo ogni due anni, al fine di purgare il sistema senza spedirlo in terapia intensiva. Sembra follia. Ma è solo la nuova realtà. Folle.
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