E così tutto come previsto, dalla Bce. Il taglio dei tassi è stato dello 0,25%. Gli esperti dell’istituto di Francoforte stimano un’inflazione al 2,4% nel 2024 e al 2,1% nel 2025. Sempre nel solco della Fed e sempre in ritardo, tanto per continuare a far soffrire l’economia europea e quella tedesca in particolare.
Del resto è così: quando si segue un’ideologia, si finisce con l’essere autolesionisti, senza alcuna via di uscita, senza avere o immaginare altre opzioni. La speculazione non ama le sorprese e la Bce sembra adeguarsi perfettamente ai desiderata della finanza speculativa.
Anche la Banca centrale svizzera ha tagliato i tassi, ma ha sorpreso gli investitori, tagliandoli dello 0,50% e portandoli al valore di 0,50% dal precedente 1%. Una pacchia per i prenditori di denaro a prestito, per famiglie e imprese rispetto a famiglie e imprese dei Paesi confinanti che hanno l’euro. In Svizzera si è proceduti a questo robusto taglio perché sono preoccupati da una moneta che sui mercati è troppo forte rispetto alle altre e quindi per i turisti la Svizzera risulta cara. Preoccupata per il turismo, che in quel Paese è una fetta importante dell’economia reale, la Banca centrale ha proceduto a un taglio robusto.
Capite la differenza? Non è solo nei numeri, ma è soprattutto nelle motivazioni. La Fed ha come compiti la stabilità dei prezzi e la piena occupazione. La Bce ha solo la stabilità dei prezzi. In Svizzera chi governa la moneta si preoccupa soprattutto e più concretamente dell’economia reale.
E quindi diventa chiaro perché, mentre l’economia italiana è in sofferenza, le banche italiane, dopo un 2023 record per gli utili, registrano un ottimo 2024 tanto che alcune testate online titolano “Banche italiane, ricavi record anche nel 2024”. Tutto questo accade perché viene applicata ottusamente un’ideologia che viaggia su due gambe: una è quella del libero mercato (soprattutto per le grandi aziende) e l’altra si chiama austerità (soprattutto per gli Stati). Questa è la ricetta che non funziona, non può funzionare, non ha mai funzionato e ci porterà alla rovina se non ne usciamo. Una ricetta sbagliata che viene portata avanti fino all’autolesionismo.
In rete sui social è tornato a circolare un report di un’associazione tedesca di qualche anno fa; in tale report facendo i conti in tasca ai cittadini europei ha calcolato chi ci ha guadagnato e chi ci ha perso dalla introduzione dell’euro fino ad allora (il 2017). Il risultato, che forse qualche lettore ricorderà, è che i tedeschi sono quelli che ci hanno guadagnato di più (circa 23mila euro a testa), mentre gli italiani sono quelli che in Europa ci hanno perso di più (circa 73mila euro a testa).
Oggi questo dato, ben chiaro alle tasche dei cittadini italiani, è davvero interessante alla luce dell’attuale stagnazione dell’economia tedesca, poiché rende chiaro che, quando un sistema non funziona, non funziona per tutti, per cui tutti, chi prima e chi dopo, ne vengono a soffrire. Il dramma sociale ed economico dei tedeschi dipende da un dramma culturale, ossia l’incapacità di pensare a un modello diverso da quello che fino a oggi ha funzionato tanto bene per loro, ma solo per loro.
Vengono alla mente le parole della lettera enciclica Quadragesimo Anno (1931), nella quale si afferma chiaramente che “occorre tenere presente la doppia natura, sociale e individuale, sia del lavoro che del capitale”. Ecco il cuore del problema, mancato dal pensiero moderno, sia quello socialista che quello liberista: la doppia natura, sociale e individuale, del denaro.
La dottrina liberista concepisce il denaro unicamente come bene privato, per cui ciascuno ne dispone come gli pare, senza alcun riferimento o legame al bene comune. Al bene sociale. In altre parole, se il Pil aumenta gli economisti si rallegrano, senza fare la minima valutazione se quell’aumento dipende da precedenti investimenti e quindi da sano sviluppo, oppure da una crescita delle spese sanitarie (il che vuol dire che la popolazione non sta bene) oppure da crescenti spese militari, insomma da spese che non potranno essere produttive nel futuro.
E così non c’è stata alcuna valutazione critica per un Paese (la Germania) che aveva bilanci molto buoni a causa di un’esportazione sproporzionata, quindi nessuna valutazione sul fatto che esportazioni tanto forti producono impoverimento in quei Paesi che importano. E non c’è stata alcuna valutazione sul fatto che, superata una certa soglia di impoverimento, i Paesi importatori smetteranno di importare, provocando a quel punto il crollo economico dei Paesi che prima esportavano tanto facilmente.
Ovviamente il male non è l’esportazione, come in tutte le cose il “male” sono gli eccessi. Occorrerebbe agire per limitare per quanto possibile questi eccessi, con gli strumenti a disposizione, il principale dei quali è la stampa della moneta e la sua circolazione tramite i prestiti, agendo sui tassi di interesse. Ma le Banche centrali fanno esattamente il contrario, perché hanno come obiettivo la “stabilità dei prezzi” che suona molto bene, ma in poche parole vuol dire agire contro l’inflazione e così mantenere e rafforzare il potere di chi ha il denaro e al contempo svalutare chi ha il “potere del lavoro”, cioè i lavoratori.
Come tutti sappiamo, una parte largamente minoritaria della popolazione (di qualsiasi territorio definito: Italia, Europa, mondo intero) possiede ricchezze pari o superiori al resto della popolazione: in Italia il 5% della popolazione più ricca possiede il 46% della ricchezza netta complessiva; in Europa è ancora peggio perché il 10% della popolazione possiede il 67% della ricchezza complessiva; negli Usa la stessa percentuale di ricchi possiede il 60% della ricchezza complessiva. Il problema è che la percentuale di ricchezza complessiva dei ricchi è in crescita ovunque nel mondo.
Cosa fanno le istituzioni per contrastare questa iniquità, questo eccesso ricchezza in mano a pochi? Nulla. Cosa fanno le Banche centrali? La favoriscono, stampando moneta che finisce sui mercati finanziari e arricchisce la speculazione.
Come dice un noto proverbio, i conti si fanno con l’oste e ora il conto da pagare è arrivato alla Germania. Se si continua su questa strada, non finirà bene. Occorre una svolta radicale.
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