A dispetto della stagione e della latitudine, domani a Vienna potrebbe fare caldo. E, paradossalmente, non per lo scontro che si preannuncia in sede Opec dopo l’ultimatum dell’Arabia Saudita per nuovi tagli alla produzione, cui una parte del cartello dei produttori si oppone.

Farà caldo perché, salvo interventi dell’ultim’ora, quel giorno potrebbe segnare definitivamente il destino del gruppo Signa, leader delle costruzioni austriaco e conglomerato da 23 miliardi di valore. Oggi sull’orlo del default. E con una scadenza obbligazionaria alle porte che potrebbe tramutarsi nel proverbiale chiodo nella bara, come mostra la tabella.



E se al di là del Brennero già si cominciano a soppesare politicamente i rischi dei pesanti ricaschi occupazionali e di contagio sulla controparte di un evento simile, l’intervista del patron del gruppo, il miliardario Rene Benko, nella quale venivano elencate responsabilità di tutti – alieni e unicorni compresi – tranne che del padrone, ha fatto saltare i nervi ai sindacati. Il cui leader, Alfred Gusenbauer, ha immediatamente chiesto un aumento salariale dell’11,6%, sottolineando quanto spenda Benko per ogni suo abito confezionato su misura nella londinese ed esclusiva Savile Row.



Populismo contro arroganza, il peggio che si elide. E che nulla offre alla risoluzione del problema. Il quale, paradossalmente, ha epicentro finanziario altrove, però. In Svizzera, per l’esattezza. Dove lunedì mattina la banca d’affari Julius Bear ha cercato di rassicurare investitori e mercato rispetto alla sua esposizione verso il gruppo Signa, qualcosa come 606 milioni di franchi svizzeri suddivisi in tre prestiti concessi a diverse entità all’interno di un conglomerato europeo non identificato. Tradotto, è Signa ma cerchiamo di non dirlo proprio chiaramente. E se l’accantonamento da 70 milioni di franchi reso noto solo pochi giorni fa – difficile fa millantare con esigenze differenti da quella di creare un argine al potenziale tsunami – aveva già inferto un colpo sgradevole all’orgoglio della banca d’affari elvetica, ancora peggiore è stato l’appunto mosso da Jefferies International e prontamente ripreso dall’edizione di lunedì del Financial Times, nel quale si faceva notare come una simile esposizione su una singola controparte non appaia certamente pratica cauta. Come dire, tutti sappiamo che alcuni amici sono più amici di altri nell’ottenere prestiti. Al netto dei conti. Però a volte si esagera.



E la situazione pare decisamente in rapida e negativa evoluzione, poiché il quotidiano austriaco Kurier all’ora di pranzo di lunedì pubblicava l’indiscrezione – poi confermata – in base alla quale la filiale tedesca, Signa Real Estate Management Germany GmbH, avrebbe preso atto della situazione. E confermato il proprio stato di insolvenza. E con il mercato immobiliare che già sconta lo shock Bce sui tassi, il comparto – in una fase di rallentamento generale delle economie Ue – potrebbe tollerare il rischio di contagio sulla controparte e totale congelamento del credito bancario?

Insomma, dopo il bond a 100 anni il cui valore è ormai pari a un pacchetto di Marlboro, l’Austria ora rischia di provare il brivido della tensione sistemica. A meno che, entro 72 ore, il Governo non decida di allungare la sua mano invisibile. E infilarla in tasca. Che, in realtà, è quella dei contribuenti. I quali potrebbero non prendere benissimo l’idea di dover togliere dalle grane con le proprie tasse un miliardario dall’approccio spericolato.

Le ultime notizie parlano di una non stop di colloqui con potenziali cavalieri bianchi durata tutta la notte fra lunedì e ieri e terminata con un nulla di fatto. Servono 600 milioni. E quasi pronta cassa, al netto delle garanzie bancarie o di fondi pronti a investire. Cui, però, non corrispondono quelle del gruppo Signa su modi e tempi della restituzione, stante la conclamata insolvenza.

Poche ore e scopriremo come andrà a finire. In compenso, conviene in da subito porsi almeno un paio di domande: si tratta di un caso isolato di vittime del mismatch tra leverage irresponsabile e aumento record dei tassi di interesse oppure può essere solo la prima tessera di un domino, cui il mercato immobiliare tedesco guarda con terrore? E soprattutto, i nostri crediti incagliati da superbonus, come reagirebbero a un eventuale default – più o meno disordinato – del gruppo Signa? A occhio e croce, il Mef domani sarà provincia di Vienna.

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