La crisi fra Usa e Iran sfocerà davvero in guerra? La Libia rischia di andare fuori controllo o, peggio, tramutarsi in terra di spartizione fra Russia e Turchia, con l’Italia costretta a reinventarsi una politica estera dopo le imbarazzanti mosse degli ultimi mesi e con la Francia pronta a sfruttare l’asse con Mosca in difesa del generale Haftar per guadagnare quote petrolifere di influenza? Davvero, in un contesto come questo, vale la pena arrovellarsi e scannarsi sul caso Gregoretti e tramutare l’Emilia-Romagna nella Florida italiana, regione decisiva per le sorti di un intero Paese come fu lo swing State nelle presidenziali Usa del 2000? Domande legittime. Ma queste ore, a mio avviso, ci pongono di fronte a una dinamica più profonda e decisamente preoccupante, in prospettiva: cosa sta dicendoci, per ora sottovoce, il prezzo dell’oro in impennata parabolica?



Dopo il raid Usa in Iraq, ovviamente, i beni rifugio e il prezzo del petrolio sono schizzati in alto, ma se quest’ultimo ha perso di colpo quasi tutti i guadagni di due giorni dopo la conferenza stampa da “colomba” di Donald Trump, il metallo prezioso non solo ha continuato la sua cavalcata, ma nell’overnight fra mercoledì e giovedì ha addirittura sfondato quota 1.600 dollari l’oncia, il massimo dal marzo 2013. Come anticipato, l’oro rispetto agli altri safe havens sta galoppando ormai da mesi, dando vita a un accoppiamento decisamente poco consono alla normalità macro con gli indici equities o i bond: ma si sa, nel meraviglioso mondo delle Banche centrali, the only way is up. Tutto sale, tutto rappresenta una scommessa vinta in partenza.



Questi due grafici ci mostrano come l’eliminazione del generale Soleimani da parte dei droni statunitensi abbia giocato il classico ruolo del detonatore. Ma, attenzione, lo ha fatto con una magnitudo da evento storico, se posto in prospettiva con le crisi mediorientali degli ultimi 30 anni: le quali, tanto per capire quale bacino di “comoda” instabilità rappresenti quell’area del mondo, sono state ben 19 in quell’arco temporale.

Cosa prezza quella reazione dell’oro, quindi? Un conflitto su larga scala, il vero redde rationem fra Iran e Usa, dopo anni di schermaglie e mesi di minacce più o meno dirette? Oppure si teme un incendio dell’intera regione, magari con epicentro quell’Arabia Saudita che, a dispetto del +5% del prezzo del greggio, vede le azioni di Aramco continuare la loro discesa verso la soglia critica della valutazione di collocamento, in meno di un mese? D’altronde, cambiare le carte in tavola a Ryad farebbe comodo a molti. E occorre ricordare come, almeno stando a fonti irachene, lo stesso generale Soleimani sarebbe stato ucciso in Iraq mentre si apprestava a incontrare proprio emissari sauditi per cercare di negoziare una de-escalation delle tensioni fra i due Paesi: gli Usa non vogliono quella pace fra sunniti e sciiti, poiché perderebbero i loro “comodi” cavallo di Troia e capro espiatorio geopolitici nell’area? Difficile escluderlo a priori, conoscendo certe dinamiche ormai consolidate da decenni. Ma, come vi dicevo, c’è qualcosa di più profondo che il prezzo dell’oro potrebbe volerci dire. Un qualcosa che è strettamente connesso al destino dell’Europa, quantomai nuda quanto il proverbiale Re di fronte a questa crisi globale che l’ha vista attrice ben poco protagonista.



Guardate questi due grafici, soprattutto il primo. Il quale ci dice che le valutazioni dell’oro denominate in euro e non in dollari siano giunte nella notte fra mercoledì e giovedì al loro massimo storico assoluto. Certo, dal novembre 2018 a oggi anche in dollari l’oncia è cresciuta nettamente, guadagnando il 25%, ma qui siamo al record: perché?

Una risposta ci viene offerta dal secondo grafico e dalle parole di John Pierpont Morgan, fondatore dell’omonima banca di investimento statunitense: “L’oro è moneta, tutto il resto è credito”. Quindi, l’oncia ai massimi nella denominazione in euro, cosa vuole dirci? Forse che, al netto dello schema Ponzi di Fed, Bank of Japan e Pboc cinese, il primo bluff a cadere potrebbe essere quello della Bce e, nella fattispecie, della falsa ripresa garantita dal Qe di Mario Draghi? Il Whatever it takes è arrivato, esso stesso, al suo redde rationem con la realtà, esattamente come l’inconsistenza della politica estera europea di fronte alla prima, vera crisi globale dal 2008 a oggi? Il secondo grafico parla chiaro, molto chiaro. E pare volerci dire che quando il return che ti viene garantito dalla fornitura di credito diventa pari a zero, è puerile stupirsi del fatto che la gente voglia essere pagata in oro. O, come in questo caso, voglia veder denominata in metallo prezioso la sua ricchezza, il suo patrimonio, i suoi investimenti. L’hedging di tutti gli hedging possibili, insomma.

Non vi pare che, alla luce di questa dinamica rimasta latente per mesi e ora esplosa con il detonatore del caso iraniano, trovi un senso molto più chiaro, netto e strategico la decisione della Bundesbank di rimpatriare tutto il proprio oro fisico stoccato all’estero con due anni di anticipo sulla tabella di marcia? E l’Olanda e la sua Banca centrale, cosa hanno fatto? E Russia e Cina che, da trimestri ormai, vendono Treasuries e comprano oro fisico, a quale logica rispondono? Solo un rafforzamento, un mero processo di backing delle proprie valute, legandole alle riserve di oro fisico come garanzia esplicita di solidità e solvibilità? Nell’era dei tassi sotto zero e del credito che vale nulla, stante rendimenti ormai compressi per ogni asset class conosciuta, chi opera davvero sta capendo che la valuta fiat sta diventando poco più che carta straccia degna del Monopoli? Le stamperie globali hanno messo le ali all’oro, al netto delle tensioni geopolitiche? Penso proprio di sì. E penso che qualcosa dovrà accadere, in un senso o nell’altro.

Gli Usa torneranno a una qualche forma di gold standard? Non certo nel breve termine, ma è chiaro che, avanti di questo passo, lo strapotere del Qe strutturale farà crescere alternative al regime di soppressione dei valori reali in atto: come spiegare, altrimenti, l’ascesa parabolica di Bitcoin e il fatto che le stesse Banche centrali parlino ormai di criptovalute senza più demonizzarle a priori? Soltanto l’illusione di un mondo parallelo? Soltanto un fenomeno legato al riciclaggio di denaro internazionale e all’evasione fiscale di massa? Difficile crederci, davvero difficile. L’oro, in questi giorni e queste ore, ha issato la bandiera rossa per il sistema dell’espansione monetaria sistemica: come in spiaggia, quando il mare si ingrossa e il bagnino segnala pericolo per chi intende fare il bagno. Insomma, entrate in acqua a vostro rischio e pericolo. Lo stesso vale per chi intende imbarcarsi in un percorso di fiducia cieca nell’iper-attività onnivora e onnipotente delle Banche centrali: il tipping point, il punto di non ritorno, potrebbe essere più vicino di quanto si pensi. E l’Europa, epicentro ideale di ogni laboratorio sistemico di crisi, stante i suoi squilibri ontologici, sembra essere pronta a infilarsi nella ruota del criceto, giusto per vedere quanto è in grado di correre – in realtà senza guadagnare un solo metro – prima di stramazzare.

Vi pare un caso che, non più tardi del 7 gennaio scorso, Peter Huber, forse il più influente dei giudici costituzionali della Corte tedesca di Karlsruhe, abbia avvisato ufficialmente e con un documento scritto la Bce di non azzardarsi a superare i limiti del proprio mandato con il suo secondo programma di Qe, addirittura scomodando il fatto che “in gioco c’è in fatti la stessa democrazia della Germania”? Come dire, non sperate di poter aumentare il controvalore di acquisti obbligazionari sovrani per schermare gli spread italiani e spagnoli o, peggio, di re-includere bond greci nella platea del collaterale accettato che finirà così a bilancio dell’Eurotower. Cioè, di tutti, Bundesbank in testa. Men che meno, fatevi accarezzare dall’idea di seguire l’esempio giapponese e, in caso di aggravamento della crisi, di operare direttamente sul mercato azionario attraverso l’acquisto di Etf. Unite questa dinamica al frettoloso rimpatrio di oro da parte della Bundesbank e alla dinamica record delle valutazioni dell’oncia in euro e, unendo i puntini, provate a trarre una conclusione di quale potrebbe essere l’epilogo potenziale per l’eurozona.