Nail in the coffin. Trovo che questa figura retorica del mondo anglosassone sia una delle più efficaci in assoluto per descrivere una situazione terminale: il proverbiale ultimo chiodo che sigilla la chiusura della bara. Temo che l’intervista rilasciata ieri a Radio Capital dal numero uno della Protezione civile, Angelo Borrelli, rientri a pieno titolo in questo categoria. Perché interloquire con il vice-direttore di Repubblica non è come intervenire in uno dei tanti talk-show per virologi del Cepu che infestano le nostre emittenti televisive ormai da settimane: significa dare una notizia. Ufficiale. E quando, utilizzando la furbesca ma pericolosa formula del condizionale, si paventa chiaramente l’ipotesi di un lockdown del Paese che proseguirà almeno fino a maggio e non fino al 13 aprile, come comunicato da quel personaggio di passaggio che è il primo ministro non più tardi di tre giorni fa, significa scavalcare Governo e Parlamento. E mi spiace, questo mi fa più paura del virus.
Siamo qui a rompere l’anima agli ungheresi, perché hanno concesso poteri emergenziali a Viktor Orban tramite voto parlamentare, ma contemporaneamente accettiamo che il capo della Protezione civile vada in radio a dire che, forse, dopo il 16 maggio si potrà entrare nella famosa e mitologica “fase 2”. Ovvero, quella di convivenza con il virus. Quella, per capirci, che ci vedrà comunque obbligati a mantenere il distanziamento sociale, utilizzare la mascherina e scordarci di andare in giro come facevamo un tempo. Forse, riapriranno i negozi (non tutti) e, sempre forse, ricomincerà un minimo di attività sociale e lavorativa. Ma prima, un altro mese e mezzo di quarantena stretta. Tutti a casa. Scuole, uffici, negozi e fabbriche chiuse. Se non quelle legate alle filiere essenziali, nel caso di queste ultime. Un Paese morto.
Lo stesso che ci mostra questo grafico, relativo all’andamento dell’indice dei servizi italiano. Un crollo totale, il peggiore da quando si tracciano le serie storiche. Roba da Grecia nel 2010-2011. Forse, anche peggio, visto che formalmente noi siamo ancora membri del G7, ovvero una cosiddetta potenza economica.
E la cosa grave della mossa del dottor Borrelli sta proprio in questo, oltre allo scavalcamento istituzionale inaccettabile in un Paese che si dice democratico: aver lanciato quella previsione, senza alcuna certezza né riscontro scientifico-epidemiologico oggettivo, in pressoché perfetta contemporanea con la pubblicazione di quel dato. E di quel grafico. Non lo sapeva? Ignorantia non excusat, soprattutto quando ricopri un ruolo di quella importanza. Signori, per un Paese a vocazione turistica come l’Italia il settore dei servizi significa anche e soprattutto bar, ristoranti, stabilimenti balneari, musei. E hotel, pensioni, agriturismi, bed&breakfast. Già oggi sono allo stremo, una trend da fallimento annunciato. Come pensate che “incorporeranno” nei loro bilanci le parole del dottor Borrelli, a livello di aspettative di prenotazioni e ripresa dell’attività in vista della bella stagione alle porte e già in gran parte compromessa?
Il capo della Protezione civile doveva mentire, dicendo che da maggio torneremo tutti al mare e in montagna allegramente e in comitiva? Assolutamente no. Però due cose poteva farle. Primo, smetterla di girare per media come fosse Bono Vox degli U2 in tour promozionale e utilizzare la dote del riserbo, magari in stando in ufficio per capire come mai in Italia vengano mandate in giro mascherine cinesi che non vanno bene nemmeno per le sfilate dei carri al carnevale di Viareggio. Secondo, glissare la domanda. Ovviamente, il conduttore fa il suo lavoro di giornalista e cerca la notizia. Sta a Borrelli, non esattamente un debuttante di primo pelo nell’agone della comunicazione, non cascarci e uscire dall’impasse con una frase neutra, di circostanza. Del genere: “A oggi è prematuro fare alcun tipo di previsione e fornire date. Andiamo avanti così, continuiamo a comportarci responsabilmente e dopo il 13 aprile vedremo”. Quantomeno, in ossequio alla data di verifica comunicata ufficialmente dal Governo, suo referente e capo.
Non serve il genio creativo di Harold Pinter per formulare un concetto simile: se si vuole, ci si arriva. Se invece ci si fa un po’ prendere la mano dal protagonismo, accade quanto successo ieri mattina. Di fatto, per tutti i mezzi di informazione – e quindi i cittadini – fino a metà maggio il Paese resterà bloccato così com’è oggi. Lo ha detto il capo della Protezione civile, uno la cui conferenza stampa ormai è divenuta così ossessivamente istituzionale e ansiogena nella vita degli italiani da regolarci gli orologi. Sto forse dicendo che da domani, in nome dell’economia da rianimare, occorre gettare le mascherine, riaprire tutto e tornare alla vita dello scorso gennaio? No, assolutamente no. Io stesso, esco due volte la settimana in tutto e faccio poche centinaia di metri per raggiungere l’Esselunga. E vi assicuro che, quando incrocio un altro cliente nella corsia della pasta o dei surgelati, lancio occhiate dissuasive di invito al distanziamento degne di Mezzogiorno di fuoco. Ci tengo alla pelle, visto che mi hanno già preso per il collo due anni fa e vorrei evitare di ripetere l’esperienza, essendo oltretutto diabetico e quindi a rischio maggiore. Però, signori, c’è modo e modo. Primo, di comunicare le cose. Volete dirmi che fosse davvero necessario far scontare da subito a negozi e strutture ricettive la prezzatura di un blocco che, magari, da qui a un mese potrebbe invece essere in parte allentato? Chi lo sa che da oggi al 13 aprile un farmaco non risulti molto efficace, che non arrivi prima del tempo una terapia alternativa, un vaccino sperimentale, un uso su larga scala del plasma di pazienti guariti, un buon riscontro dai test sull’immunità? O magari che il caldo primaverile ci venga in soccorso o ancora che il Padreterno ci metta lo zampino.
Improbabile? Certo che sì, decisamente improbabile. Ma stante il clima generale di navigazione a vista, perché non attendere e restare sul generico invece che alzare la posta del pessimismo, visto il costoso aggravio potenziale che la dichiarazione di Borelli ha invece già aggiunto al conto della situazione in essere? E sempre restando in ambito di modi, davvero non ne esistono per operare in sicurezza in ambito produttivo? Volete dirmi che non si riescono a reperire dispositivi come mascherine e camici in quantità sufficiente per garantire a chi lavora in fabbrica o in officina un livello di tutela degno di questo nome? Pensate che i datori di lavori siano così irresponsabili da auspicare una strage di dipendenti in nome del profitto, quando chiedono di prendere in maggior considerazione l’ipotesi avanzata da Matteo Renzi nella sua intervista ad Avvenire di qualche giorno fa? Pensate che, fra una settimana, l’intero comparto automobilistico tedesco rinnoverà la scelta di chiusura totale o ripartirà gradualmente, dotando però i propri lavoratori con una montagna di mascherine, camici e gel anti-batterici e garantendo distanziamento con inflessibilità marziale?
Signori, parliamoci chiaro, al netto del fatto che l’unico bene inestimabile che abbiamo sia quello della vita: quale vita può esserci per il Paese dopo l’emergenza, con un dato come quello riportato nel grafico? Una lettura simile stronca qualsiasi chimera rispetto al potere salvifico, quasi taumaturgico per qualcuno, di “Coronabonds” e altre creature mitologiche accessorie. Quella linea che crolla, ci dice che siamo al game over. O poco ci manca. Vi pare normale che il capo della Protezione civile, oltre a dar vita a una sorta di golpe rispetto alle indicazioni temporali ufficiali sulla durata della quarantena fornite dal primo ministro solo due giorni prima, si lanci in una previsione che delinea un altro mese e mezzo di stop totale, chiosandola con un laconico vedremo? Forse è il caso che lo Stato torni a fare lo Stato. E la politica si riappropri del suo ruolo di primazia sulle decisioni.