Ora la farsa smette di essere tale. E diventa tragedia.
Esattamente una settimana fa, dopo un incontro con il blogger ecologista Alex Haraus, un 25enne del Colorado a capo della campagna contro i nuovi terminal LNG nel Golfo del Messico, il presidente Joe Biden ha preso carta e penna e comunicato ufficialmente una pausa temporanea sul futuro export di gas liquefatto.
Insomma, la nuova Greta ha dettato l’agenda elettorale del Presidente. E ora l’Europa deve fare i conti con una realtà di quelle decisamente sgradevoli: essere passata dalla dipendenza energetica russa a quella americana. La quale, almeno da oggi fino a novembre, ha già deciso di bloccare qualsiasi tipo di sviluppo nelle infrastrutture legate all’export di LNG.
Direte voi, i progetti e i contratti in essere restano validi. Quali, di grazia? I contratti come quello che lega BP, Edison e Shell all’americana Venture Global LNG e che ha visto le prime già costrette a richiedere l’intervento delle controparti (Ue e Stati Uniti) per dirimere una controversia di inadempienza?
Piaccia o meno, la pantomima delle sanzioni ha garantito agli Usa di divenire il primo esportatore al mondo di LNG, superando Qatar e Australia. America calls the shots, l’America detta le mosse. E, soprattutto, decide le regole, i prezzi e le modalità. Perché quando servirà imporre la propria agenda geopolitica agli alleati, ecco che Washington potrebbe chiudere i rubinetti delle forniture esistenti. A quel punto, l’Ue avrà due alternative. Accettare il ricatto. Come accaduto 48 ore fa a Bruxelles. O rivolgersi altrove.
A chi, di grazia? Il Qatar, lo stesso che l’Ue ha stranamente preso a pesci in faccia per il più strano ma puntuale scandalo di mazzette della storia della corruzione e del lobbysmo? O forse la Russia, verso cui si sta lavorando al 1.231mo pacchetto di sanzioni, pronto a essere votato?
Ma ecco che stavolta, il banco rischia di saltare davvero. Perché i guerriglieri Houthi, quasi in perfetta contemporanea con la mossa di Joe Biden, hanno inviato un paio di segnali politici di quelli in grado di mostrare come dietro la loro nuova strategia si celi un player di primissimo livello. Primo, hanno scortato un tanker saudita, nonostante formalmente Ryad sia il nemico. Lo ha confermato a Bloomberg il capo dell’unità di raffinazione di Aramco, Mohammed Al Qahtani. Come dire, l’Arabia membro dei Brics può navigare tranquilla nel Mar Rosso. Come Cina e Russia. Secondo, colpendo il tanker britannico Marlin Luanda diretto verso Singapore, notizia passata in cavalleria come l’ennesimo atto di guerra ibrida e asimmetrica. Invece, colpendo quell’obiettivo specifico, gli Houthi non hanno solo mostrato intatta capacità di fuoco dopo i raid di Usa e Uk ma anche scelta strategica nel direzionare i loro attacchi.
Il carico di quel cargo faceva capo al colosso del trading di commodities Trafigura, la quale ha ammesso con un comunicato come si trattasse di nafta di origine russa ma comprata al di sotto del price cap e in linea con le sanzioni. Davvero? Allora perché utilizzare tre differenti tankers per un’operazione Ship-To-Ship al largo di Calamata, in Grecia e non con un più efficiente carico diretto a Novorossyks? Se tutto era legale e in linea con le sanzioni, perché tante complicazioni logistiche, quasi si volesse nascondere qualcosa?
E se il capolavoro compiuto dagli Usa nella gestione dell’agenda LNG globale non vi fosse bastato e nemmeno il coté di autolesionismo europeo avesse provveduto a soddisfare la vostra quotidiana dose di sconforto, ecco il peggio del peggio. Non solo i Paesi europei hanno prestato il fianco alla più grande opera di destabilizzazione economico-industriale dalla Seconda guerra mondiale, appoggiando acriticamente il combinato di regime sanzionatorio verso la Russia e transizione green con tempistiche volutamente asincrone verso una riconversione gestibile. Mentre si martellavano gli zebedei nel solco del miglior Tafazzi e continuavano a finanziare il budget russo attraverso acquisti energetici nascosti, vendevano a Mosca anche la componentistica militare per proseguire quella stessa guerra che nelle intenzioni si stava combattendo al fianco dell’Ucraina. Insomma, tagliavamo ogni rapporto politico e commerciale con la Russia e nel contempo armavamo il suo esercito con componenti tech. Nel caso Usa, cinico pragmatismo da warfare che non stupisce, basti vedere la gestione dell’agenda afghana. In quello europeo, appunto, un suicidio. Perché gli Usa almeno hanno accompagnato la mossa a una parallela strategia di supremazia energetica globale. Mentre l’Europa ora è totalmente in balia del playbook geopolitico statunitense rispetto al gas liquefatto.
E attenzione a cosa ci dicono al riguardo e sul futuro questi due grafici.
Il primo mostra come l’ultimo dato del Pil statunitense mostrasse il terzo calo mensile consecutivo nella voce principale del warfare. Ovvero, core capital goods shipments. Tradotto, export di armamenti esclusi i caccia. Dei quali, in effetti, in Ucraina sono arrivati solo i libretti di istruzioni. Le cifre parlano chiaro: serve più guerra. E caso strano, il core EPS di Boeing appena diffuso parlava di 3,64 dollari contro attese degli analisti di 2,58 dollari. Cosa sanno dei piani Usa che noi poveri mortali ancora ignoriamo?
Certamente che la crisi mediorientale sarà lunga. E a perenne percezione di escalation. Ma, altresì, che il warmongering verso l’ipotetico attacco russo contro i Paesi Baltici europei diventerà il volano del nuovo export, stante lo stop del Congresso al dissanguamento dei conti pubblici Usa per l’Ucraina. E come certificano dati ufficiali diffusi a inizio settimana dalla Reuters, il 2023 è stato l’anno record per le esportazioni belliche statunitensi. Che coincidenza. E il secondo grafico ci mostra come, se il fronte del gas non fosse sufficientemente sconfortante, persino quello del petrolio pare pronto a recitare il de profundis economico-industriale europeo. Per la prima volta dal 2018, lo scorso anno – in pieno regime sanzionatorio – la Russia ha superato l’Arabia Saudita come prima fornitore di greggio alla Cina. Se anche si volesse “far pace” con il Cremlino, da quelle parti hanno già ampiamente rimpiazzato gli introiti Ue con quelli del Dragone. Un capolavoro, appunto.
Esattamente, in quale momento storico degli ultimi dieci anni, l’Europa ha permesso che si sedessero al posto di guida dei dementi? O forse tali non sono? Ora, se volete, rileggete con calma questo articolo. Poi pensate al fatto che non più tardi di giovedì, la medesima Europa protagonista dii questo delirio di sudditanza, ha votato a favore di un altro pacchetto da 50 miliardi in favore di Kiev. E lo ha fatto mentre fuori dall’Europarlamento andava in scena la rabbia degli agricoltori. Prontamente caricati dalla polizia. Praticamente, un esempio lampante di politica da Marchese del Grillo, l’equivalente di sputare in faccia alle loro istanze. Ricordatevene a giugno. Ricordatevene dentro la cabina elettorale. Perché quel sì a nuovi finanziamenti per Kiev è la prima vittoria ottenuta dal ricatto Usa sul gas.
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