Strano che nessuno ne abbia praticamente dato notizia. Non tanto perché io abbia ancora fiducia nella deontologia media della categoria giornalistica. Quanto per la Schadenfreude collettiva da cui è storicamente afflitta questa nazione, incapace di guardare un faccia la realtà dei propri conti pubblici ormai in modalità giapponese, ma bravissima a strepitare come la Curva Sud quando il primo della classe prende un 4.



Bene, date una bella occhiata a questo grafico. L’avete fatto? Rifatelo. Perché sono certo che il caldo e il calciomercato non vi abbiano permesso la concentrazione necessaria.

Fatto? Si tratta dell’ultima rilevazione dell’indice Zew, l’indicatore del sentiment relativo alla fiducia economica in Germania. Un vero e proprio termometro. Digitale, però. Perché storicamente, purtroppo, molto affidabile. La pubblicazione risale a martedì. Fresco fresco, almeno lui. Il dato complessivo è letteralmente crollato a 19.2 dal precedente 41.8 e con aspettative che erano fissate per un già poco confortante calo al 34.0. Ma qui signori siamo allo sprofondo. E parliamo della Germania, mica della Francia. Poi ci sono i sottoindici. E se qualcuno spera di trovare il bicchiere mezzo pieno, si prepari a morire di sete. Quello relativo alla situazione attuale ha segnato -77.3 dal precedente -68.9 e con previsione fissata a -74.5, mentre quello delle aspettative oggi segna 17.9. Contro il precedente 43.7. Ecco cosa attenderebbe il futuro prossimo dell’economia tedesca.



Devo per l’ennesima volta ricordarvi il peso dell’interscambio commerciale fra Berlino e Roma (a dire il vero, fra Monaco di Baviera e Milano) e quanto le nostre PMI che lavorano sull’eccellenza nella componentistica e nei macchinari per l’industria dipendano dalla Germania? Spero di no. Perché sinceramente sarebbe davvero grave. Ma qui la questione di aggrava ulteriormente. Per due ragioni, Decisamente interdipendenti l’una dall’altra. E che temo si stiano sottovalutando, complice anche il rompete le righe ferragostano.

Ora, il Governo Scholz gode di tutto. Tranne che di ottima salute politica. A fronte di uno scenario economico simile, sia sulla prospettiva presente che sulle aspettative di breve termine, come pensate che si porrà in sede Ue, unica scappatoia per spostare l’attenzione dalle rogne interne e dall’azzardo nei rapporti con Russia e Cina? Perché per quanto poi i nostri giornali abbiano abbandonato l’argomento nel momento stesso in cui Marine Le Pen è stata schiantata al terzo posto dall’ammucchiata antifascista, a Bruxelles ancora non c’è un Governo. Ci sono soggetti da TSO che pubblicano lettera orwelliane di minaccia a Elon Musk. Ma non ci sono i Commissari. L’Europa non esiste come entità economica, politica e diplomatica. E si sa, i giochi di potere aprono varchi enormi alle offensive dei soggetti più forti e organizzati. L’Italia, quindi, può stare tranquilla e fare i castelli di sabbia.



Pensate che la Bundesbank non stia già dettando l’agenda a Olaf Scholz, in questo momento? E pensate che costui abbia ancora un margine decisionale nella trattativa con Francoforte? Zero. Sarà linea dura. E con il 7,2% di deficit che deve tornare sotto il 5% entro fine anno, scordiamoci sconti e dilazioni. Giorgia Meloni può ustionarsi l’orecchio, telefonando a Ursula von der Leyen. Ma né il commissario agli Affari economici, né la Bce potranno più offrirci sponde. Certo, qualcuno pensa che l’eventuale taglio di 25 punti base a settembre sia la panacea di tutti i mali. Addirittura siamo ridotti al titolare del Mef che tenta una goffa capriola populista rispetto ai profitti record appena registrati e resi noti dalle banche. Tutto su base volontaria, ovviamente. Come per la famosa tassa sugli extra-profitti. In compenso, Bankitalia ha appena confermato che l’erogazione di credito si è contratta. Famiglie e imprese fanno sempre più fatica a ottenere prestiti e fidi, salvo poter impegnare immobili. O magari organi interni.

Ora, unite i puntini dello Zew con quest’ultima, innegabile realtà macro del nostro Paese: cosa ci attende in autunno, al netto di 9 miliardi da trovare pronta cassa per zittire i latrati più forti della procedura di infrazione?

Bene, ora guardate quest’altro grafico, la seconda ragione di preoccupazione. L’1 settembre si vota alle amministrative in Turingia e Sassonia. Il 22 dello stesso mese in Brandeburgo. Tre Lander della ex Dde. Insomma, aree sensibili allo scontento. E canarini nella miniera delle crisi economiche interne. Le stesse dipinte a tinte vivide dallo Zew.

Alternative fur Deutschland vola. La Cdu tiene. Molto bene anche i cosiddetti rossobruni guidati da Sarah Wagenknecht al 19%. Guardate però i tre partiti di governo, cioè Spd, Verdi e Liberali. Stando all’ultimo sondaggio relativo alla Turingia sono al 12%. Ma in tre! Capite da soli che, paradossalmente, il voto che davvero peserà per l’Italia è questo. Non quello del 5 novembre Oltreoceano. Ed è alle porte. Praticamente domani. Se per caso – ipotesi molto probabile -, l’ammucchiata semaforo uscisse con le ossa rotte, chiaramente le ipotesi si limiterebbero a due. Dimissioni e voto anticipato in autunno. Con un’Ue che, se tutto va bene, avrà appena vista insediata la nuova Commissione. Oppure un’ovvia virata di Olaf Scholz verso un rigorismo degno del Wolfgang Schaeuble dei tempi d’oro. Tertium non datur.

Magari mi sbaglierò. Ma non vi pare che da settimane manchi qualcuno all’appello? Quel Mario Draghi prima sovraesposto e poi auto-isolatosi, pensate davvero che si sia ritirato a vita privata per fare il nonno ai giardinetti? O magari attende solo che il 2011 in versione reloaded faccia il suo corso, stante una lettura pre-elettorale dello Zew che può generare indifferenza solamente in chi ormai è rassegnato allo schianto? E si preoccupa unicamente di accaparrarsi una scialuppa di salvataggio.

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