Vuoi vedere che, per una volta, la Fed è stata costretta a dire la verità? Non a caso, la stampa ha bellamente ignorato la pubblicazione delle minute del Fomc tenutosi gli scorsi 3-4 maggio. O, in caso le abbia trattate, ovviamente si è limitata a focalizzarsi sul punto più apparentemente sensibile. Il quale, però, nasconde l’inganno. Il board della Banca centrale Usa, infatti, sarebbe favorevole ad aumenti dei tassi di 50 punti base l’uno nei prossimi due meeting, ovvero quelli del 14-15 giugno e 26-27 luglio. Guarda caso, la quadratura del cerchio prima dell’appuntamento spartiacque del simposio di Jackson Hole, quest’anno fissato dal 25 al 27 agosto. Ma per capire il senso di quella che appare una palese mossa da falco verso un’accelerazione ulteriore del processo di normalizzazione del costo del denaro, occorre mettere in prospettiva la situazione di mercato in cui si è giunti alla pubblicazione delle minute di mercoledì sera.
Ci aiutano in tal senso questi due grafici, dai quali scopriamo che nel breve arco temporale intercorso fra il Fomc di inizio maggio e la pubblicazione delle sue minute, il Macro Surprise Index di Citi è letteralmente precipitato da un dirupo in pieno territorio di contrazione. Insomma, uno degli indicatori più seguiti da Wall Street rispetto alle prospettive dell’economia e ai rischi di fine ciclo (recessione) segnala oggi allarme rosso.
E la Fed cosa fa? Accelera l’aumento dei tassi, di fatto annunciando un punto netto in più sui Fed Funds nei prossimi due mesi. Incidente controllato in vista? La seconda immagine pare confermarlo, poiché le aspettative del mercato – prezzate attraverso i futures – per un’inversione di tendenza nelle ultime settimane sono infatti emerse in maniera prepotente. Tradotto, proprio in considerazione del peggioramento drastico dei principali indicatori (mercato equity, condizioni macro, liquidità), chi investe comincia a scommettere su uno stop del cosiddetto Quantitative tightnening e una rivalutazione dell’intero approccio.
La Fed ha voluto stupire in negativo? La reazione di Wall Street alla pubblicazione delle minute è stata tutt’altro che negativa. Anzi. Insomma, chi non ha capito? Chi ci è e chi ci fa in questa situazione? Tutti. Semplicemente perché siamo dentro un gioco delle parti obbligato: o tutti recitano secondo copione oppure salta l’intero spettacolo. E con esso, il sistema.
Ed eccoci quindi al messaggio in codice contenuto nelle minute di mercoledì, come plasticamente mostrato da questa immagine: in relazione alle aspettative dello staff Fed sul dato CPE dell’inflazione scopriamo che questo è visto al 4,3% nel 2022 per scendere al 2,3% nel 2023 e al 2,1% nel 2024.
Perché? Gli sbilanciamenti nella ratio domanda/offerta nell’economia saranno ridotti da un rallentamento della domanda aggregata e da un anticipato allentamento delle strozzature nell’offerta. Tradotto in una lingua per essere umani? A settembre la Fed metterà in pausa l’intero carrozzone del tapering. Guarda caso, quanto dichiarato non più tardi del 23 maggio scorso da Raphael Bostic, numero uno della Fed di Atlanta. Proprio la sussidiaria della Banca centrale Usa che cura il GDPNow, il tracciatore in tempo reale del Pil statunitense. Ovvero, il vero guardiano del faro.
Cosa aveva dichiarato, infatti, intervistato da Bloomberg in vista della pubblicazione delle minute? Ritengo sensato pensare a una pausa in settembre, in relazione ovviamente ai trend dell’economia e ai dati che emergeranno. Insomma, l’uomo a capo della Fed regionale che tiene sotto controllo la carne e il sangue dell’attività economica americana aveva inviato ai mercati un segnale rassicurante. E i futures, come mostrato nel secondo grafico, avevano immediatamente inglobato quell’aspettativa nei loro trend. Insomma, nella peggiore delle ipotesi la Fed opererà ancora in giugno e luglio, magari stressando davvero i formali rapporti di forza con il mercato, salvo poi utilizzare il tracollo recessivo dell’economia globale di guerra come alibi da sfoderare a Jackson Hole per dichiarare la tregua.
Qualcuno come Vincent Cignerella di Bloomberg o Andrew Tyler di JP Morgan azzarda un terzo ritocco prima della pausa e sposta al meeting del 20-21 settembre il pivot reale della situazione, esattamente come avvenne nel biennio 2018-2019. Poco cambia. Comunque sia, a detta di tutti gli analisti la Fed ha appena comunicato in via informale la fine del suo tapering o QT.
Quale problema, quindi? Tutto bene? Non esattamente. Cosa farà infatti la Bce da qui a settembre? Ovvero, il 9 giugno e il 21 luglio cosa deciderà la Banca centrale europea rispetto ai tassi di interesse e alla fine degli acquisti in seno all’App? Se questo secondo punto appare dirimente solo per i Paesi ad alto indebitamento e spread già in fibrillazione come noi, Spagna e Grecia, ecco che la mossa sul costo del denaro impone una riflessione enorme. Non fosse altro perché occorrerebbe coordinarsi tacitamente con la volontà della Fed, al fine di non trovarsi behind the enemy lines in autunno: ovvero, in netto fuorigioco nel momento più caldo, quando il fallout di guerra e inflazione farà esplodere criticità e contraddizioni macro e servirà davvero supporto e non rigore.
Stando a quanto appena emerso, la Fed pare aver già deciso. Non fosse altro per l’appuntamento con il voto di mid-term di inizio novembre. Tempismo perfetto. Christine Lagarde, invece, cosa farà? Stante il dato monstre dell’inflazione tedesca di aprile e invece quello miglior del previsto rispetto alla tenuta del Pil teutonico, la svolta di restrizione monetaria appare quasi garantita. Anche dalla scelta della Commissione Ue di sospendere per un altro anno intero il Patto di stabilità. A quel punto, l’Ue si troverà in fuorigioco totale di sostegno. Con l’economia in mezzo alla tempesta perfetta.
Il Trichet moment appare alle porte. Scommettete che il Governo Draghi salterà in aria un attimo prima?
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