Il dato tanto atteso negli scorsi giorni, l’inflazione americana, ha riportato un valore del 3% su base annua, in leggera flessione rispetto al dato atteso del 3,1%. Questo avvicina, a parole, il momento di un ulteriore taglio dei tassi e ha portato a una brusca correzione del dollaro rispetto a tutte le altre valute.
Ma i problemi sono lontani dall’essere risolti. Come è ovvio, i problemi dell’economia reale non si risolvono con un taglio dei tassi (o con un aumento). E l’inflazione attuale non dipende solo da un eccesso di moneta, ma soprattutto da una situazione di crisi internazionale e da sanzioni che hanno rese care le materie prime relative alla produzione di energia.
La conferma che i problemi non siano risolti viene proprio dal mercato finanziario: l’oro è salito a nuovi record, arrivando a toccare i 2.480 dollari per oncia. E il problema non è il valore di oggi, il problema è il trend: un anno fa il prezzo era intorno ai 1.900 dollari, cinque anni fa era sui 1.400. E sono anni che le banche centrali continuano ad accumulare oro, considerato il bene rifugio per eccellenza. Perché dovrebbero farlo, se tutto fosse sotto controllo?
E non è tutto sotto controllo, anzi le cose stanno peggiorando. La guerra in Ucraina non è andata certo nella direzione desiderata, le sanzioni si sono prolungate oltre ogni immaginazione e non se ne vede la fine, i Paesi europei stanno pagando un prezzo altissimo, sia per le sanzioni, sia per i costi degli armamenti che poi vengono distrutti sul fronte ucraino, sia per il denaro che viene inviato al Governo ucraino per le spese correnti. Un fiume di denaro che da due anni sta dissanguando gli Stati europei, già duramente colpiti da una crisi che non finisce mai e aggravata dalla vicenda della pandemia.
Tale crisi si è in qualche modo riflessa nelle recenti elezioni europee, dove i partiti che hanno sostenuto la von der Leyen hanno ottenuto pessimi risultati; in particolare in Francia, dove Macron ha indetto nuove elezioni che hanno portato a un parziale contenimento della crescita del partito di Marine Le Pen. Ma soprattutto hanno portato alla paralisi della politica con il rischio di un’impasse istituzionale, certamente non la situazione ideale per gestire un momento di crisi come quello attuale.
Del resto questa è una crisi che continua a essere mantenuta e sostenuta attivamente dalla stessa Bce. In che modo? Proprio con la politica dei tassi.
Tutti gli economisti sanno, perché è semplicemente vero, che un Paese non può sostenere nel lungo periodo il proprio debito, se gli interessi per ripagarlo sono superiori al suo tasso di crescita. E ogni Paese non può decidere “quest’anno faccio crescere il mio Pil del 5%”, semplicemente perché la crescita del Pil dipende da tanti fattori e soprattutto dipende anche dal contesto (di sviluppo e crescita) internazionale. Ma la Bce può liberamente decidere il tasso di interesse sul denaro, che determina come conseguenza diretta il tasso di interesse dei titoli di stato.
Gli interessi dei titoli di stato dei Paesi europei sono intorno al 3%. Ma il Pil dei paesi con l’euro è previsto allo 0,8% per quest’anno, all’1,4% per l’anno prossimo. Se si comprendono i Paesi europei che non hanno l’euro, si ha una crescita dell’1% per quest’anno e dell’1,6% per il 2025, a ulteriore conferma dei danni causati dalla moneta unica.
Con questi numeri, l’ulteriore crescita del debito è un dato inevitabile. E l’apertura delle procedure di infrazione da parte delle istituzioni europee fa soltanto sorridere: i Paesi europei sono chiamati a correggere i loro conti, tagliando le spese. Ma è una soluzione che, secondo una banale logica matematica, non può funzionare, perché se si tagliano le spese alla fine diminuisce il Pil e il problema non si risolve.
Assurdo poi che l’Ue continui su questa rotta, dopo che i principali sostenitori di questa linea, l’ex Governatore Mario Draghi e l’economista Giavazzi, hanno pubblicamente sconfessato la linea del rigore precedentemente sostenuta.
La situazione è già molto difficile per tutti (Stati, imprese e famiglie) e l’Ue pretende che gli Stati remino in senso contrario, anche dopo che certi partiti hanno preso delle dure lezioni alle recenti lezioni.
Ora, dopo la conferma della von der Leyen alla presidenza della Commissione, occorre vedere se davvero cambierà qualcosa nelle politiche europee.
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