Se ogni cittadino di Cleveland comprasse un bitcoin, la supply side dell’Etf sarebbe già esaurita. Da quelle parti preferiscono il Fentanyl, lo so. Ma questa discussione da rivoluzione copernicana per 1,8 milioni di bitcoin in flottante libero, sinceramente fa riflettere. E ritenendo l’intera operazione nulla più che l’ultima, terminale mossa di manipolazione, glisso volentieri. E mi occupo di altro.



Giovedì sera il reverse repo alla Fed di New York ha segnato 626 miliardi, 54 in meno del giorno precedente. Avanti di questo passo, timing perfetto: drenaggio totale entro marzo. When the party starts. Perché le scadenze che si ammassano in quel mese è inutile ripeterle. O forse no, repetita juvant. L’11 fine del Btfp, attesa per il primo taglio dei tassi il 20 e di fatto fine del Qt. Oltre, appunto, azzeramento potenziale del reverse repo.



Siamo sicuri che questa ipotesi finale debba lasciarci tranquilli? Perché piaccia o meno, un calo del reverse repo rappresenta un evento inflattivo. Che entro pochi mesi potrebbe scatenare una seconda ondata di prezzi in ebollizione, dinamica assolutamente in linea – tra l’altro – con l’ultimo dato del CPI statunitense al 3,4%. Ed ecco che il grafico pare mettere il carico su un possibile mismatch di politica monetaria.

Stando all’indicatore relativo alla pressione sulla supply chain proprio della Fed di New York, già oggi la prospettiva è quella di un’incubazione che potrebbe generare l’evento indesiderato. E stroncare sul nascere gli eccessi di ottimismo per la presunta vittoria nella guerra contro l’inflazione. Nemmeno a dirlo, i 17 punti base di taglio prezzati dai futures per marzo rischiano di precipitare a 0. E qualcuno potrebbe non prenderla benissimo. Perché, nel frattempo, il primo atto di conflitto attivo dell’Iran – il sequestro di una petroliera Usa al largo dell’Oman – ha fatto ulteriormente lievitare i costi di spedizione dalla Cina verso l’Europa come mostra questo secondo grafico.



E chi parla bene con un sacco di lauree, comincia a fare i conti con una formula: supply-driven inflation shock. E che i rischi non siano poi così peregrini lo conferma il fatto che la scorsa settimana l’operatore sudcoreano Sinokor Merchant Marine abbia talmente fatto incetta di prenotazioni da aver spedito alle stelle il costo dei noli per i super-tankers, i cosiddetti VLCC. Sulla tratta US Gulf-Asia l’aumento registrato lunedì è stato di 1 milione di dollari al giorno, il rialzo massimo dal novembre 2022. Siamo certi che tutto andrà come deve o la spring surprise arriverà sotto forma di spring nightmare per le aspettative di mercato. E di nuova, letale fiammata dei prezzi a imporre con la forza la logica dell’higher-for-longer sui tassi, di fatto esiziale e necessaria per mantenere artificialmente sostenibile il debito Usa?

Attenzione a come posizionarsi. Perché mai come oggi, il giusto hedging può salvare. E il fatto che Joe Biden abbia per la prima volta nominato l’Iran come sponsor degli Houthi dovrebbe far riflettere. Più dell’Etf di bitcoin. Perché come cantava Vasco Rossi, è tutto un equilibrio sopra la follia. E ce lo mostra il grafico, tenendo presente il dato in calo del reverse repo di cui ho parlato precedentemente.

Le riserve presso la Fed sono aumentate di 235 miliardi in una settimana. Di fatto e come recita la legenda, una liability per la liquidità. Peccato che, appunto, il tutto sia controbilanciato dal calo del reverse repo, il quale scientificamente opera da stabilizzatore in attesa del suo azzeramento in marzo. A sua volta, l’aumento record delle riserve è frutto dell’arbitraggio fra tassi a cui le banche si finanziano presso il Btfp e appunto interessi ottenuti depositando il medesimo denaro alla Fed. Per l’esattezza, 53 punti base di free money. Equilibrio perfetto sopra la follia finanziaria, perché quando una facility che dovrebbe sostenere il sistema bancario perché continui a erogare credito e gestire risparmio si tramuta invece in un bancomat, il Rubicone della decenza è stato ampiamente superato.

Detto fatto, la scorsa settimana l’utilizzo del Btfp è salito ancora di 6 miliardi a quota 147 miliardi e lo stesso stato patrimoniale della Fed, formalmente in regime di contrazione da Qt, è aumentato a sua volta di 5,7 miliardi. Il massimo dalla crisi di Svb del marzo 2023. Casualità, ovviamente. E in quale contesto macro sta avvenendo questa danza macabra di profitto? Quello rappresentato da questi ultimi due grafici: per quanto Paul Krugman definisca booming lo stato di salute attuale dell’economia Usa, ecco un ulteriore esempio di equilibrio precario.

Comparando Pil e deficit del terzo trimestre, di quale boom parliamo, quando generi meno di 1 dollaro di crescita per ogni dollaro in nuovo debito? Perché boom, se preso nella sua accezione più onomatopeica, può sì essere il termine adeguato. Ma certamente non foriero di epiloghi positivi. E il secondo grafico ci mostra plasticamente come il deficit statunitense registrato a dicembre abbia segnato un sobrio livello di 129,4 miliardi. Ovvero, 40 miliardi più delle stime medie che si attendevano 87,5 miliardi e soprattutto più del 50% di aumento rispetto agli 85 miliardi del deficit di budget del dicembre 2022.

Insomma, come mostra il grafico, un deficit a livello del 2020. Cioè nel corso dell’emergenza pandemica. Ma questo sta invece avvenendo con l’economia in boom e Wall Street in orbita. Almeno stando alla narrativa che vi vendono quotidianamente. Non a caso, l’America ha rotto gli indugi. Prima ha ufficialmente archiviato la pratica Ucraina, comunicando la fine degli aiuti militari e il conseguente off-side politico di quei geni dell’Ue. Poi passando all’azione verso il bersaglio grosso. Poche ore dopo la prima citazione ufficiale dell’Iran da parte di Joe Biden, Usa e GB hanno attaccato postazioni dei ribelli Houthi in Yemen come reazione agli attacchi nel Mar Rosso. Immediata la replica: Le ritorsioni saranno pesanti. Insomma, ora siamo in guerra. In nome della follia appena descritta. Con Gaza ormai lontana, tramutata in argomentazione politica e resa dei conti da tribunale.

Ma la guerra, si sa, è in se stessa follia. E qui si sta giocando davvero troppo con la benzina dei cortocircuiti, pur di mantenere in moto perpetuo lo jo-jo macro di inflazione e tassi. Qui si sta sottovalutando il granello di sabbia di Bertolt Brecht. E si continua a ignorare che, fra 72 ore, Taiwan avrà votato. E la Cina potrà concentrarsi su un nuovo capitolo dell’agenda. Globale. La quale, se vedesse toccato direttamente l’Iran, genererebbe conseguenze. Anch’esse globali.

Cosa accadrà adesso? Una cosa è certa: da qui a marzo ne vedremo delle belle. Probabilmente senza precedenti. Perché ricordatevi che marzo è l’obiettivo. When the party starts.

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