Utili netti pari a 6,2 miliardi di dollari, un sobrio +843%. E tanto per gradire, un bel buyback da 25 miliardi di dollari. Tutto grazie all’Intelligenza artificiale. Nvidia è la nuova Tesla. Al cubo. Nulla può andare storto. Sky is the limit. Standard Chartered non la pensa così, però. Alla luce di quei numeri, la banca ritiene che gli investitori dovrebbero ricordarsi della lezione che la corsa impazzita di Cisco negli anni Novanta impartì al mercato.
Ovvero, il cammino di un’azienda può essere enormemente differente da quello del titolo. Ovviamente, Cisco non crollò dalla sera alla mattina. E Nvidia potrebbe rivelarsi un affarone e durare il tempo necessario a far esplodere la prossima bolla tech. Il problema sta tutto nella strumentalità sistemica del motore immobile che ha garantito all’azienda questi risultati: l’Intelligenza artificiale. La quale, come mostra il secondo grafico è qualcosa più della next big thing per chi investe: di fatto, ha garantito la rottura di un altro path storico di correlazione.
Se fino a oggi il Nasdaq era andato in tandem con la liquidità della Fed, patendo correzioni a ogni Qt più o meno ufficiale, questa volta proprio l’esplosione del fenomeno AI ha permesso il decouple dell’indice tecnologico. Insomma, l’orwelliana pietra filosofale è contrafforte di sistema. E si sa, i contrafforti devono reggere pesi e pressioni enormi. E se il tempo ne mostra la solidità, gli incidenti di percorso rischiano di minarne anzitempo il processo di consolidamento. Perché non bastano utili a 8.5x su base annua per incorporare nei multipli un intero universo di unicorni. Oltretutto, strafatti di metanfetamine. E se a ogni start-up che nasce si contrappone un report sul potenziale distruttivo dell’AI nel mercato del lavoro, nessuno può dire quanto la strada possa essere totalmente in discesa. Ma cosa potrebbe innescare un drastico calo, stante quei numeri da Fantasilandia?
La politica. Un dibattito, più o meno concreto nelle finalità operative, su eventuali limitazioni nell’uso di quello strumento tanto potente da rivelarsi potenzialmente distruttivo sarebbe in grado di operare un “effetto crypto” su un settore già in preda a leverage e multipli impazziti. Come il dibattito sui divieti verso Bitcoin e soci ha innescato furiose sell-off, così un Congresso in cerca di consenso sul fronte occupazionale potrebbe cominciare un festival delle chiacchiere che metterebbe in fuga parecchi pesci nello stagno. Idem in sede Ue. Ma, soprattutto, Nvidia con i suoi numeri rappresenta un paradigma. Quello del perfetto capro espiatorio che si unisce incestuosamente con l’agnello sacrificale. Tradotto, se dovesse servire un shock prêt-à-porter per tagliare i tassi e tornare all’alluvione di liquidità e al drenaggio di bilancio intossicati, Nvidia rappresenterebbe il candidato ideale per uno scossone one-off. Chiassoso, manipolabile e mediatico al punto giusto.
Ma attenzione. Perché quando la bolla è ormai al massimo, basta davvero poco per sfiorare il disastro. E allora, cautela. Ecco quindi che nemmeno un +830% di aumento degli utili netti ti garantisce un po’ di pace. Nvidia, infatti, nella seduta di giovedì ha chiuso a malapena in positivo. Nonostante conti degni degli esperimenti del dottor Hofmann. Sic transit gloria mundi, persino nel meraviglioso mondo del Qe. O, forse, proprio perché ormai quel mondo che chiamiamo incautamente mercato appare uno zoo-safari abitato da unicorni assortiti. Ad esempio, chi ha venduto titoli Nvidia con tempismo tale da aver fatto perdere ai propri investitori circa 300 milioni di dollari di profitti potenziali? Cathie Wood con il suo ARKK Fund, il Sacro Graal dell’investimento tech. E, soprattutto, una sorta di SPV informale di Tesla. A sua volta, motore immobile di avventure lunari e ben più strategici tweets terrestri.
ARKK Fund deteneva 800.000 azioni di Nvidia, acquistate nell’agosto del 2022 a 182 dollari per azione. Il 9 novembre vende. Quando il titolo era a 137 dollari per azione. Sicuramente esiste una ratio geniale in questa mossa. Ma quest’ultimo grafico mostra altro.
Ovvero, dall’inception del fondo nell’ottobre del 2014, gli investitori hanno buttato in ARKK qualcosa come 16,5 miliardi di dollari. Al 23 agosto scorso, la voce “Total assets” del fondo segnalava 7,64 miliardi. Vediamo qualche numero in più. Dall’inception al picco del febbraio 2021, ARKK vantava una CAGR (Compound Annual Growth Rate) pari a 37,61% che le garantiva un outperforming annuale sul QQQ del 16% e sullo SPY del 25%. Prendendo i dati dall’inception a oggi, ecco che quella CAGR scende al 9,75% per ARKK, mentre QQQ va al 14,75% e lo SPY a 10,83%.
Due i dati interessanti. Primo, nel contempo e stando a dati compilati da Morningstar, Cathie Wood ha intascato commissioni per oltre 310 milioni di dollari. Secondo, dall’inception di ARKK a oggi, il bilancio della Fed è cresciuto dell’8,13% annuale. L’aumento maggiore? Nel 2020, anno del diluvio da Covid. Miglior anno per ARKK? Nemmeno a dirlo, 2020. D’altronde, quando c’è il backstop di Zio Sam, ci si può permettere di vendere al mercato una price-to-sales ratio di 67 senza che nessuno invochi un TSO. Il problema? Fino al 2021, ARKK era praticamente Re Mida. Poi, oblio.
Ecco, il problema è l’oblio. Lo stesso che permette a Nvidia di collezionare titoli trionfalistici un giorno e nemmeno una riga quello seguente sui possibili motivi di una chiusura a malapena positiva. Il mercato sa quale sia la realtà. Il mercato sa quando entrare e quando uscire. La gente no. E quell’ignoranza collettiva alimentata da media e social non fa danno solo alle finanze dell’allocco di turno. Fa danno al sistema. Il quale, ormai, regge finché si stampa. Poi, deve inventarsi la next big thing. Tanto nessuno saprà e chiederà come sia andata a finire la favola. Perché l’unica regola è avere la prossima sempre pronta da raccontare.
E se la stessa Fed che crea avesse bisogno di distruggere (per tagliare al volo i tassi di interesse) fra poco?
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI