Epocale. C’è un giornale in Italia che ha definito così lo scudo anti-spread della Bce. Il quale, di fatto, non esiste. L’Eurotower, infatti, non solo ha dovuto dar vita alla pantomima di una riunione di emergenza per mettere una toppa alle sue stesse decisioni, prese meno di una settimana prima. Ma anche ammettere di non aver più conigli nel cilindro. La risposta alla frammentazione dei rendimenti nell’Eurozona? Il brodino del reinvestimento titoli del Pepp, come avevo scritto già prima dell’ultimo board e l’annuncio appunto del mandato ai tecnici per creare un nuovo strumento che operi da scudo agli spread.



Quando sarà pronto? In cosa si sostanzierà? Mistero. Quindi, chi definisce epocale questa ennesima supercazzola, o conosce i particolari dell’operazione in anticipo e in esclusiva e li tace o forse sta unicamente autoconvincendosi che tutto andrà bene. Ma questo grafico parla chiaro: l’ultimo up and down del rendimento del nostro decennale benchmark, quello che salendo al 4,1% ha reso necessaria la riunione d’emergenza, mostra prima la reazione pavloviana di delusione al nulla contenuto nel comunicato Bce e poi l’intervento della manina magica. 



Già, perché il nostro spread nel pomeriggio di mercoledì è continuato a sgonfiarsi, fino al minimo di giornata di 207 punti base dai quasi 250 dell’apertura. Poi, chiusura a 228. Chi ha operato? A livello di acquisto, solo due possibilità si stagliano all’orizzonte. Primo, le banche e le assicurazioni italiane con il loro doom loop. E perché farlo, stante le garanzie pressoché a zero offerte dall’Eurotower? Primo, il mandato statutario e tacito di far contento il Tesoro, il quale – chiunque governi, da sempre – poi saprà sdebitarsi con il comparto. Secondo, abbindolare un po’ un mercato che aveva voglia di interrompere un filotto di bagni di sangue. E infatti Piazza Affari mercoledì ha chiuso a quasi +3% trainata proprio dall’euforia delle banche. Tutto auto-alimentante, tutto frutto unicamente di percezione. Il mercato ormai è questo, un’illusione manipolata e manipolabile. 



Secondo sospettato per la manina, la Bce stessa. La quale fino al 30 giugno ancora opera con i 20 miliardi al mese di acquisti in seno al programma-ombrello App, quindi assolutamente in grado di concentrare sul secondario i suoi ultimi proiettili per sostenere lo spread più critico. Il nostro. E, soprattutto, evitare la figuraccia di aver convocato una riunione di emergenza e vedere i differenziali salire ancora. Sarebbe stato un fallimento umiliante. 

Di fatto, la missione è andata pressoché fallita. Perché quel balzo finale nuovamente in area 230 rischia di tramutare quella che doveva essere una missione segreta nella scia di Pollicino. E la controprova rischia di non tardare a palesarsi davanti agli occhi di tutti. Questo altro grafico mostra quanto accaduto ieri mattina: effetto Bce, se mai si fosse sostanziato, sparito a tempo di record fin dall’apertura di contrattazioni. Poi, attorno a mezzogiorno, torna la manina che schiaccia il differenziale da 235 in area 220. Solo l’ennesimo, terminale e disperato calcione al barattolo. 

Giovedì 30 giugno, salvo ulteriori cambiamenti, l’App termina di operare. La manina, almeno quella europea, va in ferie. Venerdì 1 luglio potrebbe essere il Black Friday dei nostri Btp, la prova provata del bluff Bce e della nostra ormai conclamata dipendenza totale da Francoforte. Avevate paura delle condizionalità del Mes? Godetevi il commissariamento de facto. Manca poco. E senza un’altra inversione a U, stavolta la deadline per il mercato c’è davvero: state certi che il conto alla rovescia lo faranno in tanti. 

Attenzione, poi, al gioco degli specchi. Perché la Bce non deve fare i conti solo con i suoi tentativi un po’ goffi di prendere in giro i mercati, bensì anche con le mosse delle altre Banche centrali. In questo caso, la numero uno. Perché nello stesso giorno, mercoledì, la Federal Reserve ha deciso di tornare all’era Volcker e ha dato vita a un rialzo dei tassi di tre quarti di punto, una mossa che non si vedeva dal 1994. E sapete cosa accadde? Tequila crisis e Fmi che dovette salvare il Messico. Stavolta chi ci lascerà la ghirba per consentire agli Usa un’agevole via d’uscita dalla posizione di spalle al muro in cui si sono messi, fra Qe perenne e interi trimestri di dolosa certificazione della natura transitoria dell’inflazione?

Perché Jerome Powell è stato chiaro in conferenza stampa: Siamo determinati a combattere l’aumento dei prezzi, tanto che al Fomc di luglio potremmo dare vita a un altro rialzo da 75 punti base. Se così fosse e da qui a fine anno fosse rispettato il cronoprogramma dei nove ritocchi, prima di San Silvestro il tasso benchmark della Fed sarebbe al 3%. Un qualcosa di impossibile, sia chiaro. Ma con cui la Bce deve fare i conti, prima di dare seguito concreto alle proprie epocali supercazzole. Il motivo? Lo mostrano questi due grafici, il primo dei quali rappresenta l’aggiornamento del tracciatore in tempo reale del Pil del secondo trimestre compiuto dalla Fed di Atlanta, il GDPNow. Nel giorno del mega-rialzo, segnava recessione tecnica. Crescita a zero, dal +0,9% del 6 giugno. E dopo un primo trimestre già chiuso in contrazione. Insomma, policy error garantito: non solo si alzano i tassi in scenario pre-recessivo, ma lo si fa a forza quattro, come non accadeva da 28 anni. Tradotto, si cerca l’incidente controllato. 

E il secondo grafico ci mostra il perché: se le prezzature di mercato attraverso i futures scontano già tutti i rialzi annunciati da Powell come inevitabili, la linea verde in impennata rappresenta altrettante e conseguenti incorporazioni di tagli al costo del denaro subito dopo la recessione. Tradotto, se non un ritorno diretto al Qe, quantomeno alla fase interlocutoria di sforbiciata ai tassi e politica monetaria più espansiva. Cosa attendersi? Relativamente semplice: tutto si muove attorno alle elezioni di mid-term, tutto ha come riferimento temporale la fine di ottobre e l’inizio di novembre. Quello è il pivot dell’intera architettura monetaria della Federal Reserve. Ovvero del mondo intero. Bce compresa. Qui di epocale c’è solo il rischio che l’Eurozona sta correndo, soprattutto alla luce del precipitare della situazione energetica con la Russia. 

Gli azzardi crescono, rapidamente e in modalità senza precedenti. Non a caso, si parla di altro. Strategicamente lontani da Roma. E ci si permette autolesionistiche gitarelle a Kiev con tanto di romantica photo-opportunity in treno, quasi una farsesca trasposizione del reale in cui il Dottor Zivago incontra e si fonde con Amici miei. Nel frattempo, Gazprom taglia i flussi. E l’autunno si avvicina.

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